Su babbu a su fizzu,

 

Ho avuto sempre rapporti difficili con quelli di casa. Di carattere espansivo, riuscivo ad essere auten­tico solo fuori casa: ma con i miei era tutto diverso.

Ad ogni modo da un po' di tem­po ero riuscito ad iniziare un in­contro più profondo con mamma e sorella, però con babbo neanche a parlarne. L'incontro era tanto più difficile anche perché lui non ve­deva bene il mio modo di essere prete, di vestire... Qualche volta si lamentava perché dopo tante fati­che per avere un figlio prete era arrivato solo ad avere un « mezzo » prete in casa.

Naturalmente io tante volte con­trobattevo e cosi si era creato quel rapporto tra padre e figlio fatto di incomunicabilità, situazione che è poi tanto normale nelle famiglie di oggi.

Quando sono arrivato a casa per natale, dopo la prima parte della scuola sacerdotale, non avevo nes­sun programma e nessun proposito. Sentivo tanto nell'anima che dovevo amare e basta, e, per questo, per­dere in continuazione tutto.

Fu cosi che, mentre entravo in ca­sa e salutavo i miei, sentii come una forte luce nell'anima. Mi sem­brava di aver perso babbo, mamma, mia sorella, perché mentre li abbrac­ciavo qualcosa di più grande mi le­gava a loro. Sono quei sentimenti improvvisi che ti riempiono l'anima, li vivi nel momento con amore e poi non riesci ad esprimerli; ma per me fu una rivoluzione.

In quel momento non erano più parenti, ma delle persone che do­vevo amare più che babbo, mamma,

sorella, perché erano Gesù. E sen­tivo che Dio mi prendeva i fami­gliari quattro mesi prima di lasciarli per andare in missione in Brasile.

Cercai di amare in cose molto semplici, stando di più a casa, gio­cando con loro. Con babbo poi mi mettevo continuamente a disposizio­ne con la macchina per portarlo in campagna. E siccome sapevo che lui ha tanta difficoltà a chiedere, cer­cavo di prevenirlo, anche con un po' dì insistenza. E una sera che eravamo soli la mamma mi ringra­ziò per le attenzioni che avevo verso babbo.

Ma il fatto che più mi ha scioc­cato, è avvenuto la notte di Natale. Dopo la messa di Mezzanotte era­vamo tutti a casa. C'erano anche altri parenti. Ad un certo punto babbo chiede a tutti un po' di silen­zio. Mette le mani in tasca, toglie un foglio battuto a macchina e in un clima di intensa commozione inizia a cantare una poesia in lingua sar­da, composta da lui per me che do­vevo partire in missione. Il titolo era già un programma: «Su babbu a su fizzu» (Il babbo al figlio).

La poesia era lunga, ma in sin­tesi mi chiedeva perdono se prima aveva cercato di negarmi a Dio. Sentiva di non averne il diritto, an­zi era felice con me e sentiva nel cuore che lui voleva partecipare alla mia missione, dandomi a Dio e be­nedicendomi.

Per la prima volta sentivo di aver scoperto mio padre e di trovare con i miei genitori un rapporto di pie­nezza proprio ora che stavo per la­sciarli.

Nino Carta