Dio si trova anche in montagna

 

« Nasce, nel luglio del '69, il nostro gruppo, in seguito ad un campeggio a Pragelato (Torino), or­ganizzato da don Ferruccio. In que­sto campeggio ci viene presentato Dio in una veste nuova ed entu­siasmante».

« Molti di noi si innamorano di questa vita e incominciano con en­tusiasmo a seguire le orme di Colui che li ha tanto affascinati.

Tornando a casa siamo veramente decisi a rivoluzionare totalmente il mondo che ci circonda e a portar­gli il messaggio che abbiamo ap­pena conosciuto. Però ci accorgia­mo subito che da soli è difficile vivere amando, per cui incomincia­mo ad incontrarci sovente per avere il necessario « carburante », che ci serve per tener duro ».

« I primi tempi ci trovavamo un attimo, al mattino, per ricaricarci e sentirci uniti. Anche in scuola cer­cavamo di ricordarci gli impegni per poter vivere meglio.

Però, a poco a poco, l'entusia­smo scemava e le cose del mondo prendevano il sopravvento su di noi.

L'incontrarci diveniva solamente un pretesto per ritrovarci insieme, fra compagni, e non fra uomini di Dio.

Passò l'inverno tra alti e bassi.

La primavera ci trovò a terra, veramente lontani dalla realtà di Dio. Ma a giugno fummo invitati a partecipare, da don Ferruccio, ad un altro campeggio. Qui trovam­mo la forza di ricominciare ».

Lasciamo per un momento il dia­rio di questi due ragazzi per pre­sentare i protagonisti. Siamo in Pie­monte, nella borgata di Racconigi, alla periferia di Torino. Il promo­tore di questa esperienza non era solo don Ferruccio ma, con lui, anche alcuni studenti di teologia: Aldo, Marco, Sergio, Roberto. Biso­gna dire che questa équipe non si era formata casualmente. Tra di loro, quando don Ferruccio era an­cora in teologia, s'era già realizzata una vita di comunione intensa e di amore vicendevole. Un gruppo gens lo chiamavano; in realtà era una ricerca di un vangelo vissuto alla lettera, soprattutto nell'impegno di realizzare il comandamento nuovo.

Il campeggio è per loro un'oc­casione di continuare questo rap­porto intenso, per i ragazzi una esperienza nuova che diventa pro­posta per un nuovo ideale di vita.

Ma lasciamo la parola ancora al diario, scritto dai ragazzi, là dove parlano delle basi portanti dei loro campeggi.

« La prerogativa di questi cam­peggi è che nascono e vengono portati avanti dalla testimonianza di reciproca carità tra gli organizza­tori.

Ogni giorno, al campeggio, qual­che ragazzo scopre che Dio può essere il suo amico ed avviene in lui quasi una piccola conversione, perché comprende che il non es­sere in amicizia con Gesù è un ostacolo ad amare i fratelli in for­ma piena. Si vede, di giorno in giorno, i ragazzi maturare, senza che si cerchi di dar loro nulla, fuor­ché l'amore che i responsabili si sforzano di avere fra di loro.

La vita di ogni giorno, apparen­temente, è quella di un campeggio qualunque: solo l'anima cambia. Tutto quello che facciamo, cerchia­mo di farlo per far contento Gesù

nel fratello. E Dio, naturalmente, è così largo di doni, da poter dire che nessuno se n'è mai andato dai campeggi senza avere nel cuore la pace, la gioia piena, frutto dell'ar­monia con Dio e con i fratelli.

Praticamente al mattino si inizia con un breve incontro, in cui pren­diamo, basandoci sulla parola di Dio, l'impegno di vivere nel corso della giornata.

La messa è il centro, il cuore del campeggio, in cui raccogliamo intorno all'altare quanto Dio ha operato in noi.

Dopo, il gioco è la nostra prin­cipale attività, perché è proprio nel gioco che ognuno rivela meglio se stesso ed il proprio egoismo, per cui non c'è miglior palestra per al­lenarci a vivere la parola di Dio in ogni momento. Il gioco, il lavoro, i pasti non sono altro che occasioni per amarci, per lasciar brillare il divino che c'è in noi.

Ogni giorno, arrivati alla sera, anche se a prima vista può sem­brare che la giornata sia stata piatta e mediacre, si nota invece che Dio ci ha fatto fare un pas­so avanti nella scelta più completa di Lui ».

Per la cronaca, l'ultimo campeg­gio a Perloz in Val D'Aosta nel giu­gno scorso, era il settimo della serie dopo il primo a Pragelato nel luglio del '69.

Ogni campeggio una tappa nuo­va, che le esperienze che ripor­tiamo aiutano in parte a cogliere. E' stato un cammino che ha avuto delle soste, alcune volte dei ri­torni, tuttavia il campeggio rima­neva sempre come una esperien­za-faro ad illuminare uno stile di vita che, perché sperimentato, non si poteva negare.

Pragelato, luglio '69: « Fa mol­to caldo. Don Ferruccio lancia la idea di un campeggio, per una nuova conoscenza di Dio negli altri.

Pochi giorni dopo mi avvio ver­so la mia grande passione: la montagna. Le nostre cinque tende sono situate appena fuori Prage­lato, paese vicino a Pinerolo.

