Parola di vita

«Quando sono debole, allora sono forte»

(2 Cor. 12, 10)

 

Ci sono tanti fatti nella vita di Gesù che dimostrano il suo potere divino: i miracoli, l'insegnamento svolto con autorità, le sue profezie.

Eppure, al di sopra di tutti questi segni s'impone il < segno di Giona »: Gesù che muore e che è resuscitato dal Padre; la manifesta­zione della vita nella morte, della potenza nella debolezza. Il mistero pasquale è il segno, dal quale ogni altro si illumina e trae il suo signi­ficato pieno.

Paolo, nel passo che stiamo considerando, ci mostra la risonanza e la presenza di questo mistero in lui.

Anch'egli parla di avvenimenti straordinari nella sua vita, di grazie eccezionali, di visioni ed estasi (1-4), e gli Atti degli Apostoli testimo­niano dei miracoli compiuti da lui (cfr. Atti 8, 8-12; 14, 8-10; 16, 16-18; ecc).

Ma, anche per Paolo, la manifestazione più grande di quanto Dio ha operato in lui non consiste in tutto questo ma nel mistero della sua debolezza umana, nella quale « la potenza divina si mostra appieno » (v. 9). Sicché egli può dire: «preferisco gloriarmi delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo dimori in me» (ibid.).

Ogni cristiano dovrebbe poter dire altrettanto di sé. Certo, nella storia del cristianesimo sono stati in pochi e saranno sempre in pochi a godere dei favori divini straordinari menzionati all'inizio del nostro brano. L'esperienza della debolezza invece, della « spina nella carne > (v. 7), è in un senso o nell'altro l'esperienza di tutti. Infatti la soffe­renza, sotto forme diversissime, è forse l'aspetto che tocca più profon­damente l'umanità.

Nessuno di noi ha raggiunto la santità e la sapienza manifestatasi nelle opere e nelle parole di Gesù, tutti però ci ritroviamo nell'impo­tenza della sua passione, del suo abbandono, della sua morte. E non c'è piaga corporale che non sia abbracciata dalle piaghe di Lui o piaga spirituale che non sia compresa nel Suo abbandono. Quindi le piaghe del Risorto, rivestite di gloria, sono pegno di salvezza anche per le nostre.

Pertanto la debolezza umana non è più motivo di disperazione e di vergogna ma il ponte che collega tutti gli uomini di tutti i tempi con l'amore divino.

Infatti, Gesù morendo si è fatto uno con l'impotenza per ricolmarla delta potenza divina attraverso la sua resurrezione. Ed è questa potenza — dice Paolo — la « dynamis di Cristo », il suo Spirito venuto ad abitare in noi, che ci rende forti. « Quando sono debole, allora sono forte ». E dal momento che lo Spirito è Spirito d'Amore, essere forti significa essere pieni d'amore e capaci di amare.

La debolezza umana è dunque chiamata ad essere amore. Occorre però « provare diletto nelle infermità », occorre « sopportarle per Cri­sto » (v. 10). In altre parole: la debolezza Ormai non è più nostra ma appannaggio di Colui che l'ha riscattata con il suo sangue ed il suo abbandono. Per cui possiamo e dobbiamo riconoscere ed amare in tutte le circostanze dolorose il Suo volto. E allora, vissute in Lui, saranno strumento per amare gli uomini e per dare gloria a Dio.

Felix Heinzer

 

 

Come potrò farcela?

In questi ultimi anni la mia sa­lute precaria, incapace di reggere con costanza al lavoro che offre una grossa parrocchia, aveva creato no­tevoli ostacoli al mio lavoro pasto­rale. Proprio per questo avevo sem­pre visto in questa mia debolezza fisica qualcosa che minacciava di annullare la mia attività di sacer­dote.

Spesse volte mi dicevano: « Lei di tanto in tanto dovrebbe lasciare tutto e non fare proprio niente », ma quei consigli non trovavano a­scolto, perché se mi concedevo ri­poso avevo l'impressione di tradire quel lavoro che a me spettava di svolgere. A mala voglia accettavo quando vi ero costretto dai fatti.

Ancora dieci giorni fa, quando mi sono accorto che la salute stava nuo­vamente per cedere, ho pensato su­bito a quella montagna di impegni che mi attendevano in parrocchia, dopo questi mesi passati alla Scuola sacerdotale di Grottaferrata. Con la solita disperazione: « Come potrò farcela? », e mi scoraggiavo.

Nei giorni seguenti però ho intra­visto una piccola luce che si è fatta sempre più forte, alimentata dallo amore di chi condivideva questa mia sofferenza. Per descriverla con Pascal vorrei dire: « Come tutte le cose materiali non valgono insieme un solo atto dello spirito, cosi infi­niti atti di spirito non valgono in­sieme un solo atto di amore».

Ho visto che, anche per me, li stava la risposta al problema, che non era dunque questione di salute, di lavoro o riposo, ma di amore, dal momento che solo l'amore fa cresce­re il Regno di Dio nella mia par­rocchia.

Anche la mia debolezza fisica, e l'incertezza che ne derivava, pote­vano diventare occasione di amore e di offrire la mia vita proprio come nei momenti di benessere, di fre­schezza e di sicurezza. E se, pro­prio perché donata, questa mia im­potenza si riempie di amore, allora anche i momenti in cui mi sentirò incapace di portare il peso di un lavoro eccessivo, saranno il ponte per cui passa l'amore di Dio che genera.

Sono libero! Ho capito qualcosa della libertà dei figli di Dio. Essa nasce dall'amore e si chiama: « Quando sono debole, allora sono forte ». E questo vale per tutte le mie debolezze.

Kurt G.