vita gen's
«
Per quanto riguarda la vita all'interno del gruppo in cui viviamo Roberto,
Domenico ed io — ci scrive un gruppo di teologi incaricato di
seguire dei liceali — notiamo una cosa curiosa: quando cerchiamo
di essere pienamente ciò che Dio ci chiede di essere in quel momento,
mettendolo al primo posto, il gruppo va bene e Dio lavora in
profondità anche con gli altri. Quando invece ci dimentichiamo, a fatti
almeno, che solo Gesù tra noi porta avanti le cose, e lasciamo che sul
nostro rapporto con Dio si depositi un po' di polvere, allora la struttura
che esprime la nostra vita diventa vuota e oppressiva per noi e di inciampo per
gli altri che, a ragione, vedono in noi un qualcosa senza senso ».
L'esperienza di Lukas
Non ci è
tanto simpatico pensare che dovremo essere, domani, degli « apostoli
», gente impegnata a conquistare persone a
Dio: perché la parola conquistare sa troppo di imperialismo
spirituale e poco di libertà.
Ma se poi si capisce che basta lasciarsi
conquistare da Dio e farsi trasparenti per Lui, allora si avverte che non siamo
noi ad attirare gli altri ma, attraverso noi, l'amore
di Dio che trascina lasciando liberi.
E le persone attorno a noi faranno un
po' la stessa esperienza di Lukas, un seminarista
svizzero, nei confronti di un suo compagno. «
Nel nostro seminario — scrive — è consuetudine fare,
parallelamente alle lezioni di catechesi, anche delle esperienze pratiche nelle
scuole della città. Quel giorno toccava a me preparare e tenere una
lezione assieme ad Albert, un compagno del corso
superiore.
Mi accorgevo che lui prendeva veramente
sul serio questo impegno e si preparava per tutta la settimana. Io invece,
indaffarato in tante altre cose, mi preparavo così, alla
buona, anche perché doti da catechista — al contrario di
lui — non ne ho molte.
Malgrado tutto, avvertivo ugualmente
che questa nostra collaborazione aveva in sé qualcosa di speciale. Mi trovavo veramente bene con lui, e
tra noi due non c'era nessuno screzio. Pur sapendo che il mio contributo era
piuttosto limitato, non mi sentivo per niente come uno che approfitta delle doti di un altro, anzi, mi sembrava che
quelle lezioni fossero veramente le « nostre » lezioni.
Per questo, nelle pause del nostro
lavoro, cercavo di capire cosa era ciò
che dava libertà e profondità alla nostra collaborazione. In
quei colloqui Albert mi spiegava come, con altri, fosse impegnato in una vita comunitaria evangelica e come da
quella traesse la sua freschezza.
Capivo, allora, donde gli venisse
la sua serenità ed apertura.
E lentamente ho scoperto l'arte sottile,
mariana direi, di Albert: farsi del tutto vuoto
davanti a me e allo stesso tempo darmi tutto ciò che aveva.
Posponendo le sue doti di catechista,
aveva impegnato tutta una settimana per poter collaborare con me il più possibile.
Questa era la fonte di quella nuova libertà sperimentata con lui; questa era la ragione che
mi spingeva, 14 giorni dopo, a uscire dal mio individualismo per iniziare una effettiva comunione con gli altri.
Ora siamo in cinque, nel
seminario, a vivere cosi ».
Dall'Argentina
Anche in America Latina, gruppi di seminaristi
sparsi in Argentina, Cile, Perù e Paraguay sono
impegnati a vivere secondo questo stile, e si sforzano di far circolare la
loro vita attraverso un centro di collegamento in Buenos Aires.
Una lunga relazione arrivataci
in questi giorni,
ci mostra, anche lì,
la ricchezza e
l'autenticità di uno apostolato come testimonianza
di unità vissuta. Due
esperienze:
«
Impegnato nell'apostolato con Tomas — scrive
Daniel del Seminario di Rosario (Argentina) ho
ricevuto un sacco di grazie. Ci sono state tra noi due, in un dato periodo,
tensioni molto forti, e mi sembrava che la nostra unità si fosse un poco incrinata. Si trattava di superare tutto questo
senza giudicare, cogliendo al volo ogni occasione per amare.
Così è successo che, l'altro giorno, mentre si andava ai
baraccati, Tomas mi dice: « sono convinto che
l'apostolato più forte è la testimonianza della nostra
unità ». Questo ci ha fatto intravedere la soluzione di tanti problemi pastorali e della nostra formazione
all'apostolato ».
«
Certamente — conclude Gustavo di Buenos Aires — perché siamo
in pochi, vediamo come sia difficile dare agli altri,
tramite la nostra testimonianza, la perla che abbiamo scoperto. La nostra
piccolezza viene in rilievo soprattutto quando costatiamo,
attorno a noi, forti esigenze a sfondo sociale e politico, per le quali molti
nostri compagni si compromettono, senza aver quella luce che è
capace di illuminare e dar senso
alla loro azione.
Anche questo ci fa avvertire come principale
esigenza, quella di intensificare e solidificare prima di
tutto la nostra vita come corpo ».
La Redazione
Ricerca di un dialogo
Capita a volte nella vita di attraversare
momenti difficili, quando ci si accorge che non si sta realizzando l'unità con gli altri, e non si trova la strada giusta
per potersi accostare a loro.
Da quando avevo ricevuto l'ordinazione
sacerdotale non mi ero più
interessato seriamente
del seminario, della sua problematica e dei rapporti con gli
alunni. Cosi, col passare degli anni non riuscivo più a capire le
nuove idee, il modo diverso dì comportarsi e di agire di coloro
che, un giorno non lontano, avrebbero operato nella Chiesa con le mie stesse mansioni.
Cercavo una soluzione, un dialogo
con questi giovani che, oltretutto, avevano i miei stessi problemi,
perché anche loro incapaci di stabilire un
dialogo costruttivo con i più anziani.
Ho esposto queste cose agli altri sacerdoti
del presbiterio, sottolineando la mia ansia di trovare una soluzione.
Le occasioni non sono mancate.
Lo studentato
teologico di Catania, dove sono raccolti alunni
di quattro diocesi, ci suggerì
l'idea di iscriverci al corso di teologia. Lì, nella scuola, trovandoci
con loro allo stesso livello, ogni lezione diventava una possibilità
di incontro. Allora, ci siamo iscritti in dodici, suscitando non poca
meraviglia nel preside e negli altri professori, anche perché eravamo di
una certa età e, da anni, non allenati allo studio.
Andiamo a Catania una volta la settimana.
Coi ragazzi si è stabilito un rapporto semplice, vero,
reale. Sono cadute barriere e molti pregiudizi.
Anche il vescovo si è pronunciato favorevolmente sulla nostra iniziativa.
Ma la cosa più importante è che questi giovani non
guardino più al futuro come a una incognita,
perché il ponte lanciato diventa certezza di una futura, reciproca
collaborazione.
Paolo Gallo