non possedere

Le contraddizioni della vita sociale hanno origine e nello stesso tempo si ripercuotono, aggravate, dentro di noi in conflitti inferiori che ci è difficile superare. Pren­diamo ad esempio l'atteggiamento nei confronti della ricchezza: essa ha assunto un prestigio indiscutibile, costituisce un « valore » senza del quale sembra impossi­bile emergere o realizzarsi socialmente, e di conseguenza la si insegue a tutti i costi, con agni mezzo accettato a non dalla cultura in cui si vive. Questa antica e sempre nuova idolatria suscita in molti, per reazione, una sva­lutazione della stessa con conseguente assunzione della povertà a valore umano ed evangelico; allora si predica la povertà e si pretende che tutti diventino poveri.

Normalmente, di fatto, sembrano aver ragione i pri­mi, mentre è raro trovare un povero capace di testimo­niare con la propria vita l'affascinante libertà di chi vive e sa vivere, anche nel mondo, in pieno « regno dei cieli ».

Anche nel cristiano più responsabile il conflitto è lacerante: intuisce la bellezza e il valore di una vita per­sonale non condizionata dai beni dalla terra, e nello stesso tempo spesso cede o è tentato dì cedere di fatto alle sollecitazioni contrarie della mentalità corrente.

Come in ogni conflitto interiore, la soluzione non sta mai nel liquidare una delle due tendenze contrastanti, bensì si trova ad un altro livello. Poiché la povertà in quanto tale può essere altrettanto vizio che virtù, proprio come la ricchezza.

Non è povertà il non-possedere se poi si è chiusi ostentatamente in se stessi, sprezzanti degli altri o in lotta contro gli altri, magari fermi in soddisfatta con­templazione di sé come contestatori di un mondo debo­sciato. San Paolo, ti direbbe: « cerca piuttosto di guada­gnare di più per aver qualcosa da dare agli altri ». E chi è ricco dovrebbe far suo il medesimo consiglio, non per accumulare ma per dare, e in questo caso sarebbe virtuoso.

Non è il non-possedere che conta, effetivamente, per Gesù, quanto l'entrare in comunione tale col tuo pros­simo che se per un verso puoi affermare di non aver niente perché tutto hai dato, puoi allo stesso modo af­fermare dì possedere cento case.

Il giovane ricco del vangelo Gesù l'ha amato mentre ancora « possedeva », ma lui s'è chiuso in se stesso esclu­dendosi dalla comunione, ed è rimasto un anonimo che non ha fatto « storia ». Pochi suoi contemporanei, ricchi gli uni e poveri gli altri, hanno lasciato quanto possede­vano e la propria indipendenza di vita nella nuova co­munione umana instaurata da Gesù sul tipo della sua sperimentata vita trinitaria, ed hanno dato un senso nuovo alla storia.

Il possedere favorisce di fatto la chiusura agli altri e impedisce l'unione (la comunione) con Dio. Teresa d'Avita è abbastanza esplicita su questo punto.

In realtà l'individualismo nasce dal possedere-per-sé, e non conta se si tratta di ricchezze materiali o spirituali dal momento che si può essere ricchi della propria stes­sa povertà e chiudere l'anima all'amore. Possedere-per-gli-altri, invece, significa entrare in comunione, e vivere in comunione è impossibile senza essere poveri. Poveri, appunto, per « possedere » il regno dei cieli, l'autentico valore anche di questa vita. Poiché se ci amiamo « non a parole ma a fatti », sperimentiamo che « il regno di Dio è fra noi». Quel regno di Dio che è comunione tri­nitaria anche in terra e nella quale il ricco non può entrare.

Silvano Cola