Una lettera per una rivoluzione

Questa lettera segna l'inizio di una tacita ma dilagante rivoluzio­ne sociale. Per la comunione dei beni che essa ha suscitato fra tut­ti gli aderenti alla spiritualità del Movimento dei Focolari, ciò che sembrava impossibile è di­ventato possibile. Si sono supe­rati gli oceani per rendere pre­senti in ogni angolo della terra testimoni dell'amore di Cristo e operatori di unità. Si è penetrati nella foresta del Cameroon Oc­cidentale per evitare l'estinzione della  primitiva ma nobile e reli­giosissima tribù Bangwa, oggi invidiata da molti paesi africani per il suo attrezzassimo ospe­dale, per le sue scuole, per l'in­dustria artigianale ormai avviata. Si è scesi fra. i mocambos del Nord-est brasiliano per mettere in atto la violenza dell'amore. E si sono costruite cittadelle evan­geliche in Europa, America La­tina ed Estremo Oriente, dove chi ci va è costretto a dire: « Ma allora il Vangelo dice vero! ».

Da questo (documento ha pre­so inìzio anni fa la comunione dei beni tra molti sacerdoti di tutto il mondo. E' ancora per es­so anche se pochi lo conosco­no che si sta attuando fra la nuova generazione del Movimen­to un nuovo stile di vita: una co­munione non a parole ma a fatti.

 

Roma, 2 marzo 1958

Carissimi tutti cui Dio ha fatto il grande dono dell'Ideale dell'u­nità, oggi ci sentiamo spinti a comunicare a voi, che in Italia e all'estero vivete lo spirito del­l'unità, una preoccupazione e un'idea, che siamo certi accoglie­rete con grande amore.

Voi sapete come e quanto l'O­pera nostra, che amiamo chia­mare Opera di Maria, sia vasta e  complessa.

Non si sa chi tra le varie bran­che di essa sia la migliore e la più importante; si può dire che ognuna è la più bella e la più cara a Dio, un po' come si po­trebbe dire, salendo alle verti­ginose altezze di Dio, delle tre persone della Santissima Trinità non si sa chi sia la più bella.

L'importante è però che ogni branca svolga il compito a cui è stata chiamata con la massima perfezione.

Per questo oggi mettiamo l'ac­cento su un punto essenziale per la nostra Opera, punto che ci sembra vada considerato e attua­to come Dio vuole.

Se l'Opera è un cuor solo ed un'anima sola, tutto in essa deve circolare cosicché nulla rimanga accantonato ed insfruttato, men­tre in altri posti qualcuno atten­de l'aiuto di un po' di pane, di calore, di un vestito, della possi­bilità d'una vita povera ma suffi­ciente, di un conforto, d'un con­siglio, d'un po' di luce, che può venire da chi Dio ha chiamato come apostolo della sua parola e del suo amore.

L'Opera certamente « vive » e nell'aspirazione e nell'intenzione si fa meglio che si può, ma certa­mente non si fa tutto.

I focolarini, ad esempio, mese per mese versano tutti i loro guadagni all'Opera. Ora sembra che anche tutti gli altri dell'Ope­ra dovrebbero mettere in comune il superfluo, secondo la volontà di Dio su ciascuno.

I focolarini hanno una voca­zione, gli altri un'altra: ma tutti siamo un'unica famiglia e, se non facciamo il massimo che possia­mo, dobbiamo dire con rammari­co che altri, per ideali molto in­feriori al nostro, operano più di noi.

Perciò vorremmo far presente a tutti quelli che da Dio hanno avuto il dono di conoscere il no­stro Ideale, di regolare questa parte un po' sull'esempio dei pri­mi cristiani, che spontaneamen­te portavano il loro ai piedi de­gli apostoli.

Ora i tempi sono diversi, ma Dio è uguale e domanda a tutti noi di condurre una battaglia pacifica, ma concreta e costante, contro l'egoismo che è in noi, la pigrizia e l'avarizia, perché il mondo, vedendo il nostro esem­pio di carità scambievole, si con­verta.

Ci sarà chi darà 10.000 lire al mese, perché è tutto il suo. Chi 1.000 lire, perché è tutto il suo. Chi 10 lire al mese, perché è tut­to quanto può. Chi ci confida i suoi bisogni per essere aiutato. E anche questo dà. L'importante è dare davanti a Dio e non agli uomini, inserendosi concretamen­te nella rivoluzione che, uniti nel nome di Gesù, vogliamo con­durre.

E saremo soprattutto noi che daremo a guadagnare, perché al posto delle poche o tante lire ri­ceveremo il regno di Dio: « Bea­ti i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli ».

Facciamo attenzione a non la­sciarci sfuggire il regno dei cieli per una somma accantonata, per qualunque cosa che non ci serve e che — salva la carità e la giu­stizia coi prossimi — possiamo dare.

Un santo non è mai un como­do e un tranquillo.

E' sempre uno che costruisce una infinità di opere, che poi du­rano e si moltiplicano anche do­po la sua morte, perché hanno radici in Dio.

Il santo è un contemplativo, che concretizza quello che vede per il bene dell'umanità.

Siamolo anche noi: ché, se un bicchier d'acqua avrà la sua ri­compensa, che ricompensa avrà chi dà tutto quanto può per Id­dio  nei fratelli?

Nella comunione dei santi

Chiara Lubich