L'apostolato non sopporta equivoci tra

funzione ed essere

di Pino Petrocchi

 

La grande tentazione dell'uomo è tradire l'essere per sposare l'agire. Il motivo è semplice: è più facile parlare, apparire, operare che essere. Inoltre l'azione fa sentire il brivido della concretezza, abbaglia col suo dinamismo, garantisce risultati imme­diati. Molti cedono a questo fascino e finiscono per credere che basti solo agire per costruire; da qui l'iste­ria del fare.

L'uomo si perde nelle cose esterne e trascura la sua realtà profonda. Si produce cosi uno scarto tra ciò che egli è e ciò che : il fare non esprime l'essere.

Il risultato è l'alienazione: un sem­brare senza avere, un udire senza ascoltare, un volere senza sapere, un parlare senza  vivere.

Purtroppo « l'uomo (Dasein) si attua spessissimo in questo modo di essere inautentico (che si rivela nella chiacchiera, nella curiosità, nella equivocità) » « perciò viene sempre più alienandosi dal suo vero e pro­prio poter essere, il quale gli si nasconde  sempre  di più » .

Il pericolo oggi si è aggravato. La nostra società tecnologica, dinamica, consumistica, impone il suo ritmo frenetico. Essere non conta più niente; è considerato solo un vecchio con­cetto, gravato dal peso di una visione statica e sostanzialistica della vita. E' passato di moda, non serve più. L'ideale è l'efficienza, la precisione, la rapidità. Non importa quello che sei e neppure l'animo con cui fai; quello che conta è che tu faccia sempre di più. Tu vali e sei ciò che fai, dunque è « l'apparenza che è l'essenza»2. Questo determina « l'identificazione della cosa (e della persona) con la sua funzione»3. « L'individuo moderno decade al ran­go di semplice funzione, proprio in quanto solo questa ha un valore col­lettivo e di conseguenza, essa solo può offrirgli una possibilità di vita»4.

Ognuno deve mettere la sua ma­schera e fare bene la sua parte.

« Queste identificazioni col ruolo sociale sono ricche sorgenti di nevrosi. L'uomo non può impuramente sbarazzarsi di se stesso a favore di una  personalità  artificiale»5.

In conclusione, ogni agire che non sia espressione del proprio essere au­tentico è alienazione e nevrosi. Porta in sé la condanna al fallimento, alla angoscia, alla sterilità. Le opere del­l'ipocrisia (che è operare senza es­sere) sono come le false prospettive dipinte sulle pareti; viste da lontano ti mostrano luci, giardini, decorazioni. Ma se Vai a toccare ti accorgi che è tutta apparenza: sotto c'è solo il muro.

Il vuoto genera il vuoto, perché « tutto ciò che viene dal nulla tende da sé verso il nulla »'.

Solo la vita partorisce la vita, la perfezione   altra  perfezione.

Occorre ricomporre la frattura e riunificarsi con se stesso e col pro­prio operare. In una parola, dare una testimonianza vera, cioè un fare che esprima il proprio  essere  autentico.

Ma questo implica la necessità « di uno sforzo morale, di una grandis­sima abnegazione e di un elevatis­simo sacrificio di sé »7. E' il prezzo dell'autenticità e della fecondità.

Chi ha capito questo lotta contro l'ipnosi dell'azione, contro l'illusione che il solo agire possa risolvere i problemi e realizzare le aspirazioni, e sa che necessariamente l'effetto è proporzionale  alla causa.  Per  ciò se

si vuol fare di più (nel senso auten­tico della parola) occorre essere di più.

 

L'uomo è amore

Chiarito che ogni agire che non sia espressione del proprio essere auten­tico è un agire alienato, sterile e nevrotico, rimane ancora da risol­vere l'incognita fondamentale: quale è   l'essere   autentico  dell'uomo?

« Cosi avviene che quando un uo­mo sia stato realmente destato al senso dell'essere o dell'esistenza... spe­rimenta... che l'amore non è un pia­cere che passa o un'emozione più o meno intensa, ma che è la tendenza radicale e la ragione fondamentale del suo stesso essere, per la quale egli vive»8.

A questo punto è facile tirare le somme di tutto il discorso: ogni azio­ne umana che non sia espressione di amore è alienante, sterile e nevrotica.

Quanto più invece un'azione è ca­rica di amore, tanto più vivifica e porta frutti autentici.

