amore contro droga

Svolgo il mio servizio diaconale in una parrocchia brasiliana. Una parrocchia viva dove è molto cer­calo e sottolineato l'interesse per i giovani. E' li che un giorno incon­tro Marco, un ragazzo di ventitré anni.

Incominciamo a parlare e mi ac­corgo subito, da alcuni sintomi chia­rissimi, di aver a che fare con un drogato. Ci rivediamo ancora, dopo questo primo incontro, ed io mi preoccupo solo di lasciarlo parlare, di ascoltarlo, finché una sera, men­tre si passeggia, se ne esce con que­sta frase: « Giovanni, sento di po­terti dire tutto, sono un drogato».

Per me non è una novità: la no­vità era che lui stesso si rivelava. Mi spiega quando aveva iniziato, mi parla del suo mondo di drogato, e al­la fine si mette a piangere come un bambino. Mi viene spontaneo dirgli: « Sta' tranquillo, Marco, da questo momento puoi contare su un amico ». Infatti quasi ogni giorno ci si rive­deva. Veniva alla casa parrocchiale, si prendeva insieme il caffè, oppure il pranzo o la colazione: l'amicizia cresceva.

Questo fatto però non era passato inosservato e di giorno in giorno cresceva nella comunità parrocchiale il numero delle persone, anziani, pa­dri di famiglia, che chiedevano di Marco e mi consigliavano di stare attento, perché poteva essere perico-

loso. Era quel senso di isolamento e di difesa che nasce nei confronti di chi si è messo fuori e che io cer­cavo di far superare portando la te­stimonianza dì Gesù sull'adultera: « Se noi che ci diciamo cristiani non lo amiamo fino in fondo, che cosa possiamo pretendere? Provate a pensare che Marco sia vostro fi­glio ». Cosi veniva man mano ac­colto nella comunità.

Una sera mentre si chiacchierava con un gruppo di giovani nella piaz­za, vedo un ragazzo che cerca di far arrivare un biglietto a Marco. Lo prendo per darglielo e vi leggo: « E' meglio che te ne vada perché sei indesiderato ». Mi rendo conto allora della gravita della situazione di Mar­co, di come venga considerato uno dei maggiori drogati della città, uno dei ragazzi delinquenti e per questo rifiutato dai buoni cristiani. La mia reazione è immediata: « Se Marco è indesiderato lo sono anch'io », — e ce ne andiamo a prendere un caffè.

Intanto, continuando questa ami­cizia erano già passati sette mesi venivo a conoscere sempre più in profondità la storia di Marco, le tri­sti vicende della sua famiglia, e lo capivo molto bene quando mi diceva di non aver mai avuto un padre o una madre che lo avessero amato.

Ma Dio lavorava e cosi dopo qualche tempo incominciò a parteci­pare alla messa della comunità. Rimase impressionato dal gruppo Gen e dopo un po' mi disse che intendeva fare la prima comunione. Vi si pre­parò con impegno e a 24 anni, du­rante la Mariapoli di San Paolo, fece il suo primo incontro con Gesù Eucaristia.

Incominciava per lui una vita nuo­va. Ricordo alcuni fatti significa­tivi. Un giorno gli chiedo se qual­che volta prendeva ancora la droga e mi risponde che non voleva più prenderla, che lo dovevo aiutare. Seppi poi che durante l'incontro Gen aveva consegnato il quantitativo di droga che ancora possedeva. La co­munità parrocchiale e in particolare il gruppo Gen erano diventati la sua famiglia: si sentiva bene con loro, pienamente accettato. Non solo, ma quella forza di leader che prima ave­va nel suo vecchio mondo, rinasceva purificata. Riusciva a canalizzare per un impegno cristiano la sua for­za negativa di prima, rendendosi ca­pace di sostenere impegni molteplici e disparati come viaggi, raduni, cor­rispondenza. Anche esteriormente la sua persona si trasformava: più cu­rato nel vestire, meno selvaggia la sua barba e i suoi capelli: insomma non faceva più paura come prima.

In ottobre, dovendo venire alla scuola sacerdotale, ci siamo separati. E' stato un distacco molto semplice e senza traumi. Marco aveva ritrova­to se stesso e una nuova famiglia. Io ero stato solo un anello d'incontro.

Giovanni Nivano