la bellezza

 

Dio dice Gregorio di Nissa usando un'espressione euforica tipicamente giovanile — è anelpiston kallos, vale a dire « di una bellezza superiore ad ogni speranza ».

Il Verbo di Dio fatto uomo è descritto nella lettera agli Ebrei come lo « splendore del Padre », e si potrebbe aggiungere con una familiare moderna espressione che lo ritrae dal basso «il più bello tra i figli degli uomini ».

Maria è per eccellenza la creatura « tutta bella », sintesi della bellezza della creazione al suo stadio finale di perfezione raggiunta.

E la Chiesa, che vede la propria immagine in Maria, è quella « splendida sposa senza macchia e senza ruga » che Gesù si è per cosi dire creata e conquistata mediante la redenzione.

C'è una somiglianza, tra queste diverse forme di bellezza, che può anche sembrare decrescente, ma che in definitiva non è che il risultato di una medesima composizione: l'unità del molteplice.

Tre persone che sono uno per l'amore. Due nature che fanno uno — come sposate nell'unica persona di Cristo, il quale evidenzia in concreto quell'altra straor­dinaria, armonia tra la sua Verità eterna e la propria esistenza storica. La pluralità delle tensioni insite nella creazione decaduta ricomposte e armonizzate nel più alto atto d'amore che è l'incondizionato fiat di una crea­tura, Maria, alla Parola (Volontà) di Dio.

E' la dichiarata bellezza della Chiesa che, al più, si potrebbe contestare. Essa, come « persona corporativa » (Ecclesia) fatta di creature che nella maggioranza poco

o nulla hanno della creatura-tipo che è Maria, appare nella propria esistenza temporale intaccata dal logorio del tempo e della molteplicità; o in altre parole, riferen­doci alle singole membra, deturpata dall'orgoglio del­l'auto-affermazione a scapito dell'unità. Vale a dire brut­ta, disarmonica. Cosi almeno può apparire all'occhio umano quando non sappia penetrarne la sostanziale unità datale dallo Spirito Santo non solo nel suo incessante sforzo di far camminare gli uomini verso l'attuazione della Gerusalemme celeste, bensì anche nel penetrare preventivamente ogni singolo uomo, onde distruggerne

1 limiti grazi al Crocifisso che ha consumato in sé ogni divisione ed ogni male ed aprirlo all'amore infinito.

Ma questa spinta interiore dello Spirito va ascoltata, accettata e assecondata. E non si tratta in fondo che di saziare la nostra naturale sete di amore e di bellezza prendendo coscienza però, che individualmente siamo sproporzionati all'esigenza che ne sentiamo. E' la Chiesa che realizza in sé in modo esaustivo la felice condizione di « splendida sposa » di Cristo, ma proprio in quanto « chiesa », ossia unità di molti, comunione di coloro che_ amano. Poiché dove c'è comunione di amore, tutto si ordina nell'armonia trinitaria e uno squarcio di bellezza increata illumina la terra: dall'unità di due o più, che già è Chiesa nel suo splendore di sposa poiché ivi Cristo si incarna, fino alla compiutezza dell'ut omnes, quando illimitata nello spazio e nel tempo la Chiesa apparirà con lo stesso splendore e la stessa gloria di Dìo.

Ma è lasciato a noi di costruirla, sapendo che tutto ciò che favorisce la comunione rende più bella l'umanità, più abitabile la terra. Il cristiano che ama è un artista che soffre la disarmonia prodotta dal superfluo econo­mico e dall'indigenza, e si adopera per favorire una comunione proporzionale dei beni; è un artista che sof­fre al vedere nell'unico quadro del mondo l'intolleranza di colori il rifiuto di stemperarsi, l'opposizione delle classi al posto della collaborazione, l'isolazionismo al posto della compenetrazione; è un artista che soffre al vedere nell'umanità la frattura fra umano e divino, fra corpo e anima, e ogni altra forma di malattia personale le. E' un artista che soffre ma che non si arrende poiché troppo profonda è la sua sete di bellezza, lui che ha gli occhi fissi sull'armonia assoluta della Trinità e guarda il mondo con l'occhio della Sapienza.

Silvano Cola