GEN'S MONDO
Tendere a obiettivi
possibili e immediati
Da pochi giorni si è riaperta a Grottaferrata la Scuola Sacerdotale.
Tra i nuovi arrivati anche uno studente di teologia brasiliano, Vanin. Siccome su questo foglio abbiamo parlato diverse
volte dei fermenti in atto nel Brasile tra i seminaristi che hanno conosciuto e
vivono la spiritualità del Movimento dei
Focolari, abbiamo cercato di conoscere in modo più diretto, e
attraverso la storia di Vanin e attraverso gli
ultimi avvenimenti da lui riferiti, il senso di questa nuova vita.
Sono stralci di una conversazione molto
familiare, nata mentre si aspettava di andare a
cena.
«Era
l'anno 1968, il primo della teologia, e vi arrivavo con una grossa crisi.
Confusione personale interiore ed esteriore di cui non vedevo soluzione;
apatia verso lo studio ed ogni altra forma di attività. Forse il motivo
principale della mia crisi veniva da una esperienza
fatta nelle vacanze. Avevo conosciuto una ragazza e con lei era nato un
rapporto che mi aveva preso quasi totalmente. Era bella ma soprattutto di
famiglia ricca, e poiché nella mentalità della nostra
società il denaro sembra essere un fattore essenziale, mi si apriva attraverso lei un cammino nuovo e facile
nella vita. Per questo già pensavo di lasciare il seminario. In giugno
mi trovai nel bel mezzo di una Mariapoli. Di questa esperienza ricordo
soprattutto l'incontro con un sacerdote al quale, esponendo la mia situazione,
chiedevo un parere se restare o lasciare. La sua risposta mi sorprese: «
Non posso dirti se tu devi lasciare o no il seminario, ma so che tu devi
scegliere Dio nella tua vita ».
Dio entrava nella mia vita e tagliava.
Ma ho avuto anche la forza per accettare questo gioco. Così ho scritto alla ragazza che la lasciavo.
Non sapevo perché, ma nel seminario mi ritrovavo con una gioia
nuova, soprattutto con una libertà molto grande. Ripresi a studiare, a
collaborare con i superiori: quella stessa vita di sempre era un'altra vita.
Abituato a esigere molto dagli altri, nel footbal,
nella scuola, nelle conversazioni, capivo che dovevo anzitutto essere esigente
con me. Mi abituavo ad ascoltare, a far silenzio. E i miei compagni rimanevano
colpiti. Cosa succede a Vanin? E senza parlare, piano
piano, capivano.
Nella medesima Mariapoli avevo conosciuto — dico conoscere nel senso di far comunione —
un altro compagno del mio stesso seminario. Due mondi diversi, il mio e quello
di Amaurì, ma anzitutto ci sentivamo
fratelli: l'unità che costruivo con lui era il moto segreto che teneva
accesa la mia vita di relazione con tutti gli altri. Cosa succedeva?
Allargo un po’ il discorso. La situazione del
seminario di Curitiba (Paranà), dove vivo,
riflette un po’ lo stato generale delle cose. Anche in Brasile, per
quanto riguarda i seminari, si attraversa una situazione di
disorientamento generale che si ripercuote sui ragazzi, e ci sono molti che
abbandonano. In Curitiba si aggiungeva il fatto che
vocazioni adulte e giovani convivevano assieme, ma con difficoltà a
incontrarsi. Una situazione tesa. E pur con la volontà di far qualcosa
non si intravedeva una soluzione valida. D’accordo, tutti
puntavamo a vivere il Vangelo, ma come fare? Si percepiva
che la radice del fallimento era la mancanza di rapporti vicendevoli. Ma tutto
si fermava lì; a constatare che invece di essere comunità eravamo
una giustapposizione di persone.
Dopo due anni di silenzio ci è sembrato giunto il momento di parlare.
