Congresso Gen's al Centro Mariapoli, un'occasione per

approfondire la vita

 

La tensione all'unità — a livello mondiale e in particolare nell'am­bito dell'ecumenismo — è una spin­ta irreversibile dell'umanità di oggi. E' un fatto dei tempi nuovi ormai penetrato nella mentalità di coloro che si preparano al sacerdozio, per i quali, d'altra parte, permangono ancora le difficoltà di vita e di strut­tura in cui si dibattono i Seminari. Con queste tensioni e aspirazioni dal 9 all' 11 maggio si sono incon­trati al Centro Mariapoli di Rocca di Papa, presso Roma, 85 studenti di teologia di 13 nazionalità diverse. Studenti di teologia che si autodefi­niscono: generazione nuova sacer­dotale. « Vorremmo essere — spie­gava uno di loro — cristiani tota­litari che prendono il Vangelo alla lettera per tradurlo in vita, e che vogliono esserlo già fin d'ora, e non soltanto dopo l'ordinazione sacer­dotale, perché abbiamo capito che l'essere cristiani non dipende da come lo si vivrà in un futuro più o meno lontano, ma da come lo si vive adesso ».

Quello di Rocca di Papa era dun­que un convegno impostato non tanto su discussioni teologiche quan­to su un indirizzo vitale ed esi­stenziale, a meno che per teologia non si intenda anche quel parlare di Dio che è frutto ed espressione di una esperienza vissuta.

Un aspetto caratteristico che si notava sin dall'inizio del raduno era che tutti volevano affrontare since­ramente questa esperienza, pronti cioè a superare eventuali barriere, ad aprirsi all'altro, a rischiare per l'altro, pronti insomma ad attuare uno scambio di vita, a realizzare la comunione, a diventare famiglia.

I pasti, gli intervalli, le ore di distensione ne offrivano altrettante occasioni non meno importanti del­le tavole rotonde previste nel pro­gramma; e in quel clima di frater­nità e di amicizia un gens che ave­va perso da poco i genitori poteva dire di aver riavuto la conferma che quella dei gens era veramente la sua famiglia.

 

la radice

Avendo capito che, per costruire tale comunione, non si può fare a meno di perdersi e di morire nel­l'altro — è questa infatti la misura dataci da Gesù — i momenti cen­trali del raduno sono stati riservati ad approfondire questa radice della vita cristiana: il mistero della cro­ce, Gesù Crocifisso e Abbandonato.

I temi di meditazione erano of­ferti da tre delle varie conversa­zioni che Chiara Lubich aveva fat­to sull'argomento ad alcuni membri del Movimento dei Focolari prima di natale, conversazioni che noi po­tevamo seguire tramite la registra­zione al « videotape ». Sono stati questi a dare al convegno il timbro dominante, poiché ci aprivano una prospettiva tutta nuova sulla vita umana e cristiana del mondo d'oggi. Proprio quell'esperienza che costi­tuisce per l'uomo d'oggi lo scan­dalo e la pietra d'inciampo che lo blocca, ossia il dolore personale e universale, si presentava come la « pietra angolare » sulla quale il cristiano deve costruirsi. Una rivo­luzione, quindi, per cui il dolore da

« spada » che taglia all'uomo la possibilità di un rapporto con Dio diventa « pedana di lancio » che gli dà l'accesso più diretto a Dio-Amore.

Quanto essi abbiano inciso in tut­ti i partecipanti, lo può dimostrare la testimonianza di uno di loro: « Stamattina, durante la conferenza, mi domandavo: ma chi mi ha but­tato in questa avventura? E mi ve­niva da mettere in crisi tutto, poiché avevo paura, poiché intuivo quanto mi poteva costare. Eppure sentivo che quella è la vera vita, ed è stato logico accettarla, tanto più che senza questa ricercata identifi­cazione con Gesù Abbandonato non capivo più come si potesse diven­tare prete».

Per tanti, anzi direi per tutti, è stato ritrovare la chiave per la pro­blematica attuale della Chiesa, spe­cie nell'ambito della formazione al sacerdozio. Questo però non nel senso di aver trovato il modo di sopportare la crisi e di sopravvivere passivamente, ma nel senso di aver intravisto una speranza e persino la certezza di un al di là della crisi, e quindi di una Chiesa e di un sacerdozio rinnovati al quale insie­me ci si vuole preparare.

 

la vita di chiesa

In questo allargamento di oriz­zonte si è inserita poi la conferenza tanto incisiva di una delle prime compagne di Chiara Lubich, che ha illustrato come viene vissuto questo nuovo stile di vita evange­lico nelle varie vocazioni che si trovano nel movimento dei Foco­lari, sia nell'ambito dei laici come in quello delle persone consacrate. Stile di vita presentato in un modo talmente affascinante, convinto e convincente, da darti la certezza che, se vivi il Vangelo veramente e senza compromessi, vivi la vita più moderna, più autentica e più sprint che ci sia.

E' venuto in rilievo inoltre il fatto che se oggi si parla di Chiesa, il mondo è automaticamente coin­volto in questo discorso. Per questo abbiamo voluto la presenza di al­cuni giovani del movimento Gen in mezzo a noi, presenza che ci ha fatto sentire in linea con la gio­ventù di oggi. E da quanto ci dice­vano risultava con chiarezza come per il mondo di oggi è necessario battersi proprio da giovani, da « ri­voluzionari di Dio per profes­sione ».

Infine il fatto che contemporanea­mente al nostro si svolgeva anche un incontro di un gruppo ecumeni­co composto da riformati e catto­lici svizzeri, si è rivelato ben presto tutt'altro che una coincidenza ca­suale. Subito infatti, sin dal primo giorno, è nato tra di noi un rap­porto tanto familiare che trovava il suo culmine nella visita di Chiara Lubich ai due gruppi. E' stato un momento di unità cosi reale, da innescare nel cuore di tutti il desi­derio fortissimo che questa espe­rienza invadesse tutte le Chiese e l'umanità intera.

 

la vocazione al sacerdozio

Una delle cose più importanti del raduno è stato senz'altro capire Gesù Crocifisso Abbandonato come chiave per la comprensione del sa­cerdozio, che nasce da cristiani che scelgono Dio prima di ogni altra

cosa. Ed è ovvio che un sacerdozio che nasce così non è dominio ma servizio — « lavanda dei piedi » — appunto per il fatto che si radica nel Servo per eccellenza, nella co­munione con Gesù Abbandonato e nella sua spoliazione totale.

Le risposte di don Foresi alle domande su questo argomento ci hanno fatto capire in maniera ancor più concreta questo sacerdozio di amore e di servizio, e ci hanno aperto una prospettiva del tutto nuova per quanto riguarda la pre­parazione e l'inserzione di esso nel contesto sociale. E ancora una vol­ta è balzata fuori la scelta di Dio

fatta e rifatta nella fedeltà a Gestì Abbandonato come radice di tutto questo.

Nella messa che seguiva il di­scorso di don Foresi — era l'ultimo giorno — ci siamo messi tutti insie­me in questa disposizione. Abbia­mo avuto l'interiore certezza che partivamo da Rocca di Papa non soltanto con delle belle idee di una Chiesa e di un sacerdozio rinno­vati, ma con una realtà presente, pur ancora in germe, nell'anima di ognuno e di tutti insieme.

a cura di Felix Heinzer