vita
gens
Anche quest'anno alla Scuola Sacerdotale
di Grottaferrata, nei sei mesi che vanno da ottobre a Pasqua, c'era un bel
gruppo di seminaristi. Una ventina, di varie nazioni. Di questa
esperienza, che ha tutte le caratteristiche di un incontro forte con Dio, ci
hanno lasciato alcuni appunti che riportiamo. Sono fatti della vita quotidiana,
resi attraenti dalla nota soprannaturale, che li contrassegna.
Saper
perdere
L'incontro dei sacerdoti al Centro
Mariapoli, al quale partecipavamo anche noi della Scuola, mi aveva fatto riscoprire
alcuni aspetti della vita cristiana. Non solo, ma nell'ultimo giorno è arrivata subito l'occasione per fare « un
esame », non tanto per provare se avessi ben capito
quelle cose, quanto per vedere se fossi capace di viverle concretamente.
Ero stanco e già pensavo di ritornare alla Scuola per il pranzo. Lì,
speravo, sarei stato almeno per un po’ tutto per me stesso, senza quella
continua tensione di dovermi rendere disponibile per gli altri.
In quel momento mi avvicina un compagno.
Voleva che accompagnassi quattro sacerdoti tedeschi alla Scuola e che rimanessi con loro. Ho capito subito che Dio mi chiedeva
questo passo: l'ho fatto. Alla Scuola i tedeschi hanno trovato subito
degli amici e dunque pensavo di essere finalmente libero. Ma entrando nel
saloncino mi trovo davanti un ragazzo indiano che chiedeva di visitare la casa. Mi supero ancora e rimango con
lui. E arriviamo a dopo il pranzo. A questo punto, quando ci sono degli
ospiti, è consuetudine salutarli con dei
canti. Nel coro ci sono anch'io, ma in quel momento non avevo proprio voglia di
cantare. Per giunta manca anche Vincenzo che di solito dirige, e mi tocca
sostituirlo pur sentendomi tecnicamente un po’ incapace. Infatti sbaglio subito il primo attacco; ma è lo
stesso perché capisco che non conta la perfezione quanto
l'amore che nei canti si esprime.
E' una constatazione che faccio: Dio sfrutta
proprio i momenti in cui mi sento più
povero e più vuoto per comunicare se stesso a me e, attraverso me, agli
altri. E pur sapendo che questo donarsi non sarà mai facile, questa esperienza
mi ha dato una nuova certezza: Dio mi darà sempre una mano per
uscire da me stesso. La mia parte, poi, sarà quella di riconoscere
questa mano nelle situazioni pratiche e di afferrarla subito.
Otmar - Svizzera
L'imbroglio
del giudizio
Ho scoperto in profondità che la scelta di Dio non è soltanto la
base della mia vita spirituale, cioè del mio rapporto personale con Dio,
ma anche il fondamento della mia vita comunitaria, quella che cementa la
comunione con le persone con cui vivo. E l'esperienza della mia
incapacità di farmi uno con gli altri e di amarli disinteressatamente,
al di fuori di questa scelta, si è ripetuta più volte.
Una mattina stavo facendo le pulizie della casa mentre un compagno, seduto in poltrona, leggeva.
Pensavo tra me: « vedrà bene
che sto pulendo da solo tutta la casa! perché
non mi dà una mano? ». E ho incominciato a giudicarlo, con una
gran voglia di lasciare anch'io il lavoro iniziato. Anche in quel momento mi
sono domandato: « Ho scelto veramente Dio o un compagno che mi
aiuti? » « Voglio scegliere Dio — mi son detto
—». Ed ho continuato, mentre in me ritornavano gioia e
libertà.
In queste situazioni ho toccato con mano come
la carità e l'unità domandino una morte
continua dell'uomo
vecchio, dell'egoismo. E questa morte dolorosa non è che un aspetto
di Gesù in croce. Lui allora è l'ideale della nostra vita di carità
e di unità.
José Lai -
Macao
Riposare
in Dio
Questa frase di S. Agostino mi Ha sempre
affascinato. Conservavo tuttavia dentro di me la domanda: cosa significa questo
per la mia vita? E' possibile riposare in Dio già su questa terra?
