Atenagora

profeta dell'unità

di chiara lubich

 

Cristiani di ogni denominazione hanno pregato, nei giorni scorsi, per la ricomposizione della cri­stianità nell'unica Chiesa di Cristo.

Si avverte, infatti, che per il raggiungimento di una causa tanto alta, ogni sforzo umano, pur ani­mato da ottimi sentimenti, è sproporzionato. Per questo si prega.

Eppure, se siamo venuti in contatto, o se abbia­mo partecipato a incontri con questi fratelli nostri in Cristo, pur non cattolici, ci accorgiamo che un'at­mosfera nuova aleggia, completamente sconosciu­ta anni fa. E' atmosfera di mutua simpatia, dono senz'altro dello Spirito Santo, ottenuto per la pre­ghiera. E capiamo che alla preghiera urge aggiun­gere l'azione, ma soprattutto l'amore verso di loro, per contribuire anche noi, dal nostro angolo di vita, all'unità che sarà.

E' questo amore che mi spinge oggi a scrivere qualcosa su uno di questi fratelli, che, per grazia di Dio, ho potuto conoscere profondamente, attra­verso frequenti contatti e una corrispondenza viva: il patriarca Atenagora di Costantinopoli.

 

epoca dell'amore

La stampa di tutto il mondo, il libro di Olivier Clément « Dialogues avec le Patriarche Athénago-ras » e le varie interviste concesse ad alcuni gior­nali italiani, fra i quali « Avvenire », hanno messo alla portata di tutti la profondità della sua anima e la ricchezza del suo pensiero. Tuttavia chi lo conosce da vicino ha l'impressione di poter sempre aggiungere qualche cosa.

Atenagora può dirsi il prototipo della Chiesa d'Oriente; ma, ravvisando in lui una delle più eccelse personalità cristiane attuali, vi si può scor­gere un simbolo della Cristianità intera, sofferen­te per le secolari divisioni che l'hanno trafitta e anelante alla perfetta unificazione. E' una di quelle figure dell'epoca presente che appartengono ormai alla storia e alla Chiesa.

Ma giacché la sua statura spirituale è divenuta cosi grande per il suo sterminato amore a Cristo, egli appartiene anche ad ogni creatura che si chia­mi uomo e soprattutto cristiano. Ed è vicino di casa — vorrei dire — in modo particolare con chi soffre e con quelle persone nelle quali ha scoperto una scintilla della sua manifesta, chiarissima voca­zione all'unità, che ha fatto di lui un profeta.

E' stato questo interesse comune che l'ha spin­to un giorno a chiamarmi ad Istanbul, avendo sa­puto che lavoravo con il Movimento dei Focolari per l'ecumenismo. Era il 13 giugno 1967. Mi ha accolto come se mi avesse sempre conosciuta: « L'aspettavo! », ha esclamato, e ha voluto che gli narrassi i contatti avuti dal Movimento con Lute­rani e Anglicani. « E' una gran cosa conoscersi — ha commentato —; siamo vissuti isolati, senza avere fratelli, senza aver sorelle, per molti secoli, come orfani!... I primi dieci secoli del cristianesimo sono stati per i dogmi e per l'organizzazione della Chie­sa. Nei dieci secoli seguenti abbiamo avuto gli sci­smi, la divisione. La terza epoca, questa, è quella dell'amore ».

Mi ha chiesto di mantenere il contatto. Ricordo che non tanto le parole dettemi in quella prima udienza mi avevano impressionato, quanto la sua figura, l'atmosfera soprannaturale che l'avvolgeva

e che in genere notano tutti coloro che l'avvicinano. E soprattutto il suo cuore: un cuore così grande, cosi profondamente umano da suscitare in me la domanda quanti altri nella vita ne avessi conosciu­ti così.

Sono tornata a Istanbul in seguito, ogni anno, per tenere aggiornato il Patriarca sugli sviluppi del Movimento. La mia seconda visita è avvenuta due mesi dopo lo storico incontro di Paolo VI con Atenagora in quella città. Egli era ancora tutto sorpreso ed emozionato. Chiamava quel giorno « il giorno », e fra il resto raccontava: « Tutta la città è rimasta travolta... Poi è venuto qui e gli ho detto: " Come è grande la tua anima, come è ricco il tuo cuore! Tu sei il profeta che prevede, predice e prepara l'avvenire " ». E mi spiegava che quel­l'incontro per lui era stato come un'estasi.

« Non chiamo più d'ora in avanti le due Chiese: " cattolica " e " ortodossa ", ma " Chiesa d'Occiden­te " e " Chiesa d'Oriente ". Assistiamo a un movi­mento ecumenico da tutte le parti. Gli stati escono dalle loro frontiere e cercano d'intendersi; e le Chiese escono dai loro limiti e camminano verso questo incontro nuovo, che è l'incontro naturale della Chiesa ».

 

verso l'unico calice

« Il Papa è il nostro " leader ", il nostro capo e noi gli siamo attorno. Sapete come vedo alle volte il Papa? In agonia, perché egli conosce tutto ciò che c'è di negativo nel mondo. E' per questo che mi sono messo al suo servizio al cento per cento. Lo seguo, lo capisco, lo amo, lo rispetto, lo ammiro. Lui sa bene quello che deve fare, sa quello che vuole ed è forte ».

