Il problema del giorno:
l'identità del sacerdote
Anton Weber
Il sacerdozio ministeriale è diventato un tema tanto discusso e di grande attualità in questo tempo.
Il prete che, nella Chiesa, sembrava il simbolo della stabilità e della immutabilità è entrato in crisi. Anche la sua figura, come tanti altri aspetti della Chiesa, subisce una profonda trasformazione; la vecchia « image » scompare pian piano. Questo fatto crea in tanti insicurezza, una angoscia indefinibile, per altri invece è segno di speranza, segno di una nuova coscienza, che corrisponde di più alle esigenze dell'umanità di oggi e che contribuirà a fare in modo che la presenza della Chiesa nel mondo sia veramente credibile.
E' quasi impossibile oggi seguire tutta la letteratura che tratta il tema del sacerdozio dal punto di vista teologico, esegetico, storico, sociologico, psicologico. Penso che questa preoccupazione di ritrovare nella persona di Gesù gli elementi fondamentali che costituiscono il sacerdozio ministeriale, e di mettere in luce il suo ruolo nella comunità cristiana, possa portare ad una comprensione più profonda della presenza e dell'azione di Cristo nella sua Chiesa. La crisi di identità dei preti è forse conseguenza per tanti della crisi di identità della Chiesa stessa. Infatti il significato autentico del sacerdozio ministeriale si capisce soltanto nella comunità cristiana, nella Chiesa che è realmente « comunione », « popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». (L. G. I, 4). In questa prospettiva vorrei limitarmi a cogliere il senso e il significato del sacerdozio ministeriale nella comunità cristiana, senza con questo negare o escludere tanti altri aspetti importanti messi in luce dalla attuale riflessione teologica. In altre parole: vogliamo comprendere più profondamente qual è il principio di identità e di unità del sacerdozio ministeriale. Questo principio non possiamo trovarlo nella « figura » del prete: ogni epoca infatti crea le proprie figure e la tentazione ricorrente è quella di « sacralizzarle ». Senza dubbio il contesto culturale, politico e sociale influisce sulla figura e sulla funzione del sacerdote. Per questo esse cambiano secondo la fisionomia cultica, monarchica, assolutistica, democratica della società. Dunque, partendo da una analisi sociologica e storica non si arriva a identificare chi è il prete, e qual'è il significato del sacerdozio ministeriale nella comunità cristiana.
Per quanto nel N.T. non sia affrontata esplicitamente la questione del sacerdozio di Gesù (la parola « hiereus » - sacerdote si trova soltanto nella lettera agli Ebrei e nell'Apocalisse) tuttavia la realtà del sacerdozio di Cristo, come sacerdozio unico, che supera e porta a compimento il sacerdozio dell'A.T., è indiscussa in tutto il N.T. Solo Gesù ha offerto il sacrificio perfetto al Padre, amando fino all'amore estremo, l'abbandono sulla croce, quando ha gridato: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Lui riassume in sé tutta l'esperienza dei profeti: è il servo di Jahvè, il Buon Pastore che dà la sua vita, manifestando il più grande amore: «Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la sua vita per i suoi amici... ».
Perciò il suo sacrificio, il fatto di prendere su di sé tutti i peccati, i fallimenti, le angoscie degli uomini di ogni tempo è l'espressione del suo amore infinito, universale e concretissimo — è la rivelazione che Dio è realmente carità.
E' nel culmine della sua passione, nell'abbandono da parte del Padre e dell'umanità, che avviene la riconciliazione dell'umanità col Padre e degli uomini tra loro. Gesù dunque è il sacerdote e la vittima che realizza l'unità e la comunione perfetta. In lui conseguiamo anche la libertà definitiva, nel senso di Paolo e di Giovanni: libertà dalle forze politiche, economiche, cosmiche, dal peccato, dalla morte, da ogni forma di alienazione da Dio.
Questo spodestamento di tutte le forze mondane era possibile solo se esse fossero state superate non dal di fuori o dall'alto ma dall'interno: per questo Dio si è fatto uomo, è entrato nella « carne », nelle strutture del mondo e della storia. Sulla croce, nell'abbandono, è diventato il Signore del cielo e della terra, capo della Chiesa, ricapitolando in sé stesso tutto (Ef., Col.): l'umanità, l'universo, il cielo con la Trinità e la terra con l'umanità.
Tutto il popolo di Dio è un popolo sacerdotale: « Infatti, per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici, e per far conoscere i prodigi di Colui, che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce... perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio, offrono sé stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio» (L.G. II, 10).
In quanto membri del suo corpo hanno parte al sacerdozio di Gesù Cristo, « che è apparso per abrogare il peccato mediante il sacrificio di sé stesso» (Ebrei 9, 26). Per questo tutti i cristiani sono chiamati a scegliere Gesù Abbandonato come loro ideale e ad offrirsi «come vittima viva, santa, gradevole a Dio », uniti all'unico Sacerdote nel suo perfetto sacrificio. In Gesù Abbandonato hanno, in ogni situazione, accesso a Dio; in lui realizzano pienamente l'unità con Dio e tutti i fratelli, e vivendo il mistero della Chiesa come « comunione » attuano il loro sacerdozio regale. Questo è il vero culto « in spirito e verità».
Considerando il sacerdozio ministeriale nella comunità cristiana, dobbiamo sottolineare il particolare legame che esiste fra l'unico sacerdozio di Gesù Cristo e questo ministero. Secondo il magistero della Chiesa (Conc. Trid.; Vat. II) esso è essenzialmente diverso dal sacerdozio regale di tutti i cristiani. Siccome la Chiesa è popolo di Dio che cammina attraverso la storia, Gesù ha voluto rendersi presente ed operante in essa, quale capo invisibile e Signore, attraverso il ministero sacerdotale. Questo perciò rende presente ed operante Cristo-capo nella comunità. Il ministero sacerdotale è un servizio nella comunità per realizzare la comunione, per essere strumento di unità nella carità, come dice