VITA GEN'S

Integrati nella comunità

In pieno accordo con i superiori e con la supervisione del vescovo ausiliare di Torino, Mons. Marita­no, da due anni un gruppo di gio­vani orientati al sacerdozio stanno facendo un'esperienza di formazio­ne simile ad altre oggi abbastanza diffuse. Prima di riportare la te­stimonianza di due di essi, notiamo soltanto che questa esperienza si svolge nell'ambito di una casa par­rocchiale di Torino città, a contat­to di una comunità che si va for­mando nella linea pastorale del Mo­vimento Parrocchiale.

Per alcuni questa esperienza è stata il primo incontro vivo con Dio, per altri un comprendere la necessità di conformare il proprio temperamento con quanti avevano attorno e di lavorare sodo per con­sumarsi in uno.

E' subito emerso un altro vantag­gio della vita a gruppo: non si poteva fare la strada per proprio conto, « ci si pestava sovente i pie­di», come dicevano fra loro, e cosi la scuola del vivere insieme è sta­ta intensa, una formazione all'amo­re scambievole, molto concreto per­ché la vita stessa era molto con­creta: pulizia, spesa, lavare i piatti, far da mangiare...

La Provvidenza poi che arrivava era sempre un richiamo a vivere riconoscenti a Dio che così concre­tamente manifestava il suo amore.

La formazione è quindi venuta anzitutto dalla vita.

Roberto

E' impiegato alla Fiat e studente in preparazione alla teologia.

« Quando ho sentito il desiderio di costruire la mia vita con Dio, diventando sacerdote, ho scelto di maturare la mia vocazione nel grup­po di S. Giovanna d'Arco di cui già conoscevo l'esistenza.

Apprezzavo l'apertura del gruppo alla società, e l'inserimento nella comunità parrocchiale in cui era sorta la mia vocazione lo pensavo rispondente alle mie esigenze.

Gli altri componenti di questa im­provvisata famigliola, mi erano tut­ti estranei, eccezion fatta per Aldo.

In precedenza non ero mai stato abituato ad una vita troppo como­da, ma solo nel gruppo ho capito e ho maturato veramente che cosa sia la donazione che l'essere prete e prima ancora cristiano esigono. Mi sono accorto che qui nessuno poteva essere un estraneo: il grup­po era ogni giorno come noi lo facevamo.

L'esperienza da cui vengo mi ha dato una certa qual ripugnanza per i discorsi, e qui di discorsi se ne fanno pochi: il tempo è sempre troppo poco.

Quello che mi ha maturato, sem­bra forse strano dirlo, è stato so­prattutto il lavare i piatti, il fare la pulizia, il servire quelli di noi che erano ammalati, il cercare di essere sereno per non far pesare sugli altri le mie difficoltà, il supe­rarmi quando un altro agiva o pen­sava in modo diverso da come io avrei voluto.

Purtroppo il tempo per pregare con gli altri, per me che lavoro è poco, ma spesso mi fermo durante la giornata perché non si può vi­vere le situazioni sopra esposte se non si è in Dio.

Ricordo che la sera, prima di rientrare nel gruppo, talvolta face­vo più volte il giro dell'isolato cer­cando di ricostruire i ponti con Dio, perché sentivo che senza di lui era impossibile affrontare tutte le difficoltà che lo stare assieme comporta.

Certamente i momenti duri non mancano. Quando ad esempio qual­cuno di noi si chiude in se stesso, si avverte subito che le cose non vanno e talvolta lo si vede perfino esteriormente, dalla pulizia, dall'or­dine... ma per fortuna non possia­mo far finta di niente e continuare ciascuno per proprio conto perché una tal vita diventerebbe insoppor­tabile a sé e agli altri.

Tra i punti su cui ritengo si deb­ba ancora maturare, penso che par­ticolare rilievo abbia l'approfondimento del dialogo fra di noi e una maggiore apertura a livello di grup­po verso l'esterno, impegnandoci insieme in qualche attività concreta che ci sensibilizzi ai problemi della libertà, della sofferenza, dell'igno­ranza e che al tempo stesso appro­fondisca, nell'impegno comune, la nostra unione.

Già quest'anno abbiamo cercato questa apertura invitando a cena da noi altri seminaristi del Cottolengo e aspiranti « fratelli » di Grugliasco, nonché alcune famiglie del­la parrocchia, e ho potuto consta­tare che lo stare con loro, il ser­virli, il cucinare, il giocare con i bambini serviva ad affratellarci ed a non chiuderci nei nostri proble­mi, per cui penso che questa aper­tura vada sviluppata ancora.

Un altro punto molto importan­te che penso si debba tener sem­pre più presente nel nostro cam­mino è la semplicità, di modo che le linee del gruppo non emergano da un discorso teorico portato avan­ti dai singoli, col risultato di crea­re strutture vuote di significato, ma scaturiscano dalla nostra vita, essen­do più attenti a quello che Dio in essa ci dice tramite i successi e i fallimenti quotidiani; solo così sa­remo certi che è Lui a portarci avanti.

Soprattutto è importante creare tra di noi un clima di famiglia do­ve ognuno si senta capito e amato, di modo che anche le numerose persone che ci avvicinano o che avviciniamo, abbiamo una testimo­nianza di vita cristiana ».

Sandro

« Ho iniziato l'anno con tanto en­tusiasmo.

Dopo alcuni mesi mi sono posto subito molti interrogativi sul da far­si da parte mia affinché ci fosse un vero clima di famiglia tra di noi.

Ho chiesto allora la forza a Dio per amare tutti nel gruppo: com­prendevo infatti che anche se riu­scivo a sorridere non potevo avere una piena comunione con loro fin­ché rimanevo ripiegato sui miei pro­blemi personali.

Durante un ritiro poi ho capito più chiaramente che l'unica soluzio­ne era lasciare da parte tutta quella mia complessità per ritrovare la li­bertà perduta e con essa la pace in­teriore.

Per vedere meglio quello che è stato per me quest'anno dò uno sguardo al mio diario dove ho se­gnato alcuni punti sulle revisioni fatte negli incontri di gruppo del lunedì sera.

integrati nella comunità

Mi accorgo che di scritto non c'è molto e vedo tra vir­golette frasi come questa: « Accettare gli altri come so­no — vivere scegliendo solo Dio — avere sempre tra noi carità — conoscerci a fondo e vederci sempre nuovi — meditazione e preghiera all'inizio della giornata — accet­tare le idee degli altri — prontezza nel rinunciare a tutto per il Regno di Dio » e cosi via.

In verità questi punti fissi hanno contribuito a formare un gruppo abbastanza unito nel lavoro, nell'ascolto e nel rispetto vicendevole e ci hanno costretti a una ginnastica non indifferente.

L'esperienza più forte per me è quella di stare venti­quattro ore su ventiquattro insieme a condividere gioie e dolori. A questo modo non mi può sfuggire quella che è la vita dell'altro e mi posso anche conoscere più a fondo. Quest'aspetto mi costa fatica ed è un osso duro, però è una garanzia che quello che nasce non è frutto di solo en­tusiasmo.

Ho visto più chiaramente i miei difetti e le qualità, a volte vistosi e a volte nascosti. Mi son accorto di avere un carattere tanto diverso dagli altri con aspetti diversi ma anche complementari; a volte quello che è secondario per me per altri è fondamentale.

Un aspetto bello e costruttivo per me sono i sacerdoti della parrocchia i quali mi hanno prospettato la vita del sacerdote con la loro stessa vita, vissuta con un'intensità che li porta a dare continuamente se stessi con generosità e mi presentano cosi un Dio vivo.

Come gruppo abbiamo anche sentito vicina la presenza del Vescovo che è venuto qualche volta a trovarci.

Parlando con lui gli ho detto qualcosa della mia vita e ho conosciuto da lui alcuni problemi della Diocesi: questo mi ha fatto sperimentare con maggiore forza di essere chiamato anch'io a « costruire » con tutti la chiesa.

Il mercoledì sera, il giorno in cui si ritrova la comunità parrocchiale, ha avuto per me una grande importanza: ci incontriamo in tanti e perché cresca il senso di comunione ci diciamo come abbiamo vissuto la settimana. Questo contatto con giovani, sposi, ragazze, mi è giovato molto e mi ha reso sempre più cosciente della bellezza e della ricchezza di una chiesa viva nella varietà delle vocazioni.

Altro aspetto positivo del mio inserimento nella par­rocchia è stato l'interessarmi del gruppo dei chierichetti e della squadra di calcio: sono stato aiutato ad uscire da me stesso dando tempo, energie, iniziative per gli altri. Vedo che mi sentono uno di loro e nello stesso tempo entusiasta di un ideale che cerco di vivere ogni giorno.

Il frutto di questa esperienza è una convinzione spe­rimentata che la comunione con Gesù è profondamente le­gata alla comunione con gli altri, perché è l'altro il banco di prova del mio amore.

Come risulta dalle esperienze questo secondo anno ha rivelato diversi aspetti positivi. E' cresciuta, al dire stesso di diverse persone della comunità, l'unione del gruppo, l'armonia, la semplicità nei rapporti con la comunità, l'im­pegno di ognuno verso un ideale concreto di vita.

Costatiamo con piacere che la vita stessa continua ad essere il principale coefficiente di formazione: la vita con­creta in gruppo, la vita del gruppo in una comunità, il rapporto del gruppo con sacerdoti impegnati ad animare una comunità di credenti.

Emergono logicamente aspetti da approfondire e da chiarire e questi aspetti diventano per noi un programma per il prossimo anno.

Nella vita interna del gruppo vorremo essere più uniti, conoscerci pienamente, saperci dire tutto quanto abbiamo dentro di noi, senza aspettare il momento fissato per l'in­contro.

Un punto su cui abbiamo riflettuto, è stato quello della preghiera: per vari motivi quest'anno l'abbiamo vissuta soprattutto personalmente, o con tutta la comunità parrocchiale, di meno come gruppo.

Avendo però sperimentato quanto è bello pregare in­sieme abbiamo il desiderio comune di passare nel prossi­mo anno maggior tempo insieme per pregare.

Qualcuno vorrebbe venire con noi per l'anno prossimo sia dal seminario sia dalla nostra comunità.

Siamo contenti di accoglierli per un'esperienza di vita che consideriamo positiva.

Nel rapporto con gli altri desideriamo anzitutto vivere inseriti in modo più vitale nella comunità: non nel senso di sostituire loro negli impegni che possono assumersi, ma vorremo considerarci di questa comunità come vi fos­simo nati.