In altra occasione mi ha mostrato il suo mes­saggio indirizzato anche in particolare al Movi­mento dei Focolari. Tra l'altro si legge: « I tre incontri con Paolo VI a Gerusalemme il 5 gennaio 1964, qui a Istanbul il 25 giugno 1967 e a Roma il 26 ottobre 1967, che costituiscono il segno sorpren­dente e glorioso del trionfo dell'amore di Cristo e della grandezza del Papa, ci hanno definitivamen­te messo, con fermezza di fede e di speranza, nella via benedetta per la realizzazione della volontà di Cristo, cioè l'incontro di nuovo nello stesso calice del suo sangue e del suo corpo.

« Abbiamo lo stesso Signore, la stessa Madonna,

lo  stesso calice, la stessa Chiesa, la stessa vita qui e nell'eternità. Ecco l'inno degli angeli di Natale che noi cantiamo in questi giorni, in comune, Occi­dente e Oriente. Ecco la suprema teologia! Se per altro alcune differenze teologiche esistono ancora,

il  sole dell'amore le ha scolorite e ci conduce alla visione piena, alla credenza antica, secondo la qua­le noi apparteniamo alla stessa religione di Cristo.

« Cristiani d'Oriente e d'Occidente, noi siamo chiamati, adesso, a coltivare, proprio noi, gli uni con gli altri, tra i nostri amici, tra i conosciuti e gli sconosciuti, questa dolce coscienza di apparte­nere alla stessa Chiesa, e questo al più presto pos­sibile... Un mattino splendente di nuova primavera cristiana, cosi atteso da secoli! Andiamo, figli e figlie amatissimi, dell'unica Chiesa di Cristo; il suo giorno deve arrivare ed esso arriva! ».

Quando l'ho rivisto nel 1969, il Patriarca mi ap­pariva come un arcangelo che lotta e lotterà fino alla fine per il suo ideale: un uomo di Dio, provato nella carità eroica e nella pazienza eroica. E mi sembrava che ad abbellire la sua già ricca personalità si aggiungessero dei pensieri-chiave, che for­mavano il sotto fondo di ogni suo discorso e atteg­giamento: la idea chiara che tutto nel mondo, cri­stiano o meno, spinge all'unità e quindi la neces­sità impellente di ricomporre l'unità cristiana, la stima e l'amore crescente per il Papa.

 

"sono col Papa di Roma,,

« Non è per adularlo che lo chiamo Paolo II. E' veramente il nuovo apostolo, la nuova speranza, la nuova certezza delle cose che verranno. Egli è " il " grande capitale della Chiesa, del mondo. Egli sa ascoltare la voce del popolo. Non condanna la gio­ventù, la comprende ».

E l'idea che la Madonna è all'opera: « E' la Madre della Chiesa e ci vuole tutti e due uniti. Non può un'unica madre avere due figli diversi ».

Dopo l'udienza dell'aprile 1970, ho la convinzio­ne di aver parlato con un santo e avverto che mi sarà difficile comunicare a qualcuno la persuasione, l'ardore, la fede che riempivano le parole di quella grande anima.

Mi ha parlato subito, anche questa volta, del Papa. « Lo ripeto: sono col Papa di Roma riguardo al controllo delle nascite. Egli non può fare diver­samente. Sono con lui per tutto quello che dice, per tutto quello che pubblica, per tutto quello che

decide. Ha sulle spalle la tradizione e la storia di venti secoli... Come potrebbe scaricarsi di venti secoli? ».

Riguardo agli incontri del Papa con capi di stato di tutte le tendenze, nel marzo del 1971, mi diceva: « Ecco un altro trionfo! Tutte le strade portano a Roma. L'ho chiamato, nella mia lettera, " Pontifex Maximus ". Non c'è che un solo " Pontifex Maxi­mus ", perché è lui che getta i ponti fra le Chiese e fra le nazioni ».

E poi: « Lo scisma è avvenuto nel 1054 non per divergenze dottrinali, ma perché abbiamo cessato di amarci; ma adesso ci amiamo. Il Papa, quando è stato a Hong Kong, ha lasciato una sola parola: amore. Grazie a Dio, grazie a Gesù Cristo e grazie alla Santa Vergine, noi siamo in quest'epoca. Dieci anni fa noi non avremmo pensato di poter vivere queste ore! ».

Il messaggio che il Patriarca Atenagora ha invia­to in questi giorni al Papa, per la « giornata della pace », inizia così: « Inseparabilmente uniti dalla comunione nell'amore di Cristo con la Vostra assai amata e venerabile Santità... ».

« Inseparabilmente ». Con queste parole Atena­gora dice il suo cuore e il miracolo operato dallo Spirito Santo in lui. Mi aveva confidato un giorno: « E' una cosa incredibile come io mi senta unito con il Papa. E' un mistero per me stesso ».

(riportato da l'Avvenire)