 

La tentazione del Cristiano

Il cristiano vive nel mondo, anche se non è del mondo. Avverte dentro di sé tutte le lacerazioni e i conflitti dell'uomo moderno e subisce gli in­flussi della società in cui vive.

La grande tentazione del cristiano (e del prete) d'oggi è lasciarsi trasci­nare dall'ipnosi dell'azione, identifi­carsi con la propria funzione e non col proprio essere. La coscienza che Dio ordinariamente salva l'uomo at­traverso l'uomo e la percezione dei problemi che travagliano il nostro tempo, acuiscono ancora di più que­sta spinta a fare.

Nasce cosi un apostolato originato da intenzioni generose, ma che spesso (troppo spesso) si disancora dall'es­sere.

Si parla di giustizia, ma non si è giusti con chi ci vive accanto; si annuncia la povertà senza essere po­veri, perché si è attaccati alle proprie idee; si predica Dio, ma senza averlo sperimentato.

Per questo, forse, « esiste in gene­rale una tendenza a riflettere il meno possibile sullo scopo dell'amore; al­trimenti si potrebbero scoprire cose che farebbero apparire in una luce meno lusinghiera il valore del pro­prio amore » 9.

Il frutto è, prima o poi, la crisi. L'apostolato è stato un arare nel mare e il mondo perde la fede.

Gesù ha un altro stile. Egli non dice parole, ma è Parola; non parla della vita, è la Vita; non disquisisce sul valore della sofferenza, va in croce. Questo gli apostoli l'avevano capito molto bene, per ciò S. Gio­vanni annuncia ciò che ha udito, ciò che ha toccato, ciò che ha palpato (Cf. 1 Gv. 1, 1-4).

Occorre per ciò recuperare l'agire all'essere; in altri termini, dare una testimonianza autentica.

L'essere del cristiano è Amore, Amore con la maiuscola, perché si tratta dello stesso amore di Dio, e non solo di un amore umano. Il cri­stiano è reso partecipe della natura divina (2 Pietro 1, 4). Questo equi­vale a dire che l'essere del cristiano

è l'Amore di Gesù, perché lui è l'uo­mo — Dio.

L'agire del cristiano, allora, è au­tentico nella misura in cui esprime questo Amore.

 

Gesù è comunione col Padre nello Spirito Santo

Quindi ogni fare del cristiano che non esprima la sua comunione col Padre, per mezzo di Gesù, nello Spi­rito Santo, è un fare alienante, un girare a vuoto.

Il seme che non porta in sé la realtà di Dio produce frutti destinati alla corruzione: « Ogni pianta che non è stata piantata dal Padre mio celeste sarà sradicata » (Mt.  15,  13).

Gesù parla chiaro: « Senza di me non potete far nulla » (Gv. 15, 5), Maritain specifica: « Senza di me po­tete fare il nulla»10.

« Il Regno si diffonde nel mondo per mezzo della carità », e la carità è innanzitutto unione con Dio, è « realtà divina, è presenza dello Spi­rito » 11.

Senza essere carità è inutile fare la carità.

Ma. « chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto » (Gv. 15, 5). La misura della nostra efficacia nell'an­nuncio del vangelo è data dal grado della nostra esperienza di Dio e di comunione con lui.

 

Gesù è comunione con i fratelli

Ma l'uomo è anche comunione con gli altri. A maggior ragione il cri­stiano. Un agire senza essere comu­nione con gli altri è vuoto e contradditorio. Se perciò mentre fai il tuo apostolato ti accorgi di non essere in comunione perfetta con qualcuno dei tuoi fratelli, lascia tutto e va prima a riconciliarti con lui (Cf. Mt. 5, 23-24), perché il tuo è un fare inutile  che  tradisce  la   tua essenza.

Apostolato è testimoniare il proprio essere-comunione (« unum ») con i fratelli; perciò è manifestare la pre­senza di « Gesù in mezzo » (Mt. 18, 20).

 

Gesù è Amore incarnato

Il Verbo si è fatto carne, «una carne simile a quella di peccato » (Rom. 8, 3): ha assunto su di sé tutto l'uomo, col suo negativo e con i suoi valori. Quindi l'operare vero del cristiano deve esprimere sempre il suo essere-incarnazione. E' un ac­cettare radicalmente l'altro, un farsi ­uno con lui fino a sentirlo « proprio »; è un ascoltare senza condannare; un dare senza pretendere; servire senza rinfacciare.