Il posto è bellissimo: è il pri­mo mattino di campeggio. Se io dovessi raffigurare me e i miei compagni quel primo giorno, dise­gnerei tanti blocchi di marmo alli­neati uno accanto all'altro, pronti ad essere scolpiti. Ma presto Dio, come uno scultore, per mano di don Ferruccio, comincia a delineare su quel blocco bianco il cammino di una vita. Ci dà un ideale, fatto di gioia, fatto di dolore, fatto di tante cose nascoste nell'anima di ognuno di noi. Durante quei giorni impariamo a vedere e ad amare Gesù negli altri. I giorni passano inesorabili, velocissimi. L'ultima sera il falò. Ognuno tra le tante parole pone sempre queste tre: « Ho tan­ta gioia». Quella sera battezziamo il nostro campeggio " campeggio Pa­radiso " » (Giulio, I media).

Vinadio, settembre 69: « Que­sto campeggio mi è sembrato mi­gliore dell'altro forse perché ho fatto dei passi avanti verso Dio. Ho capito Dio nel dolore, che la vita è basata sul dolore ma che, offerto, diventa gioia. Ho gustato queste vacanze anche dal lato uma­no: gioco, vitto, passeggiate, partite e impostazione in genere » (Vale­rio, I media).

— Una ragazza di 16 anni che per caso era passata per il campeggio, alla fine, scriveva: « Quan­do scesi dalla macchina e alzai lo sguardo verso il fiume, vidi qual­cosa che mi impressionò vivamente. Era un gruppo di ragazzi nei qua­li riconobbi i miei amici. Erano i volti di sempre, ma vedendoli cosi uniti capii immediatamente che qual­cosa in loro era cambiato. Parla­vano e si ascoltavano a vicenda. Erano tanti e sembravano una cosa sola. In mezzo a loro non c'era più la supremazia di un solo ragazzo, non c'era l'esibizionismo, non c'era indifferenza o rancore. C'era una cosa sola, l'amore... Li vedevo fe­lici di una felicità vera, e capii che io, anche quando mi ero cre­duta felice, non mi ero mai sen­tita così».

Aglié, giugno 71: « Per sceglierTi avevo bisogno di imparare ad amarti e Tu me lo hai inse­gnato, mi hai fatto capire che quando c'è il dolore non basta ringraziare Dio e offrirlo, ma biso­gna anche buttarsi poi ad amare Gesù nei fratelli e donare ad essi la pace » (Luigino, 14 anni).

Perloz, giugno 72: « Io potrei considerarmi un vecchio dei cam­peggi, ma devo dire che ogni cam­peggio è come un anno scolastico: s'impara sempre qualcosa di nuo­vo. Ma una cosa c'è sempre nei campeggi per chi li vive: la gioia. Una gioia grandissima, che si por­ta anche nella caotica città, una gioia che cambia completamente la vita... Se io porterò questa grande rivoluzione anche soltanto nel mio alloggio, ognuno la passerà agli altri, e cosi via » (Giorgio, 15 anni).

La scelta dei brani è stata ne­cessariamente limitata.

Non si sa infatti dove l'espe­rienza è più grande e più profon­da: se nei campeggi o nella vita che continua dopo. E' li il banco di prova, dove gli esami non man­cano. Il primo è quando don Fer­ruccio viene trasferito in un'altra parrocchia. E' uno scossone, ma che non blocca l'impegno dei ra­gazzi perché hanno imparato a non essere attaccati a lui, ma al Dio che presentava e nel quale era la loro fiducia. Pur con gli alti e bassi che caratterizzano un cam­mino cristiano incipiente, il grup­po ha continuato a costruirsi su questa base e, attualmente, alcuni di loro, col consenso dei genitori, anche durante l'anno scolastico fanno vita comune presso una co­munità parrocchiale dove lo stile di vita continua i giorni del cam­peggio.

Si può forse aggiungere an­cora una postilla che mette a fuoco il riflesso dei campeggi in chi li organizzava, in particolare nei quat­tro studenti di teologia.

Scrivono: « Tutti venivamo da una esperienza di apostolato in mezzo ai ragazzi, dove avevamo spesso creduto di svolgere una par­te determinante nella loro forma­zione cristiana. All'inizio, spesso,

si è corso il rischio di dimenticare che quello che conta non sono le nostre capacità personali, la nostra abilità di organizzatori, la nostra esperienza nel far presa sui ra­gazzi e nemmeno l'apostolato per l'apostolato. Era facile ingannarci a vicenda, accettando un metodo che non era un comunicare Cristo, ma un ricercare un appagamento molto sottile al nostro io, al no­stro desiderio di fare per sfuggire all'esigenza di essere. Per garan­tire un timbro evangelico alla no­stra azione in mezzo a loro, cer­cavamo di' avere continuamente un rapporto vero tra di noi e Cristo, presente in mezzo a noi, si rive­lava sempre il miglior pedagogo, condizione indispensabile per rea­lizzare un incontro vero coi ra­gazzi.

Ne segue che da noi il campeg­gio è atteso come un momento forte della nostra esperienza comunita­ria, in cui sempre notiamo che Dio ci matura e ci sensibilizza, unen­doci maggiormente tra di noi e a Dio ».

a cura di Luigi Bonazzi