finalmente a casa

 

L'esperienza che ho vissuto alla scuola sacerdotale di Grottaferrata mi è apparsa come la scoperta di Gesù Abbandonato, alla quale Dio mi ha preparato fin da fanciullo.

Deportato in Siberia nel 1940, durante la guerra, vi restai con la famiglia più di due anni. Per un bambino di 5 anni era molto duro. Privati di tutte le nostre cose senza nessuna giustificazione, fummo obbligati a lasciare la no­stra casa, il nostro paese e ad andare verso l'incognito. Tutte le famiglie furono disperse in dif­ferenti villaggi perché non aves­sero più la possibilità di riveder­si. La nostra, insieme con un'al­tra, trovò asilo in una baracca di un piccolo villaggio dove non c'era altro che foresta, neve e un cielo blu. Mio padre e gli altri mem­bri della famiglia lavoravano co­me schiavi. Qualche mese dopo mori, vittima della fame e del freddo. Mi ricordo bene il giorno in cui, una mattina, lo trovai a letto e non rispondeva alle mie parole. Non potevo capire perché non parlava più. Era morto. Qual­che settimana dopo mia sorella lo segui. Aveva solo 17 anni, ma era stata obbligata a lavorare come un uomo.

La fame e la malattia erano due realtà quotidiane nella nostra vi­ta. Fu là che per la prima volta mangiai carne di cane e di gatto. Ogni giorno, nelle nostre preghie­re, ripetevamo sempre la stessa frase: « Padre, nostro, dacci del pane; non vogliamo altro. Noi cre­diamo in Te... ».

Finalmente — credo che sia sta­to un miracolo — ricevemmo la notizia che potevamo uscire da quel « paradiso ». Ricominciava lo esodo. Senza nessun mezzo di tra­sporto e nessun appoggio da parte del Governo, abbiamo percorso cir­ca 1500 Km. a piedi, verso il Sud della Russia. La fede in Dio e la speranza di ritrovare la libertà ci spingeva avanti. Anche se eravamo sempre più lontani dalla patria, c'era sempre in noi la speranza di ritornare un giorno a casa nostra, nel nostro paese. Per me quella speranza è sempre viva, con la sola differenza, che, ora più di prima, capisco che dipende da un disegno di Dio.

L'esodo ci ha portati in Persia, sotto le tende e nelle baracche. Ma la vita incominciava ad essere più normale. Dopo qualche anno ab­biamo dovuto emigrare in un al­tro paese. Questa volta era la Siria e il Libano, poi attraverso la Pale­stina e l'Egitto sono giunto in Inghilterra. Sempre, in tutti quei paesi, ho dovuto imparare una nuo­va lingua straniera. Nel 1953 sono andato a Parigi per gli studi di teologia e sono stato ordinato sa­cerdote nel 1961. Ho lavorato mol­to e con molte difficoltà. In un modo o nell'altro, la croce segnava la mia vita e ho sempre avuto de­gli ostacoli da superare, per otte­nere qualche risultato.

Nel 1970 ho conosciuto il Movi­mento dei Focolari, ma molto va­gamente. Nel mio cuore c'era sem­pre il desiderio di conoscerlo più profondamente. Dio mi ha dato questa grazia e mi sono trovato al­la scuola sacerdotale di Grottafer­rata nel 1973.

Anche qui subito un'altra lingua straniera da imparare e di nuovo l'incontro col dolore. Ero arrivato con la speranza di trovare la gioia di Gesù Amore, ma mi sembrava di essermi sbagliato ancora una volta. Le meditazioni e tutto ciò che sentivo mi irritavano. La conversazione con gli altri e special­mente questa frase: « Bisogna a­mare i fratelli e Dio, il resto è secondario», erano per me cose fuori della realtà. E già non ve­devo più un motivo per restare. Cominciavo a rivoltarmi contro me stesso e gli altri. Mi era molto dif­ficile comprendere gli altri, a cau­sa della lingua, e più ancora a cre­dere al loro atteggiamento; che mi sembrava artificiale. Anch'io volevo amare Dio-Amore, ma mi sembrava che Gesù volesse manifestarsi a me in altro modo. Ma da un certo momento tutti i temi su Gesù Ab­bandonato diventarono il centro del mio interesse. Cominciavo a cercare e a chiedere spiegazioni. I miei fratelli nella « stireria » mi hanno aiutato molto a compren­dere Gesù Abbandonato, e sono loro riconoscente. Cominciavo a credere che essi mi amavano sin­ceramente come loro fratello.

Un giorno ho parlato in un con­vento. Parlavo della sofferenza e di Gesù Abbandonato, dicendo che il modo più diretto per scoprire lo amore di Dio è attraverso i fra­telli che ci circondano. Ma capivo che non ero totalmente sincero con me stesso, perché insegnavo una verità che mi sembrava buona per gli altri, ma che non era an­cora veramente mia. La sera ho presentato i miei problemi a Dio nella piccola cappella. Gli ho detto, « Non ce la faccio. Guardami, so­no come un vaso fragile e rotto. Prendilo nelle tue mani e riempilo del tuo amore. Nelle tue mani sa­rò tranquillo ».

Gesù non ha atteso a lungo.

Da quel giorno la mia purifica­zione cominciava. Non potevo tro­vare la pace interiore. Decisi di non dire niente e di restare chiu­so, senza spiegazione alcuna. Alcu­ni del mio gruppo mi turbavano molto, persino la loro presenza mi faceva soffrire. Cercavo di giustifi­carmi dicendo a me stesso che era­no gli altri a non comprendere la mia situazione. Ma questo modo di pensare non portava pace alla mia anima. Dio voleva la mia sof­ferenza per purificarmi e manife­starsi, attraverso il dolore, Amore. Ma non volevo accettare la sua strada, la necessità, cioè, di andare a Dio attraverso i fratelli.

Una sera, durante una riunione, non potei più resistere e aprii la mia anima per primo. Vedevo l'a­more dei miei fratelli e sentivo l'unità con Gesù che era in mez­zo a noi. Il mio vaso si svuotava e sentivo che si riempiva del suo Amore.

Gesù Abbandonato diventava lu­ce e mi riempiva. Dopo la riunio­ne, nella cappellina sentii ancora più forte questa sua presenza.

Dopo qualche minuto sentii qual­cuno accanto a me. Ma era pro­prio per causa sua che mi ritro­vavo con tanta gioia. Quel fratello uscì, e io cominciai a piangere co­me un bambino. In quel momento Gesù Abbandonato-Amore mi ha fatto capire una cosa molto impor­tante, che, io credo, cambierà tutta la mia vita. La sofferenza non mi appare più qualche cosa di terri­bile e di negativo. Capisco che è un privilegio essere simili a Gesù Abbandonato. Dopo quei giorni tutti i miei fratelli della scuola so­no diventati una realtà della mia anima. Non sento più la differen­za di nazionalità, di cultura, di educazione. Siamo tutti uno, con Gesù che è vivo e sempre presen­te fra noi.

Chr.