libertà
Saper perdere non è solo un princìpio ascetico, cioè
un mezzo per dare la scalata alla santità; non è neppure soltanto
una tappa negativa, anche se necessaria, che lo spirito deve affrontare per purificarsi.
E' infinitamente di più: è la vita stessa di Dio, la legge
interna dell'essere e quindi della santità. Non è
arrischiato pertanto concludere che è
anche la strada per raggiungere la perfetta maturità umana e la
piena libertà. Evidentemente non è uno stato, bensì un
processo di graduale evoluzione, dal momento che nella
perfezione si cresce tanto quanto si sa perdere.
E' quando non hai più niente da perdere perché hai perso tutto
che sei libero; quando non ti importa più né di essere né
di avere.
E in questo è modello Gesù abbandonato, colui che
si sente ripudiato dagli uomini e dal
Padre, ridotto a verme della terra, a uno che non ha più figura
né aspetto umano.
Tutta la vita di Gesù, in realtà, è stata un continuo
saper perdere. « Lui che, avendo
forma di Dio non reputò una preda l'essere uguale a Dio; ma invece
svuotò se stesso prendendo forma di schiavo, divenuto simile agli
uomini ». (Filipp. 2, 6-7).
Il Verbo non si è incarnato per scherzo, non ha giocato a fare l'uomo.
Per capirci qualcosa basta pensare
quanto costa a noi « perdere »
la forma che abbiamo, che spesso è pure brutta e mal stampata;
quanto ci costa non essere riconosciuti per quello che siamo o che riteniamo di
essere. Non è un gioco, per il Verbo, assumere una « carne
simile a quella di peccato » (Rom. 8, 3) anche se è per
liberarla e divinizzarla prima di tutto in se stesso e cosi permettere
all'uomo di riscattarsi da tutti i condizionamenti che gli vengono dal corpo,
dalla società, dai beni materiali e spirituali, da tutto.
Per questo « si umiliò ancora' di più, facendosi obbediente
fino alla morte, alla morte di croce » (Filipp. 2, 8).
Li Gesù è assenza di tutto; ma proprio perché — come dice Giovanni della Croce —
è arrivato all'annichilimento di
sé quanto al corpo e quanto all'anima, diventa la sintesi del cielo
e della terra: « In Lui è tutto il Paradiso con la
Trinità e tutta la terra con l'Umanità» (Ch. Lubich, Meditazioni).
fede come
libertà
Nel momento in cui grida: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato
» e subito aggiunge « nelle tue mani rimetto il mio
spirito » Gesù pone un atto totalmente incondizionato,
ossia sommamente libero, pura espressione di una libertà personale che gli da la
vittoria sul dolore, sull'angoscia, sulla tenebra, sul dubbio.
C'è
da chiedersi allora se per il cristiano la fede possa rappresentare — come sembrerebbe — un
atteggiamento alienante e cieco, o non piuttosto la celebrazione di un atto
pienamente personale e libero, uno scavalcare i limiti della intelligenza, del
sentimento, della situazione, per rispondere « si
» alla Verità che lo chiama.
tutto e niente
Gesù
sulla Croce è la prova vivente che farsi nulla, per amore di Dio,
significa essere tutto.
Per questo nel suo perdere ha coinvolto
Maria, sua Madre, ha coinvolto gli Apostoli che lo seguivano, e coinvolge
ogni uomo che voglia farsi suo discepolo. Non per farci « meritare » di più, ma per
farci liberi, per renderci finalmente persone; perché quel processo
di svuotamento e di semplificazione, al quale invita ogni cristiano,
è appunto il processo di massima personalizzazione. Se vuoi cresce re
sappi perdere. Gesù continua a ripetercelo: « chi perde la propria
vita... », « chi vuol venire... rinneghi se stesso »,
« nessuno ha amore più grande di chi d la propria vita... ».
E' solo perdendo che sei, è non essendo che ti poni, che ti liberi e quindi
che ti personalizzi.
Ma si può perdere tranquillamente, perché non è quello che
hai che conta, non sono i beni della terra, non sono neanche le tue doti umane,
tanto fragili e relative. Anche i doni spirituali sono cose accidentali:
grandissime, belle, ma non sono Dio.
perdere Dio per Dio
II modello di questa povertà radicale è Maria Desolata. « Si può aver perso tutto,
si può non essere attaccati a nulla, ma può rimanere ancora
qualcosa che crediamo di poter possedere, di dover mostrare, di cui
possiamo compiacerci: sono i doni di Dio!
Se la Desolata ha sacrificato Dio per Dio,
noi dobbiamo saper perdere i doni di Dio per Dio. Quindi non fermarci a
considerarli, non riempire l'anima di orgoglio spirituale nell'ammirarli,
ma svuotarla perché si riempia dello
spirito di Dio.
Se si hanno dei doni, questi sono
talenti da trafficare al sole della
carità
che sempre tutto deve avvolgere. Ma poi occorre dimenticare, perdere per
essere solo amore di fronte alle anime e alle opere della Chiesa; e
l'amore pensa all'amato e non a sé ». (Ch. Lubich, Saper
perdere).
Si può capire, allora, come la verginità possa diventare una catena
per una vergine, cosi come la povertà un peso
per un francescano, se vi sono attaccati. Lo stesso sacerdozio può
trasformarsi da dono di Dio in un condizionamento tragico se ci si
appoggia.
In altre parole, bisogna saper posporre tutto
a Dio per cercare di essere come Lui, il Semplice, il vuoto di ogni
determinazione, Colui che non è
niente di particolare e per questo è infinitamente.
la verifica dei santi
Tutti i Santi stanno li
a testimoniarci la verità
di questa dialettica. Non si può creare opere di Dio se non dopo aver
passato la notte oscura, cioè se non dopo essersi sentiti un nulla.
L'espressione caratteristica dei Santi che hanno vissuto questa
esperienza è: ero peggio di un verme della terra.
Ma nel momento in cui hai perso la tua forma,
quando tutto hai perso, è allora che diventi
liberamente creativo, e puoi fare ciò che
Dio ti chiede senza compromessi col mondo dal quale non vieni più
suggestionato.
Scegliere Dio, perciò, non significa altro che amarlo totalmente
in ogni attimo, ed essere come lui ci vuole, cioè come Gesù, che
è la Libertà.
San Giovanni della Croce, con una lucidità tagliente, riassume questa dinamica dello
spirito in una delle pagine più profonde che siano mai
state scritte:
«
Per poter assaporare tutto, non devi trovar gusto in nulla. Per poter
possedere tutto, non devi possedere nulla di nulla.
Per essere tutto, non cercare di essere
qualcosa.
Per sapere tutto, non voler sapere nulla di
nulla.
... Poiché per giungere interamente al tutto, devi
totalmente rinnegarti in tutto.
E quando tu giunga
ad aver tutto, hai da possederlo senza volere nulla.
Poiché, se vuoi aver qualcosa nel tutto, non tieni puramente in Dio il
tuo tesoro ». (S.
Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo, 1, 13).
Silvano Cola