VITA GEN'S
In pieno accordo con i superiori e con la supervisione del vescovo ausiliare di Torino, Mons. Maritano, da due anni un gruppo di giovani orientati al sacerdozio stanno facendo un'esperienza di formazione simile ad altre oggi abbastanza diffuse. Prima di riportare la testimonianza di due di essi, notiamo soltanto che questa esperienza si svolge nell'ambito di una casa parrocchiale di Torino città, a contatto di una comunità che si va formando nella linea pastorale del Movimento Parrocchiale.
Per alcuni questa esperienza è stata il primo incontro vivo con Dio, per altri un comprendere la necessità di conformare il proprio temperamento con quanti avevano attorno e di lavorare sodo per consumarsi in uno.
E' subito emerso un altro vantaggio della vita a gruppo: non si poteva fare la strada per proprio conto, « ci si pestava sovente i piedi», come dicevano fra loro, e cosi la scuola del vivere insieme è stata intensa, una formazione all'amore scambievole, molto concreto perché la vita stessa era molto concreta: pulizia, spesa, lavare i piatti, far da mangiare...
La Provvidenza poi che arrivava era sempre un richiamo a vivere riconoscenti a Dio che così concretamente manifestava il suo amore.
La formazione è quindi venuta anzitutto dalla vita.
E' impiegato alla Fiat e studente in preparazione alla teologia.
« Quando ho sentito il desiderio di costruire la mia vita con Dio, diventando sacerdote, ho scelto di maturare la mia vocazione nel gruppo di S. Giovanna d'Arco di cui già conoscevo l'esistenza.
Apprezzavo l'apertura del gruppo alla società, e l'inserimento nella comunità parrocchiale in cui era sorta la mia vocazione lo pensavo rispondente alle mie esigenze.
Gli altri componenti di questa improvvisata famigliola, mi erano tutti estranei, eccezion fatta per Aldo.
In precedenza non ero mai stato abituato ad una vita troppo comoda, ma solo nel gruppo ho capito e ho maturato veramente che cosa sia la donazione che l'essere prete e prima ancora cristiano esigono. Mi sono accorto che qui nessuno poteva essere un estraneo: il gruppo era ogni giorno come noi lo facevamo.
L'esperienza da cui vengo mi ha dato una certa qual ripugnanza per i discorsi, e qui di discorsi se ne fanno pochi: il tempo è sempre troppo poco.
Quello che mi ha maturato, sembra forse strano dirlo, è stato soprattutto il lavare i piatti, il fare la pulizia, il servire quelli di noi che erano ammalati, il cercare di essere sereno per non far pesare sugli altri le mie difficoltà, il superarmi quando un altro agiva o pensava in modo diverso da come io avrei voluto.
Purtroppo il tempo per pregare con gli altri, per me che lavoro è poco, ma spesso mi fermo durante la giornata perché non si può vivere le situazioni sopra esposte se non si è in Dio.
Ricordo che la sera, prima di rientrare nel gruppo, talvolta facevo più volte il giro dell'isolato cercando di ricostruire i ponti con Dio, perché sentivo che senza di lui era impossibile affrontare tutte le difficoltà che lo stare assieme comporta.
Certamente i momenti duri non mancano. Quando ad esempio qualcuno di noi si chiude in se stesso, si avverte subito che le cose non vanno e talvolta lo si vede perfino esteriormente, dalla pulizia, dall'ordine... ma per fortuna non possiamo far finta di niente e continuare ciascuno per proprio conto perché una tal vita diventerebbe insopportabile a sé e agli altri.
Tra i punti su cui ritengo si debba ancora maturare, penso che particolare rilievo abbia l'approfondimento del dialogo fra di noi e una maggiore apertura a livello di gruppo verso l'esterno, impegnandoci insieme in qualche attività concreta che ci sensibilizzi ai problemi della libertà, della sofferenza, dell'ignoranza e che al tempo stesso approfondisca, nell'impegno comune, la nostra unione.
Già quest'anno abbiamo cercato questa apertura invitando a cena da noi altri seminaristi del Cottolengo e aspiranti « fratelli » di Grugliasco, nonché alcune famiglie della parrocchia, e ho potuto constatare che lo stare con loro, il servirli, il cucinare, il giocare con i bambini serviva ad affratellarci ed a non chiuderci nei nostri problemi, per cui penso che questa apertura vada sviluppata ancora.
Un altro punto molto importante che penso si debba tener sempre più presente nel nostro cammino è la semplicità, di modo che le linee del gruppo non emergano da un discorso teorico portato avanti dai singoli, col risultato di creare strutture vuote di significato, ma scaturiscano dalla nostra vita, essendo più attenti a quello che Dio in essa ci dice tramite i successi e i fallimenti quotidiani; solo così saremo certi che è Lui a portarci avanti.
Soprattutto è importante creare tra di noi un clima di famiglia dove ognuno si senta capito e amato, di modo che anche le numerose persone che ci avvicinano o che avviciniamo, abbiamo una testimonianza di vita cristiana ».
« Ho iniziato l'anno con tanto entusiasmo.
