Di Klaus Hemmerle
alienazione e
comunione
Non è soltanto cominciando con Marx e nel
senso di Marx che l'alienazione si presenta come problema fondamentale
dell'umanità.
L'uomo sa di essere nato per la libertà;
soltanto in quanto libero egli è uno in se stesso, e soltanto in una
comunione di persone libere può realizzarsi l'unità degli
uomini.
Le varie facce dell'alienazione
Già il fatto di essere legato alla materia,
di sottostare a leggi e pressioni che ostacolano la sua libertà, ha
spinto l'uomo di ogni tempo verso soluzioni false o per lo
meno distorte, ad un dualismo cioè che concepiva la materia, la
corporalità, come « alienazione » dello spirito.
Nell'età moderna l'esperienza dell'alienazione ha assunto
un'altra forma, la divisione della società in classi: da una parte
quelli che hanno e che dominano, dall'altra quelli che non hanno e che
dipendono dagli altri. E' stato col nascere dell'industrializzazione
che questa divisione ha spinto l'umanità, e continua ancora a
spingerla oggi — epoca di un mondo unificato — verso l'inquietudine,
verso grandi capovolgimenti e pericoli. Ora, soltanto se gli uomini
possiedono e usano insieme i beni di questo mondo, — le condizioni e
le possibilità materiali e spirituali dell'esistenza —, soltanto
se gli uni non diventano mera « materia », massa disponibile e dominabile,
anche se resistente, nelle mani degli altri, soltanto cosi ci sarà
libertà umana.
Nel nostro tempo, inoltre, il problema dell'alienazione si
presenta sotto un'altra dimensione. Noi stiamo vivendo in una comunione di
dimensione mondiale, di tutti con tutti. Poiché
c'è una dipendenza vicendevole, c'è una partecipazione di
tutti all'unico processo di produzione e di
consumo, processo che contiene nel lavoro di uno le condizioni di
vita dell'altro. Ebbene, mentre tale dipendenza vicendevole potrebbe
essere una «
chance » per realizzare
la comunione di tutti, per superare la separazione tra gli uomini, mentre
potrebbe anche essere occasione per arrivare alla libertà
dell'uomo dal momento che il comune progettare e
operare lo renderebbe signore del proprio futuro, dobbiamo purtroppo
costatare di fatto che mai come oggi si è fatto sentire
l'urlo della « violenza ».
Qual è allora la violenza che oggi
opprime l'uomo, prendendolo come « materia » di questa
oppressione, e alienandolo cosi da sé stesso? E' la violenza
dell'automatismo ('Apparat') che esercita un dominio
e uno sfruttamento integrale del mondo, dei suoi beni e delle sue possibilità.
Tutti gli uomini sono intrecciati in questo sistema, dove ciò che
li lega è l'interesse, la necessità e la funzione. Ma proprio per
questo, come uomini, si ritrovano nuovamente isolati, costretti in
un'altra, grande solitudine che fa perdere ad essi
il senso di sé stessi sia come umanità sia come persone
singole, e li fa sentire alienati più profondamente che mai.
Soluzioni ingannatrici
Un ipotetico superamento delle disuguaglianze sociali ed
economiche, però, non basterebbe a sanare l'alienazione
dell'uomo. Infatti la sua solitudine, il suo
essere estraneo all'altro e con ciò anche al proprio io,
resterebbero tali qualora il dominio del mondo e la comunione tra gli uomini si
esaurissero solo nel fatto di essere « funzionali ». Ma sarebbe
pure una soluzione sbagliata separare l'alienazione « personale
», esistenziale, dell'uomo dalle sue condizioni concrete di
vita nel mondo e nella società, e cercare di risolverla « a parte
». L'ansia personale dell'uomo di arrivare al senso del proprio
essere, al dialogo, alla libertà, è congiunta con la sua
corporalità, con la economia e con la
società. Fin quando l'uomo non arriva all'identità di sé
stesso come uomo intero, egli si esperimenta in tensione con sé
stesso: è alienato. Ma « uomo intero » significa uomo
composto di anima e corpo, l'uomo come persona, inserito nel mondo. Non
l'uomo solo con sé stesso, ma in comunione con gli altri; l'uomo
nell'umanità.
In ultima analisi l'uomo è uno in
sé stesso soltanto nell'unità con Dio. Dio è la salvezza
dell'uomo. La redenzione risponde alla
alienazione. E la redenzione non è opera dell'uomo ma dono di Dio. Tutto
il voler-costruire un paradiso terrestre, tutta
la speranza di arrivare già in questo mondo alla liberazione totale dell'uomo, devono fallire. E tuttavia la fede nella
redenzione è la spinta più forte ad impegnarsi già qui
ora, realisticamente, in una
chiara visione delle possibilità concrete perché l'uomo
trovi l'uomo e l'umanità, perché riesca a « superare
» il mondo, e arrivi con ciò alla massima libertà. La fede
sa infatti che Dio vuole la salvezza dell'uomo intero.