Così, dal 31 agosto al 3 settembre di
quest'anno si è realizzato al Centro Mariapoli di S. Paolo un raduno
al quale erano presenti 33 studenti provenienti dai centri di formazione
sacerdotale più importanti del Brasile centro-sud: Petropolis,
S. Paolo, Viamao, Curitiba.
Quello che in silenzio avevamo vissuto, lì l'abbiamo comunicato, aiutati
anche da alcuni sacerdoti coi quali eravamo in contatto. Molto incisiva,
ad esempio, è stata la testimonianza di Norbert,
sacerdote di Palmares nel nord-est brasiliano, che ha raccontato la sua
vita di comunione spirituale e materiale col vescovo e i sacerdoti con i quali
vive in presbiterio. L'aver visto un modello concreto di vita comunitaria
realizzata,
che semplifica e arricchisce tutti i rapporti a qualsiasi livello, ha dato
a tutti la speranza che si può ripetere questa vita nei propri seminari,
nella propria struttura diocesana. Si poteva continuare a mantenersi
critici davanti alle formule offerte dal seminario, al limite anche a
contestare: ma lì si scopriva il modo in cui questo si può fare:
nella carità e iniziando da sé stessi.
La stessa cosa si ripeteva in un incontro con
studenti di filosofia redentoristi, 28 per la
precisione, dal 22 al 24 settembre. Davanti alle esperienze di vita di
unità raccontate, saltava agli occhi
l'incongruenza di un ambiente che si diceva evangelico ma che non si
cementava nella comunione. « Io mi sento disprezzato da tutti voi
— diceva uno — e per questo sto sempre isolato nella mia stanza
». E per tanti questa era una scoperta, un fatto che nessuno aveva colto.
Un altro: « Io sono piccolo di statura, povero,
senza la possibilità di ben vestire, e questo mi mette a disagio in
mezzo a voi ». La contestazione si metteva a fuoco su obiettivi immediati
per rivoluzionare una comunità di 28 persone.
Quando sono partito per l'Italia li ho
trovati all'aeroporto a salutarmi, assieme ad altri teologi. Siamo rimasti
assieme per tre ore, sino alla partenza, conversando e cantando in una atmosfera
di vera gioia: davvero si percepiva qualcosa di nuovo che le parole non riescono ad esprimere.
Da quello che ho detto
penso che in Brasile si possa parlare, anche per il contributo che abbiamo
cercato di dare, di una rivoluzione in atto. Distanze geografiche, razze, mentalità fanno sembrare normale la divisione o
l'indifferenza anche all'interno degli stessi seminati.
La rivoluzione prima, che si attua, che si è realizzata in me e in
altri, è una conversione all'essenziale, a ciò che vale e rimane:
Dio, trovato e sperimentato nell'incontro col fratello.
E questo spirito evangelico ha già legato tra loro, come in una
grandiosa rete, seminaristi e religiosi dal nord al sud del Brasile. E questo,
nella nostra terra, è originale.
Joao Vanin
UN INCONTRO
L'anno scorso a Genova, quest'anno
a S. Maurizio di Rapallo. Siamo in venticinque a far festa al pranzo che Antonio
e Sandro, studenti di teologia come noi, finiscono di preparare. Chi è arrivato la sera prima, chi alle prime ore del
mattino, da Torino, Brescia, Genova, Piacenza; in breve da quattro regioni.
Portiamo tutti una estate carica di ricordi, di esperienze
nuove appena fatte, e un briciolo di preoccupazione: tra poco si rientra in
seminario. Per la verità è proprio in vista di questa data che da
quattro anni ci incontriamo. Ci sembra di avvertire, oggi particolarmente,
che stare nel seminario e adattarsi può essere facile, ma starci e dare
il proprio personale contributo in questo momento di rinnovamento e di
rievangelizzazione che la Chiesa sta vivendo, non lo è altrettanto.
