La sapienza, ossia la luce che ci permette di essere equilibrati

nella vita quotidiana pur nella

dialettica delle tensioni

 

La filosofia afferma che l'essere crea­to è per sua natura pluridimensionale e dialettico. Il che equivale a dire che è composto, in quanto la pluridimensionalità esige la molteplicità e la diversità. E, inoltre, che i principi ontologici che lo formano sono oppo­sti. La dialettica infatti è generata dal­la interazione di almeno due « poli » che esercitano dinamismi contrari, cioè che si « tirano », per cosi dire, in tensioni o direzioni opposte. Il pen­siero classico ha individuato alcuni di questi binomi ontologici come essenza-esistenza, potenza-atto, materia-forma, sostanza-accidenti.

Per questo su ogni realtà finita si possono dare giudizi diversi, ed anche opposti (ma non contradditori) e tut­ti veri, dal momento che si può met­tere in rilievo ora l'uno ora l'altro aspetto. E' giusto affermare, ad esem­pio, che questo tavolo è (rettangolare, bello...) ma anche che non-è (non è una casa, né un'auto, e così via). Del­l'acqua che si sta riscaldando si può dire che si trasforma (diventa da fred­da calda) ma anche che rimane im­mutabile (fredda o calda, l'acqua resta acqua). Questa è la dialettica del finito.

Il principio di non-contraddizione, come s'è detto, ne costituisce il limite invalicabile, al di là del quale essa si auto-annullerebbe.

Contraddirsi infatti significa cadere nel non-senso. E' corretto affermare che il mio braccio era malato ieri ed è sano oggi, o che è ferito qui e non 11, ma non che è contemporaneamente e nello stesso punto sano e malato. In altri termini è legittima una dia­lettica degli opposti, ma non della contraddizione.

 

La dialettica

del «si, ma anche»

Di fronte all'esistente finito pluri­dimensionale e dialettico sta l'uomo, creato anch'esso, ma chiamato a co­noscere e a costruire il cosmo. In quanto spirito incarnato, quindi sog­getto allo spazio e al tempo, egli guarda la realtà in « prospettiva », cioè da qui ed ora. Perciò vede le cose sempre per settori e relativa­mente al momento e al punto da cui osserva. Sta qui la causa del fatto che l'uomo non riesce mai a cogliere nella sua totalità e complessità non solo la realtà che lo circonda ma neppure il più semplice degli esseri. Lo conosce sempre per aspetti, per dimensioni, senza riuscire ad abbracciarlo tutto, nello stesso istante e con un solo sguardo. Capiamo per gradi, nel tem­po e in modo discorsivo.

La conclusione da tirare è di estre­ma importanza: nessun uomo può considerarsi depositario unico ed asso­luto della verità, perché sappiamo sempre qualcosa, mai tutto. Perciò nessun'affermazione umana è esausti­va, tale cioè da non ammetterne altre diverse, anche opposte, egualmente vere, che la completino pur senza ne­garla. In altre parole: ogni giudizio umano ammette un « si, ma anche ». L'uomo è spirito, si, ma anche cor­po; ha delle dimensioni eterne, ma altre soggette allo spazio e al tempo; deve lavorare, ma anche riposarsi. La stessa dialettica agisce pure sul piano della fede: Gesù è uomo, ma anche Dio; la Chiesa è visibile, ma anche invisibile; siamo salvati per la fede, ma anche per le opere. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi a piacere. La dialettica del finito sul piano dell'essere genera quella del « si, ma anche » sul piano della conoscenza.

Appare chiaro, allora, che tutte le volte che una verità si chiude in se stessa e si assolutizza, perdendo il rapporto dialettico con le altre, si falsa. E' come un fiore sradicato che appassisce. La storia e i terremoti ideo­logici che scuotono il mondo attuale ci danno ragione. In genere la gran parte degli errori e delle eresie non sono altro che delle verità mutilate del « si, ma anche » e ipso facto tradite.

Sta qui il fondamento metafisico del pluralismo e del dialogo. L'umiltà e l'apertura alle opinioni degli altri non sono virtù facoltative, ma necessarie per rimanere nel giusto, e quindi un dovere di tutti. Perciò, eccetto il caso in cci un'affermazione contraddica la verità, non ho mai il diritto di rifiu­tare quello che l'altro mi dice, solo perché non lo capisco, o perché mi sembra troppo audace o troppo tra­dizionalista.

 

Azione e dialettica delle tensioni

Il conoscere è in funzione della vita, altrimenti non serve a niente. Ma fare significa incarnare quello che si conosce. Esattamente a questo livello i problemi, caricati con la dialettica, esplodono.

