VITA GEN’S

ARGENTINA

Un solo corpo

Capita spesso dalle nostre parti che nei seminali ci sia un solo se­minarista a cercare di vivere la nostra vita di unità. Questa circo­stanza concreta è stata occasione ul­timamente di incominciare a trova­re dei rapporti più profondi con i gen, vivendo assieme i diversi aspetti della nostra vita: lavoro, studio, riposo, la visita ad altri giovani di altre città, la comunione dei beni... La nostra presenza nelle sedi gen si è fatta più frequente e cosi anche le visite dei gen nei se­minali dove viviamo.

Questa comunione ci ha fatto concretizzare e capire meglio certe esigenze che sentivamo da tempo. Prima tra tutte quella di vivere con­cretamente il fatto che tutti for­miamo parte di un'unica famiglia. Abbiamo approfondito la realtà del­la Chiesa come Popolo di Dio nel­l'esperimentare cosa significa vivere a « corpo ».

Poi, il testimoniare la nostra vita assieme ai gen ci ha fatto provare nel vivo che il vangelo va mostrato al mondo attraverso la vita di tut­ta la comunità. Prima d'essere sa­cerdoti dobbiamo essere Popolo di Dio il quale, « al completo », è se­gno per il mondo della presenza di Dio.

Allo stesso tempo abbiamo me­glio capito il senso del nostro mi­nistero: un servizio a questa co­munità, un dare la vita realmente per gli altri.

Ci è sembrato anche che solo da una esperienza di questo tipo verrà fuori quell'uomo nuovo che si cer­ca nel nostro continente latino-ame­ricano: l'uomo che fà questa espe­rienza di comunione, di umanità nuova, unita.

Vedendo questa vita coi gen qual­cuno ci diceva che gli sembrava un'esperienza nuova, di chiesa gio­vane, rivoluzionaria nel senso evan­gelico: « da questo vi riconosceran­no... ».

Giocando a scacchi

Un pomeriggio ho invitato un amico a giocare una partita a scac­chi. Nel gioco è iniziata tra noi una conversazione e lui mi chiede­va di raccontargli cos'era gens, che facevo io, cosa ritenevo fondamen­tale, se facevo propaganda...

Nelle mie risposte cercavo di do­nargli l'essenziale, ma a un certo punto lui mi ha interrotto e mi ha chiesto di scendere più al concreto.

Gli ho parlato allora della nostra esperienza sulla comunione dei be­ni. Questo l'ha stupito e gli ha fatto dire: « E' un grande passo mettere tutto in comune ».

Poi continuando la nostra partita e il nostro dialogo gli ho detto dei raduni che facciamo e ho dovuto spiegargli perché non l'avevamo in­vitato all'ultimo incontro: «Vedi, vorremmo manifestare e comunica­re a tutti questo ideale, soprattutto colla vita, non con le parole ». Al che lui subito mi ha risposto: « Adesso capisco molti dei tuoi at­teggiamenti ».

Abbiamo continuato la partita, e, separandoci mi ha chiesto di invi­tarlo alla prossima riunione.

Miguel Angel

PORTOGALLO

Unità e eucarestia

Sei gens, alcuni dei quali lavora­vano, hanno vissuto a Vendas No­vas, per quattro settimane, un'espe­rienza particolarmente profonda di unità. Leggiamo nel loro aggiorna­mento: « Mai nella mia vita ho ca­pito l'Eucaristia come lì, perché esperimentavo che eravamo molti, uniti nel suo nome, e che lui era presente. Non dimenticherò più le celebrazioni che facevamo dopo un giorno di lavoro e di sforzo per amarci come Gesù ci ha amato».

Dopo la visita di due volontari e un gen: « Oggi quando ripenso al dono dell'incontro con le altre vocazioni dell'Opera sento di tro­vare lo stesso Dio nelle molte vie degli uomini. Non so proprio cosa sia più bello: la gioia dell'unità dell'Opera nelle sue molte vocazio­ni, o il vero valore di queste voca­zioni in Dio, per il mondo ».