Ogni atteggiamento di superiorità 'e dominio spirituale, di auto-afferma­zione, di giudizio, insomma ogni apo­stolato che non testimoni il farsi « tabula rasa » per assumere l'altro è ancora nevrotica ricerca di sé.

Allora è vera anche l'affermazione contraria: il farsi povertà che arric­chisce l'altro, buio che lo mette in rilievo, silenzio che lo accoglie, è ciò che dà potenza al nostro agire e ci costruisce, testimonianza viva del no­stro essere-Amore-che-si incarna.

 

Gesù è Amore in croce

E' essenziale al cristiano, pertanto, vivere in costante crocifissione.

Ma il connubio tra la ripugnanza naturale dell'uomo verso la sofferenza e la tensione al benessere della socie­tà dei consumi genera la pretesa di un cristianesimo facile. Si vuole Gesù, ma senza la croce. Ci comportiamo, in pratica, da « nemici della croce di Cristo » (Filipp. 3, 18).

Il nostro agire, allora, rinnega il nostro essere: per questo ci sentiamo spaccati e il mondo perde la fede per cadere nelle cose.

La legge della morte per la vita, del non-essere per essere, del per­dersi per salvarsi è legge dell'essere, dell'uomo, del cristiano.

Cercare di sfuggire a questa dialet­tica, pretendere di produrre frumento senza essere marcito come seme, è alienarsi dal dinamismo fondamentale della realtà: è. un controsenso onto­logico.

Dal dolore non si scappa e l'ango­scia più nera è il non sapere dare un senso  alla propria angoscia.

Non esistono « autostrade » per il Regno di Dio: la porta d'ingresso è rimasta sempre quella stretta dei tempi di Gesù.

Per questo non esistono apostolato e salvezza se non nella testimonianza di un Amore-crocifisso.

Ma chi vive la stoltezza della cro­ce, sperimenta la sapienza di Dio; chi abbraccia la propria debolezza vedrà i frutti della efficacia dello Spi­rito (1  Cor. 2, 5).

 

Gesù è Amore-risorto

Di conseguenza il cristiano deve possedere « giustizia e pace e gaudio nello Spirito Santo» (Rom. 14, 17). Pace-gioia non epidermica e artificia­le, come quella del mondo, ma « mi­dollare » (come dicono i mistici), che « sorpassa ogni intendimento » (Filipp. 4, 7). E' una pace-gioia nello Spirito, che sgorga dalla croce: infatti lo Spirito « è una vita nella morte, ... senza la quale non può entrare nell'uomo » 12.

S. Tommaso va dritto alla conclu­sione: « siccome il Regno di Dio è costituito da una santità, da una pace e da un gaudio interiore, ne segue che tutti gli atti esterni che sono contrari alla santità, alla pace e al gaudio spirituale, sono contrari al Regno di Dio, e quindi... sono da ri­gettarsi»13. In altre parole, ogni agi­re (leggi: apostolato) del cristiano che non esprima il suo essere-Amore-risorto è paganesimo rivestito.

L'apostolato l'hai fatto solo quando qualcuno può dirti: « ho visto Dio in te».

1  M. Heidegger,  Sein  und  Zeit, Max Niemeyer Verlag, Tùbingen, 1967 (II. unv. Auflage), p. 175.

2  J. P. Sartre, L'ètte et le néant, Paris, 1943, p. 12.

3  H. Marcuse,  Der  eindimensionaie Mensh, Sonderausgabe der Sammlung Luchterhand, Neuwied u. Berlin, 1970, p. 116.

4  C. G. Jung, Tipi psicologici, ed: Newton Compton Italiana, 1970, p. 90.

5  C. G. Jung, L'io e l'inconscio, ed. Boringhieri, 1967, p. 111.

6 « S. Tommaso, De Ventate, 5, 2.

7  C. G. Jung, Tipi Psicologici, ed. cit., p. 129.

8  J. Maritain,  Une  nouvelle approche de Dieu, in Nova et Velerà, aprile-giugno 1946.

9  C: G. Jung, Psicologia dell'incoscio, ed. Boringhieri, p. 81.

10  J. Maritain, Breve trattato del­l'esistenza e dell'esistente, ed. Morcelliana, 1965, p. 74.

11  F. X. Durrwell, Nel Cristo Re­dentore, ed. Paoline, 2a ed., p. 186.

12  F. X. Durwell, La Risurrezione di Gesti Mistero di Salvezza, ed. Pao­line, 1965, p. 332.

13  S. Tommaso, Summa Tb, I-II, q. 108 a. 1 ad Ium.