Dall' impasse
della ricerca nevrotica del potere
alla presa di coscienza della
potenza dell'impotenza
Klaus Hemmerle
La coscienza attuale riflette due aspetti di un
unico movimento che la travaglia. Da una parte si nota la diffusione sempre più vasta di una visione del mondo e dello spirito
determinata dal primato del sociale, del
fattibile, delle strutture, del futuro concepito come opera che tutta
l'umanità deve realizzare in cooperazione.
Ma dall'altra parte questo movimento,
pur afferrando in modo sempre più
ampio e profondo i sentimenti e l'orientamento di
tanti, sta invertendosi su se stesso: si parla della svolta verso la nuova
interiorità, ovvero di una nuova mistica.
L'apertura verso la
saggezza orientale e verso le pratiche di contemplazione; le varie
forme di ebbrezza manipolata in modo sempre più differenziato, eccessivo e sistematico (droga, ecc); i
movimenti in ricerca di un mondo paradisiaco, situato dai loro sogni
nell'innocenza di un « non si sa dove »: tutti questi fenomeni cosi
contrastanti sono i segnali di questo risveglio.
In che misura esso sarà capace di operare una trasformazione storica
è difficile dirlo adesso. Eppure non si può non notare una cosa:
che alla radice di entrambe le tendenze si
trovano delle esperienze profonde che esprimono la tensione tra realtà e
coscienza.
l'impotenza
del pensiero
Alla base della attuale struttura sociale
e delle sue prospettive c'è — non da solo,
ma con una prevalenza di carattere storico — il marxismo.
Una causa determinante della nascita del
marxismo è stata l'esperienza della impotenza
del pensiero. Mentre, in Hegel, infatti, la radicalità e la
totalità dello spirito autopensantesi si era presentata con un grande
fascino, lo sviluppo — cioè l'antitesi — di questo pensiero
sul piano della storia dello spirito provocò una grande crisi:
tutto è pensato — ma allora dove è la realtà?
Ed è stata appunto questa crisi a far scattare la svolta verso la
prassi, verso l'azione capace di cambiare la società, e quindi verso una concezione della realtà dove spirito e
coscienza non significano altro che funzione, condizione e sovrastruttura.
L'esperienza dell'impotenza del pensiero di
cambiare e di creare, da se stesso, la realtà,
investiva anche Dio e il rapporto dell'uomo con Dio, facendolo cadere sotto il
sospetto di inefficacia e perfino di irrealtà.
Cosi si arriva, se non proprio al rifiuto
totale di Dio e della religione, almeno alla conseguenza, apparentemente
meno radicale, di una interpretazione orizzontale,
immanentistica, esclusivamente sociale del Vangelo e del cristianesimo.
l'impotenza
della realtà
Alla radice della svolta attuale verso la
nuova interiorità c'è,
invece, un'esperienza che appare come la contrapposizione della prima. Essa può chiamarsi in sintesi: l'esperienza dell'impotenza
della realtà.
Impotenza di colmare e di saziare l'uomo
nella sua coscienza, nella profondità
delle sue esigenze e delle sue possibilità di vita.
Difatti, l'uomo moderno contesta e abbandona
sempre di più la schiavitù della sua
inserzione funzionale nello sforzo vano di realizzare fini sociali che gli
sfuggono sempre di mano; fini che non si raggiungono mai, o che, raggiunti,
gettano di nuovo l'io nella solitudine.
Perciò
l'uomo sente il fascino di un « contro-mondo », di altre dimensioni che sfuggano ai tentacoli della costrizione sperimentata nella
quotidianità.
Ora, si badi bene, nessuna di queste due esperienze,
e nessuna delle dimensioni rese accessibili da esse,
vanno di per sé accusate e scartate
come insignificanti.
E tuttavia si vede chiaramente che né l'una né l'altra, presa come assoluta,
è in grado di abbracciare il tutto, e che, d'altra parte, non è
neppure possibile farne la semplice addizione, se si partisse soltanto da esse.
l'impotenza
di comunicare
Se si va in profondità si scopre un denominatore comune ad ambedue
le esperienze, e cioè una impotenza
comune, che è l'impotenza di comunicare.
Infatti la solidarietà nella marcia verso la società del futuro
non tiene conto dell'individuo che si ritrova indotto a mera funzione e che diventa
incapace di stabilire un rapporto con chi gli cammina accanto.
D'altra parte l'introversione su se stessi
aliena da sé e dagli altri coloro che vanno,
in modo unilaterale, alla ricerca d'interiorità.
Se, all'interno di ciascuna di queste
esperienze, fosse data la possibilità
di comunicare, si offrirebbe all'azione e alla promozione sociale la pienezza umana,
e si metterebbe allo stesso tempo il suolo della realtà sotto i piedi
dell'io.
Ma dov'è
che si può trovare tale comunicazione?
