Malgrado lo sviluppo della
scienza e della tecnica ognuno è
alla ricerca de
la risposta che appaga
Ennque Cambón
Crisi
dell'intelligenza
E' noto il travaglio attraverso cui passa la conoscenza
nell'umanità d'oggi.
Qualcuno comincia ad aspettarsi un risveglio
della poesia, perché ormai le
soluzioni offerteci dal pensiero sui problemi ultimi e decisivi sarebbero arrivate ad un punto tale che, soltanto nel campo
della poesia, l'uomo potrebbe trovare spazio per orizzonti ed espressioni
nuove, che lo sazino.
Altri vogliono rivalorizzare
il mito, non nel senso di leggenda, ma come forma d'espressione
simbolica (« archetipica
») o approssimativa, per certe verità e fatti oggettivi ma
difficili da esprimere.
Persino attraverso la droga si cercano «
modi di pensare differenti ».
L'esperienza e la
conoscenza mistiche, si sa, sono considerate da alcuni solo
prodotti psicologici e culturali, negando loro ogni capacità di conoscenza oggettiva e di accesso alla
verità 2.
Si parla di « crisi attuale dell'intelligenza »3. Lo stesso
Paolo VI ha rilevato che l'umanità sta passando una specie di notte
oscura.
Ma, almeno, gli enormi sviluppi della scienza
e della tecnica, non producono nell'uomo un senso di potenza e di
fiducia? Non certamente riguardo ai problemi limiti, al senso profondo
dell'esistenza. Cosi si esprimeva D. Dubarle in
una Settimana degli Intellettuali Cattolici francesi: « San Giovanni della Croce descrive nella sua opera
le angosce della notte attraverso cui deve passare chi vuole andare fino in
fondo nel suo sforzo di unione con Dio. Non dubitatene:
l'umanità moderna, con la forma di coscienza che le è
caratteristica e lo sviluppo irresistibile della sua potenza, con la scienza,
con la padronanza della natura che diventa anche progetto di dominio e di
possesso di sé stessa... questa umanità e la sua energia non
sono altro che... la notte dello spirito, trattata dall'autore mistico del XVI
secolo, a livello popolare e universale » 4.
Dove trovare quella conoscenza pienificante, che appaghi veramente l'animo dell'uomo?
Gli uomini di oggi « cercano invano,
ovunque, quel potere che darà loro, di colpo, sapienza e
santità » 5.
Sapienza
nell'A. T.
La ricerca della saggezza era comune ad
Israele ed a tutte le culture dell'antico
Oriente6. Era una saggezza di tipo pratico, uno sforzo d'osservazione e d'intelligenza delle cose, per aiutare l'uomo a
condursi con prudenza e abilità
nella vita7.
La sapienza nella rivelazione dell'A.T. aveva
però una fisionomia propria. Era
tutto questo, ma anche molto di più.
Il tema della sapienza non può circoscriversi ai libri « sapienziali »: è una mentalità, un
movimento, che pervade tutto l'Antico Testamento. Gli studi attuali stanno
orientandosi in questo senso.
Si trattava di un meditare su tutta la realtà, sul cosmo, sulla Legge, sulla vita ed il
destino degli uomini, scoprendo in ogni cosa le orme della Sapienza di Dio. Era un conoscere
che proveniva delle loro esperienze religiose, ed allo stesso tempo dono
di Dio; un meditare gli insegnamenti dei Profeti, considerando le meraviglie di
Dio in mezzo al suo Popolo.
Uno dei meriti della fede del popolo
israelita, è stato quello di far prevalere
l'interpretazione di fede (sapienziale, appunto)
sulle altre possibili interpretazioni degli avvenimenti (economica,
politica, ecc), giuste nel loro campo, ma incomplete e
insufficienti.
La linea sapienziale
era un'interpretazione umanistica8, che cercava però di vedere le cose « dalla parte di Dio
». Era una risposta dell'uomo all'iniziativa
di Dio 9. Per questo è facile trovare mescolate delle
frasi che esprimono un'« esperienza di Yahvè
» con altre che esprimono un'« esperienza del mondo ».
Questo risulta strano per noi, che abbiamo cosi nettamente tagliato la
conoscenza naturale dalla conoscenza di fede. « Forse la grandezza
d'Israele sta nel non aver separato la fede dalla conoscenza. Le esperienze
del mondo erano sempre per loro esperienze di Dio e le esperienze di Dio
esperienze del mondo » 10. Anche nei tentativi
più « secolarizzati », non si trattava mai di un'esperienza
non impegnata, che avrebbe potuto funzionare indipendentemente dalla loro fede
in Yahvè.
