non cercare alibi
Certe frasi del Vangelo, chissà perché, vengono spesso dimenticate.
A volte sono verità che sembrano troppo dure da tradurre in
pratica, ma a volte si tratta di verità che — anche solo credute — sarebbero in
grado di darci una certa pace di cui abbiamo tutti grande bisogno.
Una di queste si trova in Luca 10, 20. Ai
settantadue discepoli che ritornano da un viaggio apostolico e che si
rallegrano con Gesù del fatto che
perfino i demoni sono stati vinti nel Suo nome, Gesti risponde: « Però non gioite perché gli
spiriti vi sono soggetti, ma gioite perché i vostri nomi stanno scritti
nei cieli».
Normalmente il nostro comporto mento è opposto. Diamo troppa importanza ai frutti
esteriori dell'apostolato tanto da esaltarci se
ci sono o da rimanere delusi e depressi se non ci sono.
Anche se a livello di coscienza superficiale,
infatti, arriviamo a dire «Grazie a Dio ho fatto questo e questo », sotto sotto cova sempre una sottile
compiacenza personale che contraddice il « grazie a Dio »
mettendo in primo piano noi stessi. La nostra gioia viene dal successo,
insomma, ma più che gioia è esaltazione.
Quando poi siamo costretti a denunciare
fallimenti si fa manifesto quanto quella gioia fosse
precaria e alienante.
La delusione è sempre sintomo della fiducia che riponevamo in
noi stessi, e poiché non siamo troppo inclini a ritenerci « servi inutili », scarichiamo
sulla cattiva coscienza degli altri o sulla situazione globale della società o sulla mancanza di mezzi
adeguati la stizza che proviamo per il fatto che gli altri non hanno
risposto alle nostre aspettative, arrivando al punto di sentircene offesi.
Cercare capri espiatori per soddisfare
il senso di sé è facile e
sempre possibile, anche quando è marchianamente
difetto nostro.
Essere contenti dell'insuccesso per la
certezza che Dio non è condizionalo
dalle nostre incapacità nell'edificare il suo regno sulla terra,
è saggezza dei santi.
E questi sono anche quelle rare persone che
non vanno alla ricerca di alibi.
Come può esserlo per un parroco, ad esempio, mascherare con mille
attività esteriori il senso di frustrazione che lo prende quando
non vede maturare attorno a sé frutti spirituali, dimenticando appunto
di farsi radice affinchè la pianta possa esistere e raccogliere e
mettere al riparo della sua ombra —
come il granello di senape fatto albero — la comunità
dei figli di Dio.
La radice è la croce.
La radice è la gioia della croce che possiedono quanti
vivono le beatitudini: ad essi Gesù ripete di gioire, perché membri del regno dei cieli
Silvano Cola