La risposta non va soltanto pensata ma
operata, e cioè creduta e vissuta,
altrimenti non regge. Essa si trova all'interno di un cerchio di vita nel quale
si penetra soltanto per mezzo di un « salto » — per scoprire,
poi, che si era già da prima « dentro »!
la
potenza dell'impotenza
Poniamoci ancora una volta la nostra
domanda: dove si può trovare una tale
comunicazione? — Essa si trova nella impotenza stessa, in quella impotenza cioè che prende su di sé, allo
stesso tempo, l'impotenza del pensiero, l'impotenza della realtà e
l'impotenza di comunicare, unendole tutte e tre in se stessa: e tale
impotenza è quella dell'abbandono estremo di Gesù sulla croce.
In quel momento tutto ciò che, nell'ambito della sua esperienza umana,
l'aveva riempito e sostenuto, gli veniva tolto. Il suo
messaggio e la sua missione sembravano diventati un pensiero senza
efficacia. Non aveva raggiunto niente, ed i suoi aderenti lo avevano
abbandonato. Il suo fallimento appariva evidente agli avversari, dal momento
che quel Dio, a cui egli si riferiva, lo aveva
lasciato solo nella sua miseria.
Gli era strappato anche il conforto
nella profondità della propria
esperienza, cioè nel rapporto interiore e personale con il Padre:
egli si sentiva rigettato da Lui nella lontananza e nell'esilio di un
« perché? » senza risposta e senza luce.
Ma questa situazione, che sembra il
punto-zero dell'esperienza e della capacità
umana, è, per la fede, situazione in cui si manifesta l'onnipotenza,
cioè è l'inizio di una nuova creazione.
Infatti è la situazione dell'estremo amore, dell'amore
fino alla fine: amore in cui Gesti proclama un si radicale per noi
— dal momento che dove siamo noi, ivi è lui e quello che siamo
noi, è rivelato in lui e condiviso da lui.
E' la situazione dell'amore in cui Gesù proclama un sì radicale al Padre — poiché è stato l'ubbidire a Lui,
alla Sua volontà, a condurlo fino li; e il suo grido esprime donazione
e raccomandazione del suo spirito nelle mani del Padre.
E' la situazione dell'amore in cui il Padre
dice si all'umanità:
è per noi che ha mandato il suo Figlio là dove siamo, e
attraverso lui ci ha accolti in se stesso, nella comunicazione quindi, nel
colloquio trinitario che è Dio.
E', infine, la situazione dell'amore in cui
il Padre dice si al Figlio: è qui che Egli concede al Figlio il dono di essere
inizio della nuova creazione, di essere colui che dona la vita divina e la partecipa
a noi.
Cosi il grido dell'abbandono di Gesù diventa la chiamata a rimpatriare nella
gloria del Padre che si rivela, nella Pasqua, gloria del Figlio e gloria
nostra.
la
spiritualità cristiana
L'abbandono di Gesù sulla croce è dunque il punto in cui
tutta l'impotenza e il buio dell'uomo vengono
riempiti nella comunicazione assoluta, nell'amore trinitario di Dio.
E' lo Spirito, legame dell'amore trinitario,
ad inserirci nella vita trinitaria.
Quindi spiritualità cristiana, concepita in modo radicale,
significa vivere in questo Spirito. Ma ciò vuol dire che essa
è una vita che parte, sempre di nuovo, dallo stesso punto da cui parte
lo Spirito: cioè dalla comunione con Gesù Abbandonato sulla
croce.
Tale partire da Lui ci indirizza verso la
costante comunione con l'impotenza dentro di noi e attorno a noi — impotenza che però non è più
causa di disperazione e alla quale non dobbiamo più sfuggire. E non
c'è più bisogno di manipolarla con un trucco per farla scomparire.
In essa, infatti, possiamo farci uno, in tutto e oltre
tutto, con Gesù nella sua relazione al Padre, poiché dappertutto
e in tutti i momenti di buio e di «perché»? possiamo
dire «si» e «tu» al Padre. Ed è qui che troviamo
la contemplazione, l'interiorità, la dimensione verticale senza
ebbrezza e fuga, senza l'alibi di un mondo irreale e a parte.
Ma non basta: in questa impotenza
possiamo farci uno anche con gli uomini, con l'umanità intera proprio in ciò che
costituisce la sua vera situazione.
E la nostra disposizione ad andare avanti
verso il futuro con gli altri, amando, non potrà mai essere paralizzata da nessuna delusione, poiché
viviamo dell'amore ineludibile di colui che era abbandonato sulla croce.
Questo andare con gli altri non diventa mai
conformismo e adattamento comodo, poiché
viviamo nella stessa tensione del Crocifisso. Né questa comunione con
Lui, d'altra parte, ci blocca in uno sforzo artificiale, dal momento che
non siamo noi a fare la parte decisiva, ma che la nostra parte è
quella di partecipare a ciò che ha fatto Lui.
Gesù
Abbandonato non è capolinea, ma passaggio
al Padre e agli uomini; passaggio, la cui gloria, libertà e
definitività si sono manifestate nella Pasqua.
E nella Pentecoste dello Spirito di Gesù, che si dona a noi e che vuole investire di
fuoco tutto il mondo attraverso il nostro amore, la Pasqua del compimento ha cominciato,
« sotto voce », a diventare fin d'ora la nostra Pasqua, la
Pasqua del mondo.