La sapienza era qualcosa di sociale,
trasmesso attraverso la famiglia ed i «
maestri »; qualcosa anche di universale, perché varcava le
frontiere d'Israele e interpretava tutta la
realtà.
La conoscenza sapienziale
non si fermava all'elemento enciclopedico ma
portava all'agire: essere saggio non era solo conoscere il mistero ultimo
dell'esistenza, ma saper vivere rettamente, secondo il volere di Dion. Era un
confronto, non semplicemente intellettuale, dell'uomo con la
santità. Un esempio tipico
ce l'offre Giobbe, che
non dispera anche se non può darsi una risposta concettuale esauriente;
riesce a fare qualcosa di più importante che dare una spiegazione del
dolore: vivere pienamente anche in mezzo al dolore.
Così
non è da meravigliarsi che la Sapienza fosse
considerata il tesoro più grande che possa esistere (Sap. 7, 7-14). Cosa di più prezioso per l'uomo
che « averla per sposa » (8, 2)12?
Sapienza
nel N. T.
La rivelazione della Sapienza arriva al suo
culmine nel N.T., non solo
perché Cristo continua ad utilizzare lo
stile sapienziale, ma perché Lui stesso
è la Sapienza di Dio diventata carne (I Cor. 1, 24.30).
Quando Cristo ci dice che lui è la Verità, non dice qualcosa di metaforico
o approssimativo, perché in lui « sono nascosti tutti i tesori
della sapienza e della conoscenza » (Col.
2, 3).
Noi acquistiamo la sapienza nella misura in
cui acquistiamo la « mentalità
» di Cristo (I Gv. 5, 20). Diventiamo sapienza nella misura in cui
diventiamo Cristo, attraverso la fede, l'amore, la Parola vissuta (Ef. 3, 17-19).
Certo, è
una logica diversa quella della sapienza umana da quella della sapienza divina,
perché questa si trova attraverso la croce. Cristo crocifisso, scandalo
per alcuni, follia per altri, diventa sapienza di Dio per noi (I Cor. 1, 22-25;
2, 2). I santi sono quelli che l'hanno capito meglio, quando dicevano ad es. che chi
conosce il crocifisso conosce tutto, chi non conosce il crocifisso non
conosce niente.
La sapienza è un carisma, un dono gratuito ricevuto dallo Spirito al servizio
della comunità (I Cor. 12, 8; 2, 7-16; Ef. 1, 17). Ma allo stesso tempo bisogna chiederlo,
farsi bambini, aprirsi, diventare silenzio, farsi capaci di accogliere
questo dono (Mt. 11, 25; I Cor. 2, 6; 3, 18-19; Ef. 5, 15; Giac. 1, 5-7).
Maria ci è modello in questo atteggiamento. Lei « ci rivela la fecondità soprannaturale di una relazione di
dipendenza volontaria nei confronti di Dio che ci parla »13.
Si capiscono così le applicazioni dei testi sapienziali
a Maria, che la Chiesa fa già dai tempi più antichi.
Un
sapere sapienziale
Quali sono quindi, oggi, le caratteristiche
di una conoscenza nella linea della sapienza? Vediamone alcune: si tratta di un
sapere che si riferisce all'essenziale,
ai motivi ultimi dell'esistenza. Produce ordine e armonia (« sapientis est ordinare
»). Esige conformità tra operare e sapere. Include anche il
fattore affettivo (conoscenza non solo « per modum
cognitionis » ma anche « per modum inclinationis »)
senza confondersi col sentimento. Non è necessariamente legato alla
scienza, ma dalla loro unità derivano benefici enormi per entrambe:
l'esperienza acquista ad es. universalità di linguaggio, precisione
concettuale, metodo d'esposizione, mentre la scienza diventa « sapientia », cioè « sapida scientia », una « scienza piena di sapore
».
Proprio perché è un sapere sapido, non solo risolve dubbi, ma sostiene,
è vivificante. Porta all'azione, all'impegno. Sa dirci la
verità non disgiunta — affinchè
sia verità — dall'amore. Comunica gioia e certezza. Anche speranza
e pace. Per questo non «canea né inaridisce. E' personale ma
non demagogica. Si propaga più per irradiazione, per testimonianza,
per iniziazione, che attraverso discorsi.
