Ricordo della Terra Santa

pietre che parlano

 

Quando dall'aereo, che calmo planava su una distesa di azzurrissimo mare, contemplavo il lento avvicinarsi dei primi monti della Palestina, non credevo che i luoghi santi avrebbero inciso cosi profondamente sul mio animo.

Atterrata all'aeroporto, presi un taxi per Geru­salemme. Poi infilai a piedi una vecchia strada in salita, variata ogni tanto da qualche gradino di pietra. Una strada miserabile, larga forse tre metri, riecheggiante urla di mercanti, posti sulla destra e sulla sinistra, esalante un odore che era un misto di sudore, di sporco, di pelli d'animali, di frutta profumata. V'era gente rassegnata o poco rassegnata che andava e veniva sgomitan­dosi, indossando i costumi più vari dell'oriente e dell'occidente. Di tanto in tanto volti invisi­bili, coperti d'un velo nero, di donne musulmane. Le botteghe praticate nei porticati delle case, se non nei sotterranei sotto vecchie arcate, rende­vano più cupo l'ambiente; e con la gente e con le mosche, che ronzavano attorno ai pasticcini, qualche pecora e capra.

Salii e lungo la via ogni tanto mi indicavano una porta un po' più pulita delle altre, che non si sapeva se appartenesse ad una casa o ad una cappella e mi dicevano: « Ecco una stazione, ecco la terza, ecco la quarta... Qui Gesù incontrò il Cireneo, qui Maria... ».

Quella strada era la « via crucis », la stessa che Gesù aveva percorso allora... e una « via crucis » era rimasta, per chi vi abita come per chi vi passa.

Qualche metro più in su la basilica di S. Sal­vatore. In quella chiesa, sostenuta da forti trava­ture esterne, antiestetiche, c'era quanto di più sacro si possa immaginare: il Calvario e il sepolcro.

In realtà ero un po' preparata ad affrontare quel luogo, perché i cinquecento metri che avevo percorso m'avevano messo in animo un senso di sgomento.

Entrai. Girai qualche angolo della chiesa e infilai una scala stretta, stretta, lisa nel marmo da milioni di pellegrini, e mi trovai di fronte ad un altare.

Un cicerone mi mostrò attraverso un vetro, che custodiva una roccia, un buco per terra, e disse: « In questo foro fu piantata la croce di Cristo ».

Inavvertitamente mi trovai in ginocchio in un profondo raccoglimento. « In quel foro — pen­sai — fu piantata la croce... la prima croce! Se non ci fosse stata questa croce, la mia vita, la vita di milioni di cristiani, che seguono Gesù portando la loro croce; i miei dolori, i dolori di milioni di cristiani, non avrebbero avuto un nome, non avrebbero avuto un significato. Egli, che lì fu innalzato come un malfattore, ha dato valore e ragione al mare di angoscia da cui è toccata e a volte sommersa l'umanità ».

E come un bambino estatico, mormorai: « Qui, Signore, voglio piantare la mia croce, le nostre croci, le croci di quanti ti conoscono e di quanti non ti conoscono ».

Nei templi, che racchiudono i luoghi santi e sono ora di possesso cattolico, ora armeno-apostolico, ora greco-ortodosso, ora in comune, s'alzan sovente inni e salmi di diversi culti, e a volte contemporaneamente...

Infatti a Gerusalemme le religioni sono varie e le denominazioni cristiane innumerevoli. Questo stato di divisione m'appesantiva l'anima, soprat­tutto quando per le vie si sentiva la voce del muezzin chiamare i musulmani alla preghiera. E dalla Città Santa sembrava levarsi un disar­monico concerto di lingue rivolte al cielo.

Nella stessa chiesa che custodisce il Calvario vidi il luogo tuttora venerato, dove la tradizione vuole che il corpo di Gesù sia stato unto dalle pie donne.

Più in là, attraversata una stanzetta, entrai nel sepolcro. Alla destra una pietra lunga un metro e novanta: su di essa Gesù morto era stato deposto.

Un padre francescano spiegò: « Questo primo pezzo di pietra è dei cattolici, quest'altro pezzo

Io tengono i greco-ortodossi, questo terzo pezzo gli armeno-apostolici ».

Anche il sepolcro di Gesù era diviso!

In quel momento mi passarono per l'anima i traumi che avevano colpito nei secoli la Chiesa: ho visto fratelli e fratelli separarsi e dividersi e suddividersi... E un dolore profondo mi strinse

il cuore, quando un'idea luminosa mi ridiede speranza: « In fondo se cristiani, l'uno dall'altro separati, sono cosi tenaci nel difendere la loro parte dei luoghi santi, fino a venire, in un non lontano passato, perfino alle mani, è perché, in qualche maniera, amano Gesù. Per questo vo­gliono qualcosa di lui, per questo soffrono e litigano... Se un giorno i cristiani di tutte le chiese e denominazioni capiranno che amare Gesù esige ben altro che difendere una pietra, un altare, una parete, ma compiere la sua vo­lontà che è amarsi tutti a vicenda come egli, Cristo, ci ha amati, allora fiorirà l'unità dei cuori. E sarà essa a trascinare con sé i beni di ciascuno a vantaggio degli altri e tutto sarà di tutti ».

