eucarestia e comunione

 

Pubblichiamo una parte dell'ome­lia di Paolo VI alla messa del « Corpus Domini » (1 giugno 1972), per la sua particolare attualità nel­l'aiutarci a capire il significato dell'eucaristia come comunione.

 

Si, le comunioni prodotte dal­l'eucarestia sono due. Una è con Cristo, abbiamo detto. L'altra è con gli uomini. Precisiamo: è con quegli uomini che siedono alla stessa mensa divina, che mangiano questo stesso Pane vivo, che è Cristo. Conosciamo tutti le parole rivelatrici di san Paolo a questo riguardo. Egli scrive: « Il pane che noi dividiamo non è forse co­munione del Corpo di Cristo? al­lora unico è il pane ed unico è il corpo che noi, pur essendo molti, formiamo, poiché tutti partecipia­mo ad un unico pane » (cf. 1 Cor. 10, 16-17). Cosi che la nostra co­munione individuale con Cristo produce una comunione sociale con i cristiani. La stessa vita divina circola in tutta la comunità di co­loro che condividono la medesima fede, la medesima grazia, la mede­sima società ecclesiale: diciamo di più: il medesimo corpo mistico di Cristo che è la Chiesa.

Il corpo reale e sacramentale del Signore alimenta e fa vivere del suo Spirito il corpo spirituale e sociale, che siamo noi, membra dell'umanità compaginata in Cristo.

Bisogna dare molta importanza a questa teologia fondamentale, che stabilisce una corrispondenza fra le due comunioni, una con Cristo vivo e personale in cielo, che a noi si concede nel segno memoriale e sa­crificale dell'amore profuso per noi, l'altra con Cristo presente negli uomini resi nostri fratelli dall'iden­tico amore.

Il tema è fecondo d'altre visio­ni: questa seconda comunione, quella con i fratelli, è preventiva­mente richiesta dal Signore come requisito per sedere alla sua men­sa (cf. Mt. 5, 23); non si può accedere all'altare con l'odio nel cuore, o col rimorso di avere offeso un fratello; e non si può lasciare la mensa del Signore, dimentican­do il « precetto nuovo » che Egli con intenzionale gravità, dandosi a noi, ci ha trasmesso: « amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato » (Gv. 13, 34).

L'eucarestia diventa in noi la grande sorgente dell'amore frater­no, anzi della carità sociale. Noi che onoriamo l'eucarestia dovrem­mo dimostrare nel sentimento, nel pensiero, nella pratica, che sap­piamo davvero amare il nostro prossimo, anche quello che non siede alla mensa del Signore con noi, anche quel prossimo che man­ca ancora di comunione di fede, di speranza, di carità, di unione ecclesiale, ovvero manca di qual­che cosa necessaria alla vita: di dignità, di difesa, di assistenza, di istruzione, di lavoro, di pane, di ottimismo, di amicizia; ogni defi­cienza umana diventa programma alla scuola di Cristo.

L'insegnamento d'amore, che sca­turisce dall'eucarestia, ci deve tro­vare tutti alunni disposti a perdo­nare, a beneficiare, a servire il nostro prossimo, fin dove sono al­largabili i confini delle nostre pos­sibilità, Non è utopia, non è iper­bole; è la radice della società uma­na, non fondata sull'egoismo, sul­l'odio, sulla vendetta, sulla violen­za, ma sull'amore. Questo, dopo l'eucarestia, sarà il distintivo dei veri discepoli: l'arte di amarsi a vicenda (Gv. 13, 35; 15, 12).

Vogliate ascoltare la voce divina che parla dal sacramento che ora stiamo adorando e meditando; l'in­vito alla comunione sacramentale con Cristo, e alla comunione so­ciale in Cristo con gli uomini tutti.