Parola di vita

 

«Anche se il nostro uomo esterno si va disfacendo,

il nostro uomo interno si rinnova di giorno in giorno»

(2 Cor. 4,16)

 

Se ci fermiamo un momento a riflettere su queste parole di Paolo, due caratteristiche emergono subito.

Una è l'atteggiamento realistico di Paolo davanti all'evidenza della fragilità sua e degli altri, in quanto uomini; l'altra la sua lungimiranza, che non si ferma all'aspetto esteriore delle cose, bensì ci assicura che « il momentaneo e leggero peso delle nostre tribolazioni presenti produce per noi una sublime magnificenza eterna di gloria, superiore ad ogni confronto ».

Da un lato, dunque, un fatto che l'esperienza di ogni giorno confer­ma: l'esistenza dei dolori personali, fisici e psichici; dall'altro, in stretto parallelismo, un altro fatto, motivo di certezza pur in mezzo alle tribo­lazioni: la fede nella risurrezione di Cristo e la speranza nella propria risurrezione.

La risurrezione di Gesù nella quale Paolo crede con tutte le sue forze è, con la glorificazione, l'epilogo di tutta una vita di annientamento, che trova il suo culmine nell'abbandono della croce.

Dio ha voluto farsi uomo; ha preso la forma di schiavo e si è fatto in tutto simile a noi. Per questo l'abbandono e la morte altro non sono che il frutto maturo dell'incarnazione.

Se Gesù ha voluto assumere in tutto la nostra condizione di uomini, sono chiare le conseguenze: in una civiltà come la nostra, protesa verso forme di benessere sempre più raffinate, decisa alla soppressione del dolore sotto ogni forma in cui si presenti, in una tale società il cristiano deve gridare con la sua vita che i dolori personali hanno un senso, e che colui che soffre ha una sua propria chiamata a realizzare la propria personalità in quelle, e non in altre, circostanze.

La novità del dolore in Cristo è che il suo soffrire ha una risposta.

Lui, soffrendo vince il dolore.

Vuol dire allora che Gesù si è fatto solidale col dolore umano soltanto per insegnarci ad accettare con rassegnazione e passivamente le tristi congiunture?

Certo, nell'abbandono di Gesù l'uomo vede che può accettare fino in fondo la sua condizione umana, con tutto ciò che comporta di divi­sioni, peccati, fallimenti. Ma soprattutto, in questo realismo, nell'accet­tarsi  cosi  com'è,  può   diventare  simile  a   Dio,   può  vincere   il   dolore.

Per questo il dolore non è altro che un passaggio, necessario tut­tavia, per arrivare alla vittoria, che per noi può significare: trovare il vero senso della vita, ricomporre in noi stessi la divisione prodotta dagli squilibri, frutto del peccato e della malattia. Infine, e soprattutto, farci partecipi della gloria di cui già gode Gesù.

Il nostro Dio, Gesù Cristo, ci mostra il suo trionfo dalla croce. Come abbiamo detto, la croce non è stata un fatto casuale nella sua vita. Lui ha incominciato a prepararsela assumendo la nostra condizione umana nel seno di Maria. Il Natale ci ricorda proprio questo mistero tremendo e fondamentale della nostra vita: un Dio-fatto-uomo. Un Dìo che accet­tando la limitatezza dell'uomo vuole aprirci l'infinito tesoro del suo amore.

Attilio Gimeno