Parola di vita

lo soffro fino a essere incatenato conte mal­fattore,
ma la parola di Dio non è incatenata (2 Tim. 2,9)

 

Se no! vogliamo capire e penetrare la vita cristiana, non con la' mente, ma con tutto il nostro essere, è necessario — come condizio­ne — avere una fede viva, una fede che si radica nel mistero Pasquale, dal quale attingiamo la forza necessaria per viverla quotidianamente.

Questa fede ci è trasmessa mediante la predicazione del Vangelo, il cui contenuto e punto centrale è Cristo, morto e risuscitato.

Paolo è inviato a predicare il Vangelo; il Vangelo di Cristo Cro­cifìsso (1 Cor. 1, 23).

E' per questo messaggio che Lui stesso sperimenta l'abisso della sofferenza e della morte per raggiungere la vita e la gloria. Infatti a causa della sua predicazione è incarcerato e legato come un malfat­tore.

« Kakourgos » è il termine usato per indicare: ladrone, assassino, malfattore, sacrilego. Di tali accuse si servivano le autorità di quel tempo per fermare l'espansione del Messaggio cristiano, pensando che, incarcerati gli annunciatori, « le nuove dottrine » si spegnessero (At. 5, 38). Ma anche se Paolo è incarcerato — e più tardi soffrirà il mar­tirio come il suo Maestro Cristo —, la parola di Dio da lui annunciata non può essere • incatenata >, anzi trova proprio nella sofferenza del­l'apostolo, vissuta con pazienza e carità, il mezzo per essere portata a tutti gli uomini.

Cristo per fondare il suo regno soffrì. Tutti i grandi « carismatici » uomini e donne, non hanno potuto essere operatori di rinnovamento evangelico in seno all'umanità senza passare attraverso un'atroce morte spirituale più dolorosa della morte fisica. Ma tutti i cristiani sono chia­mati, mediante il battesimo, a estendere storicamente la redenzione di Cristo. E vivere il battesimo significa appunto accettare di morire in Cristo.

Se noi pertanto vogliamo essere cristiani autentici e non mediocri, non c'è scampo. Non sono le nostre parole, le pie pratiche che ci fanno cristiani, bensì la nostra vita profondamente ancorata in Cristo e vissuta in Lui ventiquattro ore su ventiquattro. Oggi il mondo ha bi­sogno di cristiani che si diano in « riscatto > per gli altri, affinché, me­diante la testimonianza di un cristianesimo vissuto, la parola del Van­gelo possa espandersi.

Il « testimonio » oggi è consegnato a noi; e noi siamo chiamati con le nostre sofferenze, piccole o grandi, a essere portatori di quel Vangelo che la Chiesa (e quindi noi) continua ad annunciare fino al ritorno di Cristo.

Con la nostra vita, e cioè con la nostra morte, « annunciamo la tua morte o Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell'attesa della tua venuta ».

Ignazio di Antiochia scriveva agli Efesini: « E' meglio essere cri­stiano senza dirlo, che dirlo senza esserlo» (15, 1).

RUDOLF BORNSCHEIN