Si va per lasciare un'impronta
Anche quella sera avevamo dato il nostro solito
spettacolo. Canzoni di varia provenienza, nelle quali esprimere la nostra vita.
Perché, in fondo, uno spettacolo anche tecnicamente
riuscito, ma che non coinvolgesse e non comunicasse la
nostra vita, lo sentivamo povero.
Al termine ci avvicina don Vincenzo che,
sparato, ci propone di ripeterlo nella sua parrocchia: « Ho avvertito tra voi, mentre cantavate, una
fortissima presenza di Gesù, e questo per me è tutto ».
Cosi, da questo invito, ci siamo trovati una
settimana dopo in viaggio per Vallo Torinese.
Il nostro gruppo già in se stesso è un'attrattiva
perché siamo studenti di teologia di varie nazionalità.
Veniamo dalla scuola sacerdotale di Grottaferrata: li
anche la musica è diventata per noi una occasione per essere ogni giorno
testimonianza viva del comandamento nuovo di Gesù. Siamo convinti
che è lui, portato sulle nostre canzoni, a dare un tono diverso
ai nostri spettacoli; e sapevamo che anche a Vallo era successa la
stessa cosa: l'unità reciproca vissuta tra parroco e parrocchiani aveva
fatto una rivoluzione e trasformato la parrocchia. Per questo, quando
siamo arrivati, ci siamo sentiti a casa nostra: alla stazione
dove ci aspettavano, durante la cena che la comunità aveva preparato,
e più tardi quando, per passare la notte, siamo stati ospitati
dalle diverse famiglie.
Il programma era semplice: la comunità parrocchiale aveva due impegni, un ritiro in un
collegio di ragazze delle magistrali e l'incontro con un gruppo di seminaristi
ginnasiali in visita alla parrocchia; avremmo partecipato con i nostri
canti ad ambedue gli incontri.
Ricordo —
in uno di quei momenti in cui ci si incontrava per rinnovare il patto di
unità — l'esempio fatto da uno che visualizzava il nostro
modo di fare. E' — diceva — come se noi fossimo un ponte tra gli
spettatori che ascoltano e Dio che vuole darsi. Per lasciarlo passare occorre
che le nostre canzoni esprimano la realtà che lui è: amore.
Anche quella mattina, nel collegio,
abbiamo cercato di essere solo questo: un ponte
che lasciasse passare. E l'ambiente era stato subito preso.
C'era stato un po' di trambusto all'inizio:
la corrente elettrica che andava e veniva, poi all'ultimo momento la
pianola che non funzionava. Logicamente l'esecuzione ne aveva sofferto ed
eravamo davanti a ragazze espertissime di musica leggera alle quali davamo il
duro pane di canzoni impegnate. Eppure l'ambiente rispondeva e Paolo
in quel clima aveva per la prima volta raccontato la
sua esperienza quale premessa al canto «
Ora son felice », ed aveva sperimentato, come ci diceva poi, una
libertà mai provata prima.
Dopo lo spettacolo, frazionati in più gruppi, i complimenti che ci facevano erano
pretesti per porre quelle domande caratteristiche di chi si è incontrato
con un messaggio vivo che mette in crisi, e che chiede
di essere aiutato. Ci costringevano a parlare: come vivete? cosa fate? cosa avete trovato?
Ponevano problemi di fede, chiedevano di Dio.
Parlare di Dio, oggi soprattutto, è una impresa che
scoraggia non pochi. Eppure li sperimentavamo che, dove per l'amore di due o
più Lui si rende presente, le persone vengono e vuotano il sacco. E con
naturalezza il discorso scivolava su quegli aspetti della vita che
toccano il nostro essere davanti a Dio.
Durante la messa, allo scambio della pace, la
sala si muove: è un invito a
raddrizzare quei rapporti sopportati che si trascinano, e una
professo ressa risolve con don Vincenzo una sotterranea
ostilità che masticava da tempo.
Ce ne andiamo con l'impressione di aver
lasciato qualcosa in quell'ambiente e ritroviamo il giorno dopo quattro di
quelle ragazze che vogliono inserirsi ora nella comunità di Vallo.
Ma anche per noi la permanenza nella
parrocchia non è una vacanza
borghese. Attorno a noi vediamo persone che per Dio hanno dato tutto, e che per
Lui rinnovano ogni giorno questa scelta; alcuni di noi sono ospiti di due
giovani che per essere a completa disposizione della
comunità hanno lasciato la famiglia e una buona sistemazione
economica vivendo ora in un appartamentino men che discreto. Sentiamo che
occorre innestare una marcia in più, per metterci al loro ritmo. Dunque
un'occasione per fare anche noi un passo avanti.
Ma è un gioco che si intreccia: il
Mini-complesso della parrocchia che in quei giorni abbiamo conosciuto, ci
scrive dopo qualche tempo: « Vedendovi suonare e cantare abbiamo
capito che tra voi la prima cosa era l'amarvi, e da allora abbiamo cercato di
farlo anche noi ».
Il giorno dopo arriva il gruppo dei
seminaristi: una quarantina e con loro il rettore e due assistenti. Mentre la comunità di Vallo li accoglie noi ci raduniamo per preparare
lo spettacolo del pomeriggio. Ci accorgiamo tutti che occorre perdere
la bella esperienza del giorno prima e ridichiararci con freschezza l'amore
scambievole. Poi il pranzo con alcuni della comunità
è un'occasione per rimetterci in sintonia con loro e continuare sullo
stesso binario.
La pianola continuava a far. sciopero. Un momento di disappunto, ma soprattutto un
richiamo all'essenziale: non eravamo venuti per fare bella figura davanti
ai ragazzi, ma per dare loro Dio, e Dio non si lascia condizionare da una
pianola che non funziona.
Ce lo ha confermato la
loro risposta: compiaciuti dalla musica, si, ma allo stesso tempo messi
nella situazione di « aver capito per la
prima volta che delle canzoni possono veramente esprimere una realtà
più profonda », come diceva uno di loro.
Questo rapporto nuovo culminava nella
messa, presente tutta la comunità
di Vallo. Soprattutto al termine, quando nessuno voleva uscire, tanto forte era
il clima che si era creato nella chiesa. Era il segno che forse si era un po'
riusciti a superare la fossa che tante volte si nota tra quella mezz'ora
di messa in chiesa e tutto il resto della settimana.
Ma bisognava partire. Il che significava
senz'altro la fine della visita a Vallo ma non la fine di quella che
era stata la sostanza dell'esperienza. « Avrei voluto rimanere
sempre con questi amici, ma ho pensato che non era giusto, perché
dovevo tornare là dove vivo ogni giorno, per amare in quelle situazioni
comuni, valorizzando ciò che rischia di diventare abituale ». Cosi
ci scriveva uno dei ragazzi; ed era per noi come un segno che la
realtà che avevamo lasciato a Vallo non era solo un entu siamo effimero ma l'impronta
di qualcuno che rimane: Dio stesso.
a cura di Luigi e Felix