Nel messaggio cristiano sull'incarnazione la
riscoperta del
senso della corporalità
Klaus Hemmerle
Si afferma che nella filosofia occidentale
ci sia un problema rimasto senza risposta, cioè quello della corporalità,
della materia.
Il grande merito del pensiero occidentale
è infatti la
conquista dell'autocoscienza, la consapevolezza
di quel movimento dello spirito che esce da se stesso e a se stesso ritorna.
E' questa la struttura del pensiero che sotto molteplici variazioni si
ritrova a partire da Platone fino a Hegel e dopo di lui nelle varie correnti in
cui si diramava la filosofia hegeliana.
l'aporia
platonica
Questo non significa tuttavia che il pensiero
non si sia occupato anche del mondo, delle cose,
dei vari gradi e strati dell'ordine antico, che si rivelava, nelle sue
molteplici stratificazioni, come il cammino dello spirito che parte da se
stesso per tornare a se stesso.
Ciò
che è — in quanto è — reca l'impronta dello Spirito,
è testimonianza dello Spirito.
Restava però il grande enigma: come lo spirito, trasparente a se stesso, possa
allo stesso tempo aver relazione con quell'altro essere, oscuro e passivo
che si intende col concetto di « materia
».
La soluzione che ne dà Platone fa della materia il principio secondo,
il quale, benché senza lo Spirito non possa attingere l'esistenza, in se
stesso tuttavia non può essere dedotto dallo Spirito.
Ugualmente in tante forme del Neoplatonismo
questa problematica era « risolta », in
quanto l'elemento materiale veniva concepito come alienazione
dello Spirito, come espressione dell'apostasia dello Spirito da se stesso.
Sicché appariva come compito dello Spirito quello di riscattarsi
da questa alienazione e di ricostituirsi nella sua purezza originaria.
il
messaggio cristiano sulla creazione
In questo contesto il messaggio cristiano
sulla creazione delle cose dal nulla costituì
una risposta in nettissimo contrasto: tutto, e per questo anche la materia,
è creato da Dio dal nulla.
La materia quindi non è il principio secondo, che entra
nell'attività creatrice dello Spirito ab
estrinseco, e non è neppure il prodotto della disgregazione dello
Spirito. C'è un unico principio, Dio creatore, un principio
però che è capace del suo « altro », capace di far
sorgere la creatura dal nulla.
Anche il corpo assume dunque nel
cristianesimo una nuova fondamentale dignità. Il Verbo che si fa uomo, assume la nostra carne umana, e la
redenzione avviene nell'avvenimento corporeo della morte e della
risurrezione di Cristo.
Così
la salvezza dell'uomo è salvezza dell'uomo intero, e questa
include la trasfigurazione del corpo.
l'antinomia
dell'uomo
Il modo di pensare rimaneva tuttavia
condizionato dall'antinomia platonica e neoplatonica tra Spirito e
Materia. La ragione è ovvia: L'uomo
— proprio perché tale — sperimenta il peso della propria corporalità, la resistenza di
ciò che c'è in lui di oscuro e di istintivo.
Per questo il compito di centrare in Dio e
nella sua volontà la propria
esistenza richiede dall'uomo una rinnovata lotta contro le passioni del proprio
io che volentieri si corazza dietro i postulati e
le esigenze della corporalità.
D'altra parte è proprio un segno dei nostri tempi vedere come, a pari passo con la
messa in questione di tutto ciò che è soltanto eredità
della tradizione, anche la contestazione contro la svalutazione della
corporalità si annunci con un impeto vitale.
L'ansia di libertà che vuole strappare l'uomo ad ogni forma di
alienazione
rivendica l'emancipazione del corpo, per una affermazione
ed approvazione incondizionata del materiale, dell'istintivo, di
tutto ciò che in noi si muove.
Ma il mito dell'epoca sta già naufragando. Poiché una
corporalità e una istintività senza
tabù, narcisisticamente idolatrati, lasciano dietro di sé il
vuoto e la noia, e l'individuo, anziché trovare la propria identità, finalmente sciolta da ogni vincolo,
constata di aver perso il senso e la finalità della propria esistenza.
In questa situazione, la storia dello spirito
occidentale ma ancor più l'eredità
della fede cristiana nel suo messaggio sulla materia e sul corpo ci chiamano a
cercare e ad evidenziare quella libertà che Cristo ci ha donato
come libertà dell'uomo intero, libertà che coinvolge il corpo e
lo afferma.
ritrovarsi nel perdersi
Una parola del Vangelo — nata nell'ambiente ebraico e non in quello ellenistico inficiato dall'antinomia tra anima e corpo
— può forse indicarci la strada: « Chi ama la sua vita, la
perderà, chi perde la sua vita, la troverà ».
Qui è
posto un principio valido per l'uomo « intero » che poi assume
un significato fondamentale per la corporalità. Chi si possiede, si
allontana da se stesso; e solo chi dona se stesso, trova la sua
identità.
