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Abbiamo paura della solitudine, di essere tagliati fuori dal mondo, e ci illudiamo troppo spesso di trovare il rimedio rabbuffandoci di notizie che le varie fonti d'informazione ci ammanniscono con tempestività e in sovrabbondanza. Crediamo di partecipare alla vita e ai problemi dell'umanità solo perché siamo informati di quanto succede nel Medio e nell'Estremo Oriente, in Africa e nell'Ame­rica Latina, nei paesi capitalisti e in quelli socialisti.

Abbiamo la nostra opinione su tutto, opinione derivata dalle impressioni personali dei mille corri­spondenti della stampa e della televisione; impres­sioni solitamente contrastanti, quando non sono diametralmente opposte, selezionate da noi, ossia accettate o rifiutate in base alla nostra particolare educazione sociale e religiosa e spesso in base alla istintiva simpatia o antipatia del reporter o del suo stile letterario.

Sono le informazioni che ci permettono di ma­scherare la solitudine inferiore durante qualche quarto d'ora trascorso in passionale o retorica di­scussione. Ma il senso di solitudine resta e ci deprime.

Eppure essere aggiornati è necessario. Solo che non basta. E' facile essere informati ed esprimere le nostre opinioni sulla discriminazione razziale, e magari condannarla; è più difficile stabilire una co­munione di vita con un uomo di colore, e provare ed esprimere quel senso di meraviglia di fronte a qualità umane a noi sconosciute, belle e incantevoli proprio perché diverse dalle nostre, e pertanto por­tatrici dì valori che purtroppo ci mancano.

Possiamo « tutto sapere » e restare dei micro­scopici frammenti d'umanità, chiusi nello stretto carcere del proprio io che si difende col rendersi impermeabile alla vita degli altri.

L'informazione può facilitare la comunione, ma comunione non è. Essa è pura conoscenza e non genera il senso di famiglia; l'amore e l'accettazione degli altri come parti vitali del nostro essere, sì. E come cristiani dovremmo trovare rapporti con tutti, più forti di quelli esistenti nella famiglia naturale.

Ho sentito in un discorso di Chiara Lubich que­ste parole: « Due italiani, se sono uno, danno una certa testimonianza; un italiano e un tedesco, se sono uno, ne danno un'altra; un italiano, un tedesco e un inglese, se sono uno, danno un'altra testimo­nianza ancora. Poiché Gesù è testimoniato da per­sone che vivono il loro essere umano, e anche i ca­ratteri culturali hanno il loro peso, il loro valore ».

Parafrasando si può dire: « Due italiani, se sono uno, esprimono una certa umanità; un italiano e un tedesco, se sono uno, esprimono una ricchezza maggiore di umanità, ecc. ».

Per questo sarebbe opportuno essere comple­tamente staccati da noi stessi e aperti agli altri per saper cogliere ed arricchirci dei valori umani di tutti, e portare il nostro frammento di umanità ad essere l'Uomo, Gesù.

Solo a raggiungere questo scopo dovrebbero servire i mezzi di informazione.

A meno che non vogliamo tirarci addosso l'ironia di San Paolo (cfr. 2 Tim. 3, 6-7), che in questo caso ci taccerebbe d'essere delle mulierculae « sollecitate da passioni varie, sempre in cerca di notizie senza mai raggiungere la conoscenza del vero ».

Silvano Cola