Perché tutto lo spazio diventi cammino e quindi spazio d'incontro

lo spazio nuovo

Klaus Hemmerle

 

Significa scoprire il mondo quale spazio vi­tale, quale abitazione per l'uomo, e quindi prendere l'impegno di fare del proprio ambiente uno spazio d'incon­tro, uno spazio per l'uomo.

Uno dei problemi più preoccupanti dell'uomo d'oggi è quello dello spazio. Non si può non notare un continuo penetrare dell'uomo in spazi sconosciu­ti, rimastigli chiusi sino ad ora. Ma questi nuovi spazi non accolgono l'uo­mo: in essi egli incontra sempre e soltanto se stesso. E quindi fa due esperienze dello spazio, apparentemente contraddittorie, ma in verità connesse tra di loro: l'esperienza dello spazio vuoto che, come tale, non offre all'uo­mo un punto fermo nella sua evasione da se stesso e, nello stesso tempo, l'e­sperienza dello spazio occupato, troppo stretto, che non lascia respirare (super-urbanizzazione, inquinamento...).

 

Io spazio della solitudine

E così l'uomo è angosciato dalla solitudine, segno del fatto che lo spazio esteriore che lo circonda lo lascia solo e, allo stesso tempo, lo sof­foca. Tutto questo perché? perché in realtà l'uomo ha perso il suo spazio interiore e, con esso, anche quello spazio tra lui e l'altro, che gli offri­rebbe la possibilità dell'incontro. E di questa perdita interiore la vita mo­derna ci manifesta molti sintomi. Nel sogno, nell'ebbrezza, nella droga tanti uomini d'oggi tentano di aprirsi uno spazio immaginario, scegliendo l'evasio-ne in un « dentro » che li protegga dalle costrizioni della società in cui si trovano e che permetta loro di as­saporare la libertà, l'autorealizzazione e la sicurezza. Altri cercano nella con­testazione il paradiso di una nuova innocenza ed immediatezza, sognando così uno spazio in cui si possa vivere autenticamente.

Quasi tutti si lamentano dell'impossi­bilità del contatto reale, dell'incontro vivo, del dialogo realizzato, e questo in un'epoca in cui si può costatare, sul piano quantitativo, un continuo in­tensificarsi ed allargarsi della comuni­cazione, della discussione, della coo­perazione, degli intrecci sociali in genere.

 

cosmologia antropocentrica

Già all'inizio dell'epoca moderna no­tiamo una svolta nell'esperienza dello spazio. Nei « Pensieri » di Pascal tro­viamo un'affermazione che anticipa la problematica attuale e che sarebbe stato impossibile pronunziare qualche secolo prima. « Vedo questi spazi spa­ventosi dell'universo che mi imprigio­nano, e mi trovo legato ad un angolo di questa estensione immensa, senza sapere perché sono qui piuttosto che in un altro posto » (frammento 194 s. B.).

Ma quali conseguenze ha avuto que­sta esperienza, così estranea al Medio Evo e all'Antichità? Innanzitutto essa ha dato all'uomo lo spunto per conce­pire e progettare tutto a partire dal suo io, dalla sua soggettività. Cosi egli vede lo spazio infinito come una di­mensione che può abbracciare e con­quistare.

 

l'alternativa della fede

Sarebbe tuttavia assurdo voler met­tere sotto accusa o addirittura elimi­nare questa caratteristica dell'epoca mo­derna, della sua scienza e tecnica, del suo pensiero.

E' però necessario spezzare il blocco che chiude l'uomo in se stesso ed indirizzarsi verso un'esperienza nuova e più profonda.

Lo stesso Pascal ne ha già indicato il cammino affermando che ogni espe­rienza esteriore dell'uomo dipende dal­le scelte fondamentali del suo cuore: o aprirsi a Dio nella fede oppure chiu­dersi nell'incredulità.

In questo modo il fondamento del­l'esperienza dello spazio esteriore è collocato non solo al livello dei sensi o della ragione, ma più profondamente, cioè nel cuore (cfr. frammento 282). Lo spazio esteriore dipende da quello interiore.

 

la dimensione di dio

Se credo che Dio esiste, e se non lo concepisco soltanto come fondamento ultimo, come colonna suprema o come orizzonte estremo del mio sistema filo­sofico-cosmologico, ma se egli è per me un Dio che ha che fare con me, con il quale posso avere un contatto reale; insomma, se mi tengo aperto al Dio vivo, in attesa e vigilanza, al­lora lo spazio, anche quello attorno a me, assume un significato nuovo. In tal caso, ciò che mi viene incontro nello spazio viene valutato sulla base del rapporto che esso ha con Dio.

Le cose collocate nello spazio non hanno quindi soltanto il significato di punti del sistema di coordinamento della mia visione del mondo, e nem­meno di avvenimenti casuali. Anzi, es­si sono punti d'incontro, tappe del cammino che faccio verso Dio e che Dio fa verso di me.

Così, tutto lo spazio diventa cam­mino e quindi spazio d'incontro. Allora non mi trovo più solo con le mie pos­sibilità né alienato da esse, grazie ap­punto all'apertura e alla conseguente relazione tra me e la realtà. Le cose cominciano a parlare e ad entrare in relazione fra di loro in uno spazio « camminabile » ed abitabile, in uno spazio  vitale dunque.

Il mondo si apre a chi si apre a Dio. Ciò significa prima di tutto ca­pire che gli uomini sono persone che Dio ha posto sul mio cammino.

 

lo spazio nella storia della salvezza

Nella storia della salvezza lo spazio assume sempre un ruolo centrale. Da una parte l'uomo fa l'esperienza dello spazio come estraneo a lui, in quanto non può stabilirsi in esso e possederlo in modo definitivo e sicuro: chi si apre a Dio è sempre chiamato a partire, è chiamato all'esodo.