Spesse volte sperimentiamo il corpo in
antitesi col proprio io, antitesi che vorrebbe risolversi in una identità sciolta. Nella
corporalità l'uomo sperimenta il suo essere bisognoso che vorrebbe
essere riempito del possesso e del piacere. Ora, chi cerca soltanto di
« domare »
questa sua corporalità soffoca una delle dimensioni dell'uomo, mentre
chi fa dei bisogni corporali la misura dell'esistenza umana aliena la persona
umana da se stessa.
Come potrà
questo elemento di contrasto, che è la corporalità, essere
integrato positivamente nell'equilibrio dell'io con se stesso? La risposta
cristiana è questa: tale integrazione avviene se e in quanto il
corpo vien visto come l'occasione per dare e donare se stesso.
donarsi nella corporalità
Ciò
che la corporalità dischiude di propriamente « nuovo »
all'esistenza umana è dunque la possibilità di una donazione
talmente radicale che in essa l'uomo può
perdere, può dare realmente qualcosa di sé. La donazione meramente
spirituale, per noi uomini, si attuerebbe in fondo senza perdere se stesso
o qualcosa di se stesso, mentre chi si dona agli altri « corporalmente », il proprio tempo, la
propria forza, il proprio sudore e persino il proprio sangue, acquista una nuova
profondità di rapporto col tu e quindi una nuova e più profonda
autenticità, che appunto non significa conservare se stesso ma
trascendere se stesso.
Ed è
proprio tale corporalità che porta l'uomo ad
una particolare somiglianza con Dio, che come Amore è donazione
totale di sé. In questa luce l'atto con il quale il Figlio di Dio
incarnandosi assume un corpo umano riceve il più profondo significato
teologico: esso è la suprema manifestazione di Dio-Amore, manifestazione
in cui Dio vive la sua « storia » con l'uomo, storia nella quale
Egli si dona del tutto e fino in fondo.
Un donarsi di Dio più grande e più totale del suo donarsi nel
corpo non è concepibile. Così come non è concepibile un
donarsi dell'uomo più divino del suo donarsi nel corpo, di quella
donazione attuata con la sua vita, col suo sangue, sia che venga
sparso nella testimonianza del martirio, sia, come diceva Teresa di
Lisieux, goccia per goccia, giorno per giorno, nell'amore per i fratelli.
Tutto questo è conosciuto soltanto attraverso
fertilità
eucaristica
Questo significato del materiale di essere la
« gloria », l'irradiazione dello Spirito che si dona, si manifesta in maniera
più chiara nell'Eucarestia. Qui, il donarsi di Dio nel corpo, l'essere-per-noi di Dio, è
presente in maniera cosi fisica, cosi reale, cosi unica come soltanto
è possibile nella corporalità. Non solo. Qui, la
corporalità è allo stesso tempo riempita dall'onnipotenza dell'Amore che, proprio perché si perde, rimane
se stesso, anzi si intensifica.
La corporalità eucaristica è la fertilità del chicco di grano
che risorge e porta frutto, mille volte moltipllcato,
perché cade nella terra e muore.
Da qui la dimensione eucaristica che assume
l'intera vita cristiana: in essa l'uomo che
interamente e totalmente si dona diventa come tale il sacramento della
donazione divina, per essa, allo stesso tempo, l'uomo guadagna pienamente se
stesso, essendo oggetto dell'infinita donazione divina che abbraccia e
coinvolge non soltanto il momento spirituale dell'uomo
ma tutto l'uomo, compreso il suo corpo.
non è
compito da solitari
Mi rimane ancora una domanda che
dall'esperienza della corporalità
si impone sempre di nuovo all'uomo, domanda sulla quale punta di continuo
anche la psicologia moderna. E' la domanda se la donazione come tale non
rappresenti un impegno eccessivo, uno sforzo troppo grande per l'uomo che
ha bisogno di equilibrio e di misura. La corporalità umana non
è bella soltanto se rimane nei propri limiti?
Infatti, se la donazione fosse un compito da
solitario, sarebbe eccentrico e porterebbe all'asfissia. Ma non si può per questo concludere che la vita umana
significhi per metà donazione e per metà chiusura. Al contrario
si deve concludere che la vita umana è allo stesso tempo donarsi
totalmente e riceversi totalmente — di più: donarsi e riceversi
a vicenda.
Dio stesso si è dato a me in uno che sta accanto a me, facendo in tal modo
di me e degli altri delle membra del suo corpo.
Le possibilità dell'uomo ed il suo equilibrio dipendono, si, dal corpo, ma, da
quando è venuto Gesù Cristo, non più dal corpo del
singolo, ma dal Corpo che tutti insieme formiamo.
Dovunque Gesù Cristo è in mezzo a noi, possiamo diventare Eucarestia,
gli uni per gli altri, dono di cui vivere.
E tutto questo è anche la nostra salute: l'amore cioè, nel
quale non abbiamo più cura di noi stessi ma degli altri e nel quale gli
altri hanno cura di noi, perché Uno ha cura di noi tutti e tutti noi
abbiamo cura di Lui solo: Gesù Cristo in mezzo a noi.