Ho vissuto in questi mesi alla Scuola
sacerdotale e in questa vita d'unità
uno dei frutti è stato sperimentare che ogni momento della vita mi
può dare la possibilità di riposare in Dio. L'ho scoperto nel mio
lavoro: stiravo, e quella era un'occasione preziosa per unirmi con i fratelli e
quindi con Gesù. L'ho scoperto nei raduni della sera, che concludevano
la nostra giornata: lì, il contatto con Gesù in ognuno di
noi e con Gesù in mezzo a noi diventava una realtà tanto viva come l'incontro con Lui nella visita al Santissimo, nella comunione,
nella preghiera in senso stretto. Anzi proprio questo mi ha scoperto una nuova
dimensione della preghiera. Non ci sono momenti
di prima classe e momenti di seconda classe nella nostra vita con
Gesù, ma un ventaglio di possibilità: tutte occasioni reali
che ci mettono in Dio, che cioè ci fanno pregare nel senso più
vero e profondo.
Franz - Svizzera
Per tanti l'ora della
difficoltà e del dolore è un ostacolo ad entrare e
restare in comunione con Dio, ed è per molti motivo
sufficiente per rompere l'unità con i fratelli. Il dolore appare
incompatibile con la realtà di Dio Amore, né sembra potersi integrare
con lo sviluppo di una vita comunitaria. Eppure in Gesù che ha amato il
Padre fino all'estremo limite di sentirsi abbandonato da Lui, in
Gesù che ha amato i suoi fino a dare la sua vita per loro, dolore e
incomunicabilità, angoscia e morte trovano una risposta. E'
possibile dunque anche a noi fare del dolore il luogo privilegiato
dell'incontro con Dio trovandovi la possibilità permanente di
purificare e rafforzare i nostri rapporti con i fratelli. Ma in questo
modo il dolore non è più tale: diventa amore, come in Gesù
la morte è un solo mistero con la risurrezione.
Amare
senza analizzare
C'è
stato un momento — scrive Raffaele, un giovane sacerdote di Ischia
— in cui vedevo che molti membri della comunità in cui sono inserito
soffrivano, e nello sforzo di capire il senso di questa sofferenza sono
entrato anch'io in una crisi profonda. Il fatto era semplice:
approssimandosi la data di un incontro si era visto che alcuni vi
partecipassero e altri no. E per questi ultimi era una sofferenza.
Ho incominciato a giudicare: « c'è stato dell'autoritarismo». Mi
sembrava quasi di essere violentato psicologicamente dall'esterno, da una
forma di struttura che non capivo. E non sentivo più la gioia di stare
con gli altri, anzi la loro presenza mi dava noia. Dove era finito "
Gesù presente in mezzo ai suoi "? Ho pregato ma con l'impressione
di sprecare il tempo. Per tutto questo volevo lasciare la comunità.
Ma neppure ciò trovava un senso: dappertutto alcuni valori
evangelici non sono accettati e vissuti, dappertutto c'è il rischio
dell'incomprensione e dell'incomunicabilità e al limite non avrei mai potuto sfuggire all'estremo dolore della morte.
Soprattutto sapevo che dovevo amare fino a dar la vita anche per i miei nemici
e mi accorgevo che, in fondo, i fratelli che mi creavano difficoltà
non erano miei nemici. Infine anche se qualcosa non funzionava,
solo morendo un pò a me stesso avrei potuto
cambiare l'ambiente. Così non trovavo né il senso del mio
rimanere in comunità, né, tanto meno, quello di
lasciarla. Una via d'uscita, che non trovavo in me, ci doveva essere.
Solo quando ho saputo vedere anche in questa
situazione un aspetto di Gesù crocifisso e abbandonato,
e l'ho accettato senza più analizzare e razionalizzare, ho sentito
nell'animo, con la pace, una luce nuova. Ho detto grazie a Dio e la comunione
con i fratelli s'è fatta di nuovo realtà.
Qui ho capito perché la Chiesa si genera come Gesù l'ha generata:
sulla croce, e perché dobbiamo compiere nelle nostre carni quello che
manca alla passione di Gesù. Anche per questo ho imparato ad accettare
gli altri per quello che sono, come sono.
Scoprire Gesù in ogni dolore è la chiave per entrare in ogni occasione
in comunione col Padre.
Raffaele - Ischia