Ma d'altra parte, lo spazio, spo­gliato dell'apparenza di poter offrire all'uomo la patria definitiva già qui e già da ora, gli si rivela cammino.

In tal modo lo spazio è « redento », perde cioè il suo volto di vuoto diso­rientante e di chiusura impenetrabile, diventando cammino verso la « terra promessa », verso lo spazio promesso in cui avverrà il compimento. Compi­mento che, pur avendo il carattere dell'avvenire, sta iniziando sin d'ora: è la « città nuova » che già sta scenden­do dal cielo (cfr. Apoc. 21).

Si potrebbe persino tentare di leg­gere il vangelo di Giovanni in chiave di esperienza dello spazio.

Il Logos, il cui spazio è in Dio e presso Dio, entra nello spazio vitale dell'uomo e vi innalza la sua tenda (cf. 1, 14). A noi invece la sua venuta chiede l'apertura, e a quanti lo ac­colgono conferisce il potere di essere figli di Dio (1, 12).

L'incontro con Gesù, poi, provoca la domanda: Maestro, dove abiti (1, 38) e chi lo segue lo fa rispondendo a quella parola che è allo stesso tempo invito e promessa: venite e vedete! (1, 39).

Più tardi Gesù, separandosi dai suoi, entra nella casa del Padre, dove preparerà loro un'abitazione (14, 1 ss.). Nello stesso tempo s'inizia quel mo­vimento di discesa di Gesù tra noi per prendere, assieme al Padre, abita­zione in quelli che restano nel suo amore (14, 23).

Chi non lo abbandona nella sua Pasqua, nel suo passaggio al Padre, guadagnerà proprio in quel momento la capacità di offrire, al posto di Gesù, lo spaziò agli altri uomini, che egli ha affidato al nostro amore. Così come sulla Parola di Gesù il discepolo che Egli amava prende con sé la madre di Gesù, e lei prende Giovanni come suo figlio (19, 26 ss.).

 

maria: l'apertura della creatura

La madre di Gesù: ecco l'essere umano che vive in modo esemplare l'aspetto dello spazio. Il suo « sì » è l'apertura radicale del cuore umano al Dio che viene. E, facendosi in tal modo spazio per l'incarnazione della Parola, ella si ritrova mandata sul cammino della carità, dell'incontro col prossimo: con Elisabetta.

La tensione, il buio, e allo stesso tempo, il compimento della sua vita sta proprio nel fatto che lei accoglie nella sua casa colui che deve essere nella casa del Padre, ma soltanto per perderlo continuamente nei confronti del Padre e degli altri uomini. Ed è il perdere nella sua manifestazione estrema, e cioè il vuoto dell'abbandono di Gesù sulla croce accompagnato dal­la solitudine di Maria, che segna l'ini­zio dello spazio nuovo, della creazione nuova, poiché proprio in quel mo­mento il vuoto, l'abbandono, il niente, sono accettati e quindi trasformati in spazio, nel quale Dio può abitare ed operare. Nasce così, dalla croce, la Chiesa: lo spazio dell'incontro fra Dio e gli uomini.

 

lo spazio come «luogo» dell'amore

Per noi credenti non basta solo pren­dere atto di tutto questo, accettandolo tutt'al più come interpretazione inte­ressante della storia della salvezza. Dobbiamo vivere questa nuova realtà dello spazio incarnandola in quello spazio di cui facciamo l'esperienza nel­la nostra quotidianità, nelle angustie della nostra epoca.

Dunque spazio significa sempre, per il cristiano, spazio per l'altro, spazio la cui  dimensione non si determina soltanto in base alle mie esigenze e al mio gusto: ma alla convivenza con gli altri e all'apertura per loro.

Dimensione che si rivela quella del Signore che mi viene incontro nel­l'altro, del Signore che vuol essere in mezzo, e cioè nello spazio tra me e gli altri. E ciò comporta non soltanto che gli uni « abbiano posto » per gli altri, ma anche un atteggiamento nuovo nei confronti delle cose.

Se lo spazio diventa spazio d'incon­tro, le cose si trasformano in dono: dono che Dio fa a noi, dono che noi facciamo agli altri. Quindi, come tali, le cose non sono più « neutrali » ma esigono di essere viste e capite alla luce della Parola. Parola che ci parla in tutti gli esseri, annunziando quel­l'unica cosa che Dio vuol dirci: che Egli ci ama.

E siccome ciò che è dono deve es­sere donato, noi non dobbiamo mai attaccarci a quanto possediamo e ab­biamo a nostra disposizione. Per il cristiano, perciò, povertà e rinuncia non vanno separate dal godimento delle cose e dalla libertà di farne uso. Anzi, è solo nella loro correlazione armo­nica che questi due aspetti si manife­stano a noi nel vero disegno di Dio, e cioè come dinamismo continuo di do­nare e ricevere.

Ora: tutto questo riguarda il sin­golo e il suo modo di concepire e di formare gli spazi della propria esi­stenza, ma riguarda anche la società e la Chiesa. Infatti l'essere spazio l'uno per gli altri, e quindi per il Signore, richiede anche delle strutture che sor­reggano e diano ordine.

Esse però, e ciò va detto subito, da sole non sono in grado di garantire il mantenimento e lo sviluppo di que­sta realtà.

Bisogna quindi che le strutture siano vitalizzate e superate da quell'apertura, da quell'amore concreto, in cui può avvenire l'incontro tra uomo e uomo, tra l'uomo e il Signore, tra il Si­gnore e l'uomo.