Gens svizzeri a Lione
E' una formula nuova. In Svizzera, dove è in atto, ha questa figura: si tratta di
lasciare per un anno o più il proprio seminario o la propria
università e di traslocare in un'altra scuola, normalmente al di fuori
della propria nazione. Le finalità e le caratteristiche di questo
fatto sono molteplici, ma viene in luce soprattutto l'occasione che si offre di
allargare la propria mentalità nel contatto con altre impostazioni
teologiche, con altre situazioni ecclesiali, oltre a quella di poter
condurre una vita volutamente sganciata dalle strutture del seminario.
Prima o poi è un passo obbligatorio per tutti.
Quelli che seguono sono alcuni appunti di
questa incipiente esperienza che vede impegnati due seminaristi della
diocesi di Basel e uno di St.
Gallen, attualmente a Lione. Tratteggiano impressioni
ancora fresche, ma più ancora rilevano
uno stile di presenza in quella città che di comune accordo hanno
scelto.
«
Sabato siamo andati a vedere 'il Padrino'. Un film
molto violento, riflesso fedele, sotto certi aspetti, della realtà del
nostro tempo. Risaltava la potenza di quelle persone,
in qualche maniera unite tra di loro, anche se si trattava di una unità
nella violenza, tanto interiormente che esteriormente. Ho pensato
subito, per contraccolpo, quale incidenza potremmo avere noi nella
società facendo leva sulla forza dell'unità
realizzata tra noi con libertà e amore. Avremmo in noi la potenza
di Gesù sulla croce, la capacità di generare la Chiesa. Era
un richiamo forte e salutare, che suonava: 'I
figli delle tenebre sono più furbi dei figli della luce'».
Dunque l'impegno di vivere alla lettera il
Vangelo in unità e senza dualismi.
Si sente da quanto scrivono che questo non è un processo pacifico.
«
In questa settimana mentre viviamo la parola 'cercate prima di tutto il
regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù'
faccio la scoperta che in questa ricerca mi viene
tolto tutto. Nella scuola ad esempio trovo molte difficoltà
per la lingua, e alla fine di ogni lezione devo precipitarmi a chiedere a
qualche francese i suoi appunti. Ogni volta mi sforzo di balbettare
qualche frase con la vergogna di non sapermi
esprimere, mentre il mio orgoglio va a pezzi. Se poi m'accorgo che quel
caro francese è attaccato ai suoi appunti, mi costa veramente il
non piantarlo, dicendogli di andarsene in quel paese lui e la sua roba. E' una
prova di ogni giorno che non sono ancora riuscito a passare senza darmi».
I danni continuano anche nell'affare
della casa. Trovare un appartamento a Lione è un problema, ma 'per caso' hanno letto
su un giornale che l'occasione ci sarebbe. Un buon appartamento e a poco
prezzo. Però « l'ammobiliamento non va avanti e abitiamo
ancora nelle nostre vecchie e care stanze».
D'altra parte sono proprio queste difficoltà, come nel caso dell'alloggio o della lingua
straniera, che dicono l'autenticità di questa esperienza. Non
c'è più la protezione del seminario dove, seduto a tavola,
aspetti che ti servano i pasti, dove conosci tutti e
tutti conoscono te. C'è invece il contatto diretto con la vita reale,
anonima e secolarizzata della nostra epoca. E il fatto che questo contatto
sia a volte doloroso fa capire che essere cristiani e, • più
ancora, sacerdoti, oggi non è questione di parole, ma richiede uno
sforzo continuo e costante per costruire l'amore e quindi la presenza di
Dio nella vita d'ogni giorno. Significa superare
quell'apparente alterità tra Dio e il mondo, oggi più che
mai avvertita a livello sia esistenziale che teologico. E in questo essere
tutto di Dio e nello stesso tempo tutto del mondo, la loro
presenza a Lione è come un seme che sta crescendo sin dal loro arrivo.
«
Dal 12 ottobre mi trovo in questa grande città, immerso nella quotidianità,
nella normalità: uno tra tanti. Andare al mattino all'università
nel pullman gremito, aspettare poi il mio turno nella mensa universitaria
gremita anch'essa, pigliarmi piatto, forchetta,
coltello, scegliere quattro cose da mangiare, e alla sera andare a messa
in mezzo a tante persone sconosciute... E allo stesso tempo, dentro di me, la
volontà di non fermarmi proprio ora, di essere amore per tutti, di
far andare avanti la rivoluzione, di affrettarla, sapendo che essa
non può progredire che tramite la nostra vita. Non posso evadere,
devo essere presente, senza ricerca di eventuali successi: presente aiutando
magari un altro studente a trovare un indirizzo o ascoltando un africano
che mi vuol parlare della sua situazione
coloniale. A volte vorrei parlare, ma non voglio che sia solo uno sfogo.
L'altra sera Maurice ci diceva: « Non
lasciatevi intrappolare dalla tentazione di chiacchierare. Costruite
l'unità tra di voi e date agli altri questa
unità vissuta. Non c'è nessuno qui a Lione che aspetti un altro
gruppo o un altro movimento ». Niente squilli di tromba dunque
o parole inutili, ma la costruzione di una realtà nella penosa
normalità della vita di ogni giorno. Ed è in questo sforzo che
trovo il mio posto ».
Otmar S. - Waltef A. - Leo R.