Uscii dal sepolcro con qualcosa di molto diverso nell'anima, nella fiducia, piena di spe­ranza che quel cielo di Gerusalemme, che co­priva una moltitudine di fratelli divisi, potesse riudire un giorno, rivolte a chi voglia ancora trovarvi un cristiano d'altri tempi, settario e chiuso al soffio spirituale dell'amore ecumenico, le parole dell'angelo alla Maddalena: « E' ri­sorto, non è qui ».

Sette giorni durò la mia permanenza in Pale­stina. Non ricordo l'itinerario che seguii, ma i luoghi mi sono rimasti impressi profondamente.

Emmaus ci accolse al tramonto: un sole rosso dorato l'ammantava tutta. Rivedo le pietre della strada dove Gesù era passato in mezzo ai discepoli... E la scritta che incornicia il can­cello: « Resta con noi, Signore, perché si fa sera ».

Betania la visitai in pieno sole e, salendo le straducole che portano alla tomba di Lazzaro, mi sembrava riudire le parole di Gesù a Marta: « Una sola cosa è necessaria... » Percorsi la strada che da Gerusalemme porta a Gerico, menzionata nella parabola del buon samaritano. Poi vidi Betlemme... tutta una serie di luoghi dolcissimi, che né la vita né la morte riusci­ranno a cancellare.

Visitai Betfage, con la pietra dove — si dice — Gesù pose il piede per montare sull'asina e avviarsi a Gerusalemme tra gli ulivi e gli osanna della folla.

Gerusalemme, anche sotto il sole orientale che la riempiva di luce, offriva ancora la spianata enorme, spaventosamente vuota, dove una volta si ergeva il magnifico tempio. Vuota, vuota: solo una moschea alta e robusta stava li, inca­pace di cancellare le parole di Cristo: « Di te non rimarrà pietra su pietra ».

Il Getsemani con l'orto, ora splendido giar­dino, e la linda chiesa decorata con gusto, illu­minata di viola, che chiude nel cuore una pietra arrossata ora da una luce, un tempo dal sangue di Gesù, suscitarono nel mio animo un dolo­roso raccoglimento. Mi sembrava di vedere Gesù lì, ma non azzardavo immaginarlo...

Visitai la fortezza Antonia dove Pilato espose Gesù al popolo dicendo « Ecce homo ». Poi il Gallicantus, dove il gallo cantò, e la scala ancor ben conservata, all'aperto sotto il cielo, tra il verde dei prati che la costeggiano, che porta da Sion al torrente Cedron. Qui il Maestro, ormai vicino a morire, col cuore pieno di tene­rezza verso i suoi discepoli, fragili e ancora inca­paci di comprendere, alzò al Padre la sua grande preghiera: « Padre, che siano uno come Io e Te ».

Vidi tanti altri posti, seguii molte strade che

Gesù aveva percorso, osservai luoghi che Gesù aveva osservato, mi passarono sotto gli occhi pietre, pietre e pietre ancora.

E quando, a sera calata, alzavo gli occhi al cielo, grondante stelle cariche di luce, avvertivo una strana e logica affinità tra quel firmamento e quei luoghi.

E ogni pietra mi diceva una parola, molto di più di una parola, cosicché, alla fine, la mia anima era tutta inondata dalla presenza di Gesù.

Al settimo giorno, mi ero scordata letteral­mente della mia patria, dei miei conoscenti, dei miei amici, di tutto.

Io mi vedevo là, immobile ed estatica, spiri­tualmente pietrificata tra quelle pietre, senz'altro compito che rimanere e adorare. Adorare fissa con l'anima nell'Uomo-Dio, che quelle pietre mi avevano spiegato, svelato, cantato, esaltato!

Un solo pensiero mi smosse e mi fece tor­nare. C'era anche in Italia un posto, che valeva di più di quei luoghi: il tabernacolo, ogni taber­nacolo con Gesù vivo.

Mentre l'aereo mi riportava a Roma, com­presi per la prima volta come certi musulmani s'accechino dopo aver visto la Mecca e i luoghi per loro sacri, perché più nulla hanno da vedere di migliore.

Noi no; col Dio dei vivi, possiamo tener gli occhi aperti anche dopo aver visto la Terra Santa, purché non si veda che Gesù, Gesù nella Ostia, Gesù nei fratelli, Gesù nella Chiesa, Gesù, col suo amore, nelle circostanze liete e tristi della vita.

Chiara Lubich