E' una conoscenza che proviene dall'amore a Dio, dalla vita
di Dio in noi. Quindi è logico che le sue caratteristiche
si riconoscano nella linea dei « frutti secondo lo Spirito ». Lo
stesso per i suoi effetti. Pian piano cresce in noi il gusto e la
sensibilità per la Sapienza, e acquistiamo la capacità di distinguere quando un discorso è « nella
Sapienza ». E' un discorso che illumina non solo la nostra mente, ma tutto il nostro essere, e si resta li incantati
senza nemmeno accorgersi del tempo che passa: ti mette in qualche maniera
già fuori del tempo, nella « realtà vera ». E' poi
una conoscenza che t'impegna nell'adesione al bene, o almeno non puoi restare
neutro o indifferente. Porta a trasformare il mondo — non soltanto
a pensarlo. Non solo, ma ti dona la forza, la speranza, la fiducia, che il
mondo si può cambiare.
Non si deve credere che sia una conoscenza
che deve rinnovare solo la teologia o la vita religiosa. Possiede la
potenza d'illuminare ogni attività
umana, dalla scienza all'arte alla politica. « E' il dono della sapienza
che anche nella preparazione scientifica mediante lo studio, fa' che noi
non si sia dei puri studiosi, dei puri intellettuali,
degli aridi cerebrali, ma degli innamorati della Verità,
cioè di Dio; è il dono della sapienza che non solo sui vertici
della contemplazione mistica, ma anche nella teologia, nella filosofia e si
può dire in ogni disciplina, fà che si
sia degli amanti della Sapienza eterna, l'unica vera, che è anche
vita » 14.
E' un pensare che esprime la verità piena, cioè
quella verità che è allo stesso tempo bene, unità, bellezza.
E' un sapere che rende liberi. Liberi da
tutti e da tutto, anche da quei pesi che molte volte un pensare razionalistico
e troppo umano aggiunge al mistero naturale delle cose divine.
Non si tratta di un sapere « esoterico », una conoscenza di stile
gnostico. Ma di quella conoscenza vitale, pienificante,
unitaria, a cui ogni uomo è chiamato. L'unica
che può veramente appagare la sua sete di Verità e di
Bellezza.
Note
1 S. LUCARINI, Dossier sulla droga, Città Nuova Ed., Roma 1971,
p. 14.
2 Cf. Prefazione di E. DE MARTINO all'ed.
hai. di J. H. LEUBA, La
psicologia del misticismo religioso, Feltrinelli,
Milano 1960, pp. XI-XII.
3 Cf. J. DANIELOU, La crisi attuale
dell'intelligenza, Ed. Paoline, Roma 1970.
4 Citato in Ph.
ROQUEPLO, La foi d'un malcroyant,
Ed. du Cerf, Paris
1969, p. 7.
5 H.U. VON
BALTHASAR, Théologie et sainteté,
in: « Dieu
Vivant », n. 12 (1948), p. 25.
«
Cf. C. SPICQ et alii, Les Livres Sapientiaux, in: « La Sainte
Bible », voi. VI, Letouzey
et Ané, Paris 1946,
pp. 7-23.
A.M. DUBARLE, Où en est l'elude de la littérature sapientielle?,
in: AA. W., De Mari à Qumràn (Hommage a Mgr. J. Coppens), voi. I, J. Duculot-P. Lethielleur, Gembloux-Paris,
1969, pp. 246-258.
7 Cf. X. LEON-DUFOUR, voce « Sagesse », in: Vocabulaire de Tbiologie
Biblique, Ed. du Cerf, Paris 1962.
8 Cf. Introd. di L. ALONSO SCHOEKEL a Proverbios y Eclesiàstico, Ed. Cristiandad,
Madrid 1968, pp. 13-19.
9 Cf. G. VON RAD, Israel et la Sagesse, Ed.
Labor et Fides, Genève
1970, spec. «L'appel», pp.
185-195.
10 Cf. Ibid, pp. 76-79.
»
J.J. VON ALLMEN, voce « Sagesse
», in: Vocabulaire Biblique, Ed. Delachaux e Niestlé, Neuchàtel 1964.
«
Cf. P. FORESI, « La Sapienza », in: Conversazioni con i
Focolarini, Città Nuova Ed., Roma 1967, pp.
159-167.
133L. BOUYER, Le Tróne de la Sagesse, Ed. du Cerf, Paris 1957, p. 56.
14 R. SPIAZZI, II culto della Sapienza,
Desclée e C, Roma 1969, p. 54.