Parola di vita

«Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito,

 ma a servire» Mt. 20, 28

 

L'idea di servizio non è nuova per i cristiani.

Oggi però si parla su quest'argomento molto più di prima.. Se ne parla tanto che forse si corre il rischio di farlo a sproposito.

Si dice che la Chiesa è servitrice dell'umanità, che i cristiani stanno al servizio degli uomini. Sebbene questo sia vero, c'è il pericolo di dimenticare l'altra faccia della moneta, e cioè, che i cristiani sono servitori di Dio.

E' per Lui che si fanno servitori gli uni degli altri.

Il cristiano dal momento che ama Dio, serve il prossimo, per servire così Dio. (cfr. 1. Gv 4, 20-21].

Trascurando questo aspetto il cristianesimo perde la sua fisionomia propria diventando, nel migliore dei casi, un umanesimo, mentre il ser­vizio che dobbiamo rendere ha una sua radice profondamente religiosa.

Se si va guidati soltanto da prospettive umane, non solo non si serve bene Dio, ma nemmeno l'uomo. C'è il rischio che, avendo di­menticato Dio, si voglia trovarlo nei surrogati, servendoci degli uomini invece di servirli, o facendo di loro nuovi idoli: questo è un paganesimo di nuova fattura.

Gesù nella sua vita e nella sua morte si mostrò servitore di Dio e degli uomini (tanto che a Lui si applica il titolo di « Servo di Jahweh»). E' Lui il modello per noi. Lui nella sua vita terrena non si adoperò se non per ciò che sarebbe piaciuto al Padre.

Visse in una completa dipendenza da Dio. La sua missione non l'aveva scelta Lui; gliela aveva affidata il Padre.

Altrettanto succede o dovrebbe succedere per noi.

Se vogliamo che il nostro servizio verso gli uomini sia veramente costruttivo, esso dovrà avere la sua fonte e la sua ragione in Dio.

Servire concretamente l'uomo significa mettersi «al di sotto» anche quando avessimo qualche ragione per essere « al di sopra ».

Gesù continua ad essere modello: Lui che era Dio « preferì an­nientare se stesso, prendendo la natura di schiavo» (Fil 2, 7).

Per considerarsi però effettivamente inferiori agli altri ci vuole l'umiltà. E' ciò che ci dice S. Paolo: « Ciascuno con umiltà tratti gli altri come superiori a sé » (Fil 2, 3).

L'umiltà, poi, va accompagnata da altre virtù come la mitezza, la mansuetudine, la povertà.

Sono tutti aspetti che rendono libero il nostro agire e che ci permettono di vivere per gli altri, dimenticando il nostro io.

Se poi andando avanti trovassimo che è difficile servire il prossi­mo nella dimenticanza di sé; che ci sono delle persone che ti fanno pesare il fardello; che forse qualcuno, approfittando della tua buona volontà, si « serve » di te (e dal momento che abbiamo a che fare con l'uomo concreto ci troveremo sempre davanti a casi simili], allora dobbiamo ricordarci che noi, discepoli, non possiamo essere da più del Maestro.

Infatti Gesù proprio sulla croce compì il miglior servizio per gli uomini, e allo stesso tempo portò a compimento l'opera affidatagli dal Padre.

Questa è la vera dimensione di ogni servizio.

Se siamo chiamati ad essere « per mezzo della carità servitori gli uni degli altri» (Gal 5, 13), dobbiamo tener conto che «nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la propria vita per i suoi amici » (Gv 15, 13).

Il nostro atteggiamento di servizio dovrà perciò essere quello di Gesù in croce.

Se confidiamo nel Padre, vivendo in morte continua, allora potremo, come Gesù, portare molti frutti e contribuire alla redenzione di molti.

Attilio Gimeno