E la vita qui-ora fa parte dell'uomo « intero ». Essa deve
diventare segno e indice di quanto Dio vuole operare nell'uomo,
trascendendo tutte le possibilità storiche.
Lo scandalo divino della
soluzione
Dove troverà il credente la soluzione alla
triplice alienazione e schiavitù dell'uomo: alienazione e
schiavitù nei confronti di sé stesso, di chi gli sta accanto, e
del mondo? Sembra un paradosso: guarderà a Dio, a Dio in sé
stesso e nella sua vita trinitaria.
Dio è uno, ma non è solo; è comunione.
L'intimo essere di Dio non è staticità e chiusura,
ma relazione viva. Espresso con un concetto antropomorfico, esso
è: l'abbandono di sé da parte del Padre per il Figlio e del
Figlio per il Padre, nello Spirito. Si vede che
una persona esiste totalmente per l'altra. Gesù dice, che lui, il
Figlio, dà gloria al Padre e riceve gloria dal Padre (cf Gv. 17, 1). In
questa relazione « storica » del Figlio fatto uomo al Padre, e del
Padre a lui, si esprime il mistero interiore di Dio. Noi possiamo parlare soltanto a mo' d'immagine.
Dare gloria significa anche « innalzare
». Il Padre innalza il Figlio, il Figlio innalza il Padre. Ognuno si « sottomette », per così dire, all'altro, fa da sfondo per far risplendere l'altro.
Così il Figlio dice: « Tutto il mio è tuo, e tutto il tuo
è mio» (Gv. 17, 10). Nel comunicarsi
dell'uno all'altro ognuno dà se stesso, dà tutto. Potremmo dire,
con una espressione molto audace: l'uno si fa «
materia » nella quale l'altro assume la sua forma. Per questo l'amore del
Figlio per noi, il suo servire fino in fondo, è manifestazione e
riflesso del suo rapporto col Padre; così come il Padre, nell'unico
Spirito, esiste del tutto per il Figlio e in lui.
Giovanni Crisostomo dice a proposito dell'espressione
« mio e tuo
» che essa è una fonte da cui nascono innumerevoli rivalità
e guerre. Nella donazione del Padre al Figlio e del Figlio al Padre, questo
« mio e tuo » intradivino diventa punto di partenza per una nuova libertà,
che è, allo
stesso tempo, unità.
Paolo connette la relazione tra i cristiani con la relazione tra
il Padre e il Figlio. Infatti nel secondo
capitolo della lettera ai Filippesi mette proprio l'obbedienza, la «
kenosis » del Figlio verso il Padre, come il
fondamento del dovere che, nella comunità, ciascuno ha di mettere l'altro
al di sopra di sé (cf Fil. 2, 1-11). Cosi
troviamo nella radicalità della comunione interiore di Dio il modello per superare l'alienazione tra noi uomini:
l'identità dell'uomo consiste nell'esistere completamente per
l'altro. Questo è allo stesso tempo la trasformazione della «
materia », ossia dei dati oggettivi, delle possibilità e
degli ostacoli che ci sono nel proprio ambito di vita, in comunicazione e
espressione d'amore per l'altro.
Sarebbe certamente sbagliato trarre da questo delle immediate
conseguenze « sociologiche » e dedurne leggi e
forme di organizzazione sociale. Eppure ciò che vediamo nella vita
trinitaria di Dio porta con sé delle conseguenze imponenti per la
società. I cristiani non possono sentire la chiamata di Dio se non
come chiamata ad una comunione in cui tutto l'essere e avere dell'individuo
diventano esistenza per gli altri, in cui ogni pressione di leggi si apre alla
strada di una libera comunicazione, e ogni lavoro diventa possibilità
di incarnazione del rapporto interpersonale.
Per questo i cristiani diventano lievito nella società,
e la loro comunione di beni spirituali e materiali,
comunione nel lavorare, nel servire e nel donare, diventa ritmo vitale
che rende visibili dei punti di orientamento in mezzo all'alienazione. In
questa comunione l'uomo può trovare l'indice per rimpatriare dall'esilio dell'alienazione.
Cosi sembra esserci una logicità teologica nel
fatto che la radicale scelta di Dio delle prime focolarine abbia trovato la sua
prima espressione proprio nell'aspetto della comunione dei beni. Esso
trasforma le leggi della separazione, della necessità e del duro
lavoro, nella « chance » dell'amore e della comunione.
Trasforma il valore e la testimonianza della povertà evangelica nel
segno beatifico dell'amore, nel quale partecipiamo alla ricchezza della
vita divina già qui-ora.
Klaus Hemmerle