E al termine di questa esperienza uno di loro affermava: « Avevo già sentito parlare delle " équipes " sa­cerdotali, ma non me n'ero mai interessato fino in fondo, forse per­ché consideravo insicura la mia vo­cazione. Dopo questa esperienza so­no sinceramente convinto che que­sta può essere un'ottima strada per risolvere molti dubbi ed incertezze che tormentano tanti preti e semi­naristi... ».


ITALIA

Sempre convertirsi

« Abbiamo iniziato il nuovo anno con entusiasmo, avendo nell'anima la vita dei primi cristiani, che sen­tivano tanto forte la presenza di Gesù tra loro: questo bastava a tra­sformare la loro vita.

Già nei primi giorni sono arri­vate le difficoltà, perché, nella no­stra convivenza di seminario, sia­mo abituati a vedere dell'altro sol­tanto quello che ci è simpatico o no.

Ecco cosa trovo scritto all'inizio del diario di quest'anno: «mi ac­corgo di far fatica certe volte a fare unità con G. Ma sarebbe trop­po comodo avere gratis un tesoro così grande come l'unità, senza pa­garlo con il dolore ».

In questo ci vuole una conversio­ne. E' Gesù che la chiede. Lui che vuol essere cercato e amato in tutti gli aspetti dell'altro, negativi o po­sitivi. In questo amore, abbiamo trovato un rapporto nuovo con tut­ti i compagni, attraverso piccoli atti di ogni giorno: dare a un amico il pacchetto di sigarette che ti aveva­no regalato, rifare un letto, essere staccati da quello che si ha perché potrebbe essere utile a qualcuno.

Anche nel nostro lavoro, la scuo­la, questa vita rivoluziona tutto. « Oggi dopo un decina di giorni dal­l'inizio della scuola, un professore mi ha chiamato. Insegna filosofia, e mi ha detto di aver notato in me più interesse e partecipazione alle sue lezioni, anche per le questioni che pongo. Non credo proprio che si siano svegliate di colpo le mie facoltà, ma è perché è nato un rapporto di amore ».

Ad un certo punto, abbiamo anche visto che per rendere totale questa unità, sull'esempio dei primi cri­stiani, dovevamo mettere tutto in comune: esperienze, soldi, le nostre piccole cose. E' la nostra povertà.

Eppure sperimentiamo continua­mente i nostri limiti, alle volte ci stanchiamo, ma l'amore di Dio va sempre al di là. Cosi, quando ci incontriamo, spesso ci ripetiamo: « siamo miseri, ma abbiamo con noi una forza infallibile: l'unità ».

Mimmo di Piacenza

La chiave

« L'incontro era stato preparato da tre giorni di vita comunitaria. Ne era nato un programma che, perso continuamente nell'attimo pre­sente, ha centrato il raduno come incontro con Gesù Abbandonato, la conferma più forte della maturità del convegno.

L'esperienza comune era di sen­tirci una famiglia in cui tutto na­sceva e circolava con grande sem­plicità. La comunione dei beni che si è realizzata tra tutti è stata l'e­spressione esterna di questa unità d'anima raggiunta.

L'incontro poteva essere — e lo era nella prospettiva di qualcuno — una bella occasione per discu­tere sui seminali, per trovare ri­sposte e risolvere situazioni... Si è cercato di perdere tutto questo e, alla fine, ci siamo ritrovati tra le mani quella che sentiamo la nostra vera linea: vivere Gesù Abbando­nato, scegliendolo come unico tutto.

Esprimendo un po' l'anima di tut­ti, alla fine dell'incontro, uno dice­va: « sento che ora tutto è possi­bile, anche se non è facile; ho tro­vato la chiave per risolvere ogni cosa».

I Gens del Trivento