Molto povero, sulla carta, il programma
di questi tre giorni: al mattino una meditazione in comune
con qualche esperienza, una conversazione tra tutti al pomeriggio e poi la
messa. Questo schema ha dato il tono al nostro incontro. Ricordo che subito
dopo la prima meditazione ci si guardava in faccia con occhi nuovi. Ancora
non avevamo avuto la possibilità di dirci le
esperienze ultime vissute; con qualcuno ci si incontrava per la prima volta, ma
capivamo, per quella meditazione, che contava anzitutto per ognuno di noi
essere a fuoco con Dio, condizione previa per sperimentare e comunicare quel disegno divino che Lui in noi
realizzava. Ci siamo sentiti amati personalmente, ognuno totalmente.
Lo stesso nei giorni successivi. La
meditazione era il momento in cui, sul nostro silenzio, si ascoltava e si
lasciava parlare Dio. Centrati in Lui anzitutto.
Come questo fosse essenziale lo capivamo
quando, nelle conversazioni del pomeriggio, a
gruppo compatto o frazionati, si parlava delle situazioni concrete dei
nostri seminari. Se per ogni caso c'era una soluzione specifica e diversa, capivamo però come la base di ogni nostro atteggiamento dovesse rimontare e
fissarsi in quello stare in Dio in ogni istante successivo della vita.
Probabilmente ci mancava dentro la convinzione piena che ogni trasformazione
e rivoluzione si accende quando, rimanendo inchiodati
nella volontà di Dio nell'attimo presente, lasciamo spazio a
un altro: alla Sapienza di Dio in noi. Questo è stato il dono
dell'incontro. E nella messa dell'ultimo giorno si coglieva dalle parole di
tutti come tra tutto quello che era avvenuto, tra le cose donate e ricevute,
rimaneva in particolare l'impressione di partire con una
sensibilità nuova, dovuta a quei tre giorni di esercizio di costante
messa a fuoco con Dio.
pulizia a
bordo
La vita su una moderna nave da crociera
ripete, a scala ridotta, quella di una grande città. Dai bar, alla piscina al naight, non ci manca
proprio nulla. E della città conserva anche le ben note contraddizioni:
l'incomunicabilità, ad esempio.
Li, fare il prete, — è il caso di don Giuseppe Bettoli,
già parroco di un piccolo paese della Romagna, ora cappellano di bordo, —
non è impresa da poco. Ti trovi spesso oggetto di battute scherzose,
ironiche, al centro di discorsi convenzionali, ma è difficile
rompere questo muro di maniere diplomatiche e stabilire con le persone un
rapporto profondo, costruttivo. Essere preti in una parrocchia simile —
ci scrive — non è cosa facile.
Se di pastorale si può parlare, la sua è fatta di una parola, di
un colloquio, di un saluto, di una naturale allegria:
fatti concreti che esprimono le sue convinzioni inferiori. Questa tattica
ha già sbloccato alcune volte
situazioni incresciose, come quella del marinaio deciso al suicidio
dopo alcuni fallimenti nella sua vita affettiva, o del comandante, arroccato
in se stesso per la morte della moglie.
E' proprio col personale della nave che
don Giuseppe è riuscito a
diventare uno della famiglia, e per tanti questo ha prodotto un cambiamento
inferiore ed esteriore. Un giorno un ufficiale gli si avvicina e gli dice: « Senta reverendo, non avrà intenzione di
far togliere tutte le bellezze della nave? ». « Quali
bellezze? ». In quei giorni era stata tolta dalla prima sala di
cucina una serie di manifesti a dire il vero poco puliti.
« Veramente io non ho mai parlato di questo a nessuno,
né in mettere né in levare.
Si sono fatte varie discussioni ma sempre
poco attinenti al caso che mi presenta, ed io, richiesto, ho detto liberamente
il mio parere; che poi abbiamo tolto qualcosa, io non ne so nulla. Può darsi sia avvenuto
per una maturata convinzione da parte di qualcuno. Ma... scommetto che
anche lei, nella sua cabina, ha qualcosa da togliere per fare pulizia, e
son certo che lo farà quando ne sarà
convinto ». « Si, è vero,
è vero », gridano tutti gli altri. E l'ufficiale se ne va,
incredibile, ma vero, a fare pulizia.