Infatti tutte le idee e i principi che guidano l'agire umano, pur rima­nendo assoluti, eterni ed universali in se stessi, ammettono un « si, ma an­che ». Occorre amare, sì, ma anche essere giusti; bisogna essere coraggio­si, ma anche prudenti; liberi, ma an­che sottomessi. Per realizzarsi e co­struire sul serio, cioè nel rispetto del­le leggi del reale, non si può essere solo rigidi o solo comprensivi, lodare sempre o non fare altro che sgridare. L'agire intelligente non si esprime mai nei termini di aut, aut; ma di et, et, cioè in modo dialettico nel quale ogni valore implica l'altro. Il difficile sta proprio nell'incarnare questi va­lori in modo equilibrato.

La situazione rischia di ingarbugliar­si ancora di più scoprendo che la dia­lettica non solo scocca tra i diversi principi di azione, ma vive anche al­l'interno di ognuno di essi. L'amore, ad esempio, è una legge morale va­lida per tutti, sempre e dovunque. Ma che significa amare? Amare può si­gnificare dare una carezza, ma anche rimproverare; si può fare giustizia pre­miando o punendo; cosi come può essere prudenza parlare e stare zitti. Ogni idea, insomma, ha un'infinità di facce, tutte espressioni della stessa verità, ma tutte diverse e perfino op­poste.

Nell'ambito del sapere umano però non ci sono solo idee astratte, ma anche conoscenze concrete che si ri­feriscono alle persone, ai tempi, alle circostanze... Sono particolarmente im­portanti ai fini dell'azione perché, aven­do un contatto diretto con la realtà, ci permettono di tenere la mano al polso delle cose.

Anche queste conoscenze vivono la stessa dialettica. Cosi è opportuno di­re una cosa adesso, ma non dopo; a questa persona e non a quella; qui e non là. Ciò che ho fatto ieri forse non è indicato farlo oggi perché la realtà cambia.

Agire bene, alla luce di quanto si è detto, è estremamente difficile per­ché siamo tirati in tante direzioni. Stiamo sempre al centro di tensioni,

cioè di possibilità di comportamento diverse ed anche opposte. E' la dia­lettica delle tensioni, figlia sul piano dell'agire di quella del « sì, ma an­che » e nipote della dialettica del fi­nito.

Come essere libero e responsabile sono chiamato ogni momento a sce­gliere una di queste alternative. E qui tocchiamo l'apice del problema: secondo quale tensione devo agire? Che cosa mi garantisce di fare le cose bene, cioè al punto giusto, nel mo­mento opportuno e con i modi adatti?

 

La tentazione dell'unilateralità

La risposta va cercata volta per volta. Ecco perché vivere secondo le tensioni è duro. Si capisce allora la tentazione di ricercare soluzioni di comodo. In ogni uomo, infatti, c'è un bisogno profondo di sicurezza che, accoppiandosi ad una naturale pigri­zia, genera il desiderio di avere sem­pre in tasca la risposta facile e valida per tutte le occasioni, senza sudare troppo. Confezionare una soluzione del genere è semplice. Se la causa di tutto è la dialettica basta farla fuori ed il gioco è fatto. Le tensioni sono troppe e danno fastidio, allora se ne prende una, si assolutizza, si buttano dalla finestra le altre e si ha la ricetta magica per tutte le situazioni. Giu­stizia, per prendere un caso, può con­sistere nel fare la rivoluzione o nel morire in silenzio.

Ma è scomodo cercare di capire quando occorre fare l'uno o l'altro. E' tanto più facile limitarsi a dire giustizia = rivoluzione e si ottiene una linea costante e sicura: conflitto in tutti i casi e ad ogni costo.

Questa impostazione è profonda­mente sterile, però si ammanta con i colori affascinanti della semplicità e dell'efficacia. Siccome c'è sempre un sacco di gente che ha bisogno di una sola medicina che curi tutti i mali e che liberi dal dramma della scelta, queste soluzioni sono sempre prime in classifica e riscuotono larghi consensi. Ma, prima o poi, il trucco si scopre e finiscono per fallire perché sono in contrasto con la realtà che è dialet­tica. E' facile, poi, che dall'esperienza di un fallimento si passi, per lo stesso meccanismo psicologico, all'estremo op­posto. Da Scilla a Carriddi: e si fa di nuovo fiasco. La storia spesso va avan­ti secondo un cammino pendolare.

 

La risposta autentica: la Sapienza

La soluzione ce la offre il momen­to presente. E' nel qui e nell'adesso che comprendiamo secondo quale ten­sione deve orientarsi il nostro agire. Dobbiamo essere come un bravo auti­sta che sterza ora a destra ora a sini­stra, accelera o frena, non a casaccio, ma seguendo il percorso della strada. Il segreto sta proprio nel conformarsi alle esigenze della realtà o, in parole diverse, a ciò che Dio ci chiede ogni momento attraverso le circostanze. E questa è la Sapienza, cioè vedere le cose con l'occhio di Dio.

Dunque è la Sapienza, luce di Dio in noi, che ci guida nella dialettica delle tensioni e ci indica il tempo per demolire e per costruire, per pian­gere e per ridere, per abbracciare e per separarsi, per tacere e par parlare (Eccle. 3, 1-8).

Il modello perfetto è Gesù. Ogni suo gesto (tanto il dire beati quanto il « guai », l'essere mite o il prendere la frusta...) è espressione di verità e di armonia perché in tutto ha fatto la volontà del Padre (Gv. 6, 28). Perciò agire nella Sapienza significa agire come agirebbe Gesù, o meglio, lasciarLo agire in noi.

 

Il dono di Dio

La Sapienza è la soluzione; ma co­me possiamo ottenerla e cosa ci ga­rantisce che siamo in essa?

La Bibbia parla chiaro: La Sapien­za è dono di Dio (Sap. 1, 1). Non può essere conquistata o pretesa, ma invocata. Dio infatti si rivela agli umili (Mt 11, 25), e «darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono » (Lc 11, 13).

Ma se è vero che all'inizio c'è una iniziativa puramente gratuita di Dio (1. Gv. 4, 19), è altrettanto vero che Egli ci chiama ad essere suoi colla­boratori e a rispondere alla sua grazia (2. Cor. 6, 1). Era necessario, perciò, che Egli ci rivelasse la « via Sapien­tiae ». « Dio è Amore: e chi sta nel­l'amore sta in Dio e Dio sta in Lui » (1. Gv. 4, 16). Chi ama dunque è nel­la Luce, perché Dio è Verità, e cono­sce Dio (4, 7) perché a chi ama Egli si manifesta (Gv. 14, 21). Per questo è la carità vissuta nel momento pre­sente che ci dà la certezza di essere e di crescere nella Sapienza, cioè nella volontà di Dio.

L'amore vero, quello che dona la verità, presenta segni inconfondibili. Sono essi a garantirci che abbiamo imboccato la strada giusta.

Il primo è la concretezza. Sta scrit­to: « Se desideri la Sapienza, osserva i comandamenti ed il Signore te la concederà » (Eccli. 1, 23). Ed innan­zitutto occorre vivere il comandamen­to nuovo amandoci gli uni gli altri come Lui ha amato noi (Gv. 14, 34). Perciò « se uno dicesse " io amo Dio " e odia il prossimo, egli è un bugiar­do: chi non ama il prossimo che vede non può amare Dio che non vede » (1. Gv. 4, 20-21).

Un altro segno è l'attenzione. Il Signore non manda telegrammi con su scritta la sua volontà, ma ci parla attraverso le cose, la Chiesa, la no­stra coscienza. Tutto è Grazia e tutto è Parola. Ogni istante, dunque, è carico di significato; sta a noi leg­gerlo e decifrarlo.

Come il peso di un cono rivoltato grava completamente su un punto, cosi chi ama sul serio cerca di con­centrarsi nel momento presente, con attenzione intelligente, per non per­dere neppure una sillaba del grande discorso che Dio ci rivolge ogni gior­no attraverso la realtà.

Il marchio più visibile è certamen­te quello dell'unità, tanto che Gesù l'ha data come distintivo dei suoi di­scepoli (Gv. 13, 35).

 

dialettica delle tensioni

La Sapienza va ricercata nella co­munione con la Gerarchia perché « chi ascolta voi, ascolta me » (Lc. 10, 16), ma anche con i fratelli (1. Gv. 1, 7). Non solo perché il volto completo della verità si ottiene nella misura in cui ognuno dona il suo « pezzo di vero » e lo armonizza con quelli de­gli altri; ma soprattutto perché dove due o più si amano, 11 è presente il Maestro (Mt 18, 20).

L'amore di Dio, infine, parla col linguaggio della Croce. Chi non lo conosce non ci capisce niente e non può avere in se stesso la Luce. Dal momento in cui il Verbo di Dio fatto uomo si è annientato fino alla morte in croce, la Sapienza non può essere altro che Amore crocifisso. In Gesù Abbandonato il Padre ci ha detto tutto ed è in Lui e con Lui che dob­biamo cercare la verità.

Se la nostra carità si presenterà con questi segni, che sono il timbro dello Spirito Santo, allora avremo la cer­tezza di possedere in noi la Sapien­za (1. Gv. 3, 19) e di muoverci nella

tensione giusta. Certo restiamo limitati e possiamo, in buona fede, prendere dei granchi. Ma « se la nostra co­scienza non ci rimprovererà, possiamo star sicuri davanti a Dio» (1. Gv. 3, 29). Infatti « sappiamo che ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rom. 8, 28), anche gli errori, se sbagliamo amando.

N.B.: L'argomento richiederebbe molte precisazioni che lo spazio non ci consente. Dovrebbe appari­re chiaro, tuttavia, che quanto si è detto non ha niente da spartire col relativismo o con l'etica della situazione nella misura in cui tali teorie affermano la non esistenza di valori assoluti. Per noi, al con­trario, ci sono principi assoluti, eterni, universali che vanno però integrati l'un l'altro e che posso­no essere incarnati in modi diversi. In questo ultimo senso dipendono effettivamente dalla situazione.

Pino Petrocchi