Dopo alcuni mesi mi sono posto subito molti interrogativi sul da farsi da parte mia affinché ci fosse un vero clima di famiglia tra di noi.
Ho chiesto allora la forza a Dio per amare tutti nel gruppo: comprendevo infatti che anche se riuscivo a sorridere non potevo avere una piena comunione con loro finché rimanevo ripiegato sui miei problemi personali.
Durante un ritiro poi ho capito più chiaramente che l'unica soluzione era lasciare da parte tutta quella mia complessità per ritrovare la libertà perduta e con essa la pace interiore.
Per vedere meglio quello che è stato per me quest'anno dò uno sguardo al mio diario dove ho segnato alcuni punti sulle revisioni fatte negli incontri di gruppo del lunedì sera.
Mi accorgo che di scritto non c'è molto e vedo tra virgolette frasi come questa: « Accettare gli altri come sono — vivere scegliendo solo Dio — avere sempre tra noi carità — conoscerci a fondo e vederci sempre nuovi — meditazione e preghiera all'inizio della giornata — accettare le idee degli altri — prontezza nel rinunciare a tutto per il Regno di Dio » e cosi via.
In verità questi punti fissi hanno contribuito a formare un gruppo abbastanza unito nel lavoro, nell'ascolto e nel rispetto vicendevole e ci hanno costretti a una ginnastica non indifferente.
L'esperienza più forte per me è quella di stare ventiquattro ore su ventiquattro insieme a condividere gioie e dolori. A questo modo non mi può sfuggire quella che è la vita dell'altro e mi posso anche conoscere più a fondo. Quest'aspetto mi costa fatica ed è un osso duro, però è una garanzia che quello che nasce non è frutto di solo entusiasmo.
Ho visto più chiaramente i miei difetti e le qualità, a volte vistosi e a volte nascosti. Mi son accorto di avere un carattere tanto diverso dagli altri con aspetti diversi ma anche complementari; a volte quello che è secondario per me per altri è fondamentale.
Un aspetto bello e costruttivo per me sono i sacerdoti della parrocchia i quali mi hanno prospettato la vita del sacerdote con la loro stessa vita, vissuta con un'intensità che li porta a dare continuamente se stessi con generosità e mi presentano cosi un Dio vivo.
Come gruppo abbiamo anche sentito vicina la presenza del Vescovo che è venuto qualche volta a trovarci.
Parlando con lui gli ho detto qualcosa della mia vita e ho conosciuto da lui alcuni problemi della Diocesi: questo mi ha fatto sperimentare con maggiore forza di essere chiamato anch'io a « costruire » con tutti la chiesa.
Il mercoledì sera, il giorno in cui si ritrova la comunità parrocchiale, ha avuto per me una grande importanza: ci incontriamo in tanti e perché cresca il senso di comunione ci diciamo come abbiamo vissuto la settimana. Questo contatto con giovani, sposi, ragazze, mi è giovato molto e mi ha reso sempre più cosciente della bellezza e della ricchezza di una chiesa viva nella varietà delle vocazioni.
Altro aspetto positivo del mio inserimento nella parrocchia è stato l'interessarmi del gruppo dei chierichetti e della squadra di calcio: sono stato aiutato ad uscire da me stesso dando tempo, energie, iniziative per gli altri. Vedo che mi sentono uno di loro e nello stesso tempo entusiasta di un ideale che cerco di vivere ogni giorno.
Il frutto di questa esperienza è una convinzione sperimentata che la comunione con Gesù è profondamente legata alla comunione con gli altri, perché è l'altro il banco di prova del mio amore.
Come risulta dalle esperienze questo secondo anno ha rivelato diversi aspetti positivi. E' cresciuta, al dire stesso di diverse persone della comunità, l'unione del gruppo, l'armonia, la semplicità nei rapporti con la comunità, l'impegno di ognuno verso un ideale concreto di vita.
Costatiamo con piacere che la vita stessa continua ad essere il principale coefficiente di formazione: la vita concreta in gruppo, la vita del gruppo in una comunità, il rapporto del gruppo con sacerdoti impegnati ad animare una comunità di credenti.
Emergono logicamente aspetti da approfondire e da chiarire e questi aspetti diventano per noi un programma per il prossimo anno.
Nella vita interna del gruppo vorremo essere più uniti, conoscerci pienamente, saperci dire tutto quanto abbiamo dentro di noi, senza aspettare il momento fissato per l'incontro.
Un punto su cui abbiamo riflettuto, è stato quello della preghiera: per vari motivi quest'anno l'abbiamo vissuta soprattutto personalmente, o con tutta la comunità parrocchiale, di meno come gruppo.
Avendo però sperimentato quanto è bello pregare insieme abbiamo il desiderio comune di passare nel prossimo anno maggior tempo insieme per pregare.
Qualcuno vorrebbe venire con noi per l'anno prossimo sia dal seminario sia dalla nostra comunità.
Siamo contenti di accoglierli per un'esperienza di vita che consideriamo positiva.
Nel rapporto con gli altri desideriamo anzitutto vivere inseriti in modo più vitale nella comunità: non nel senso di sostituire loro negli impegni che possono assumersi, ma vorremo considerarci di questa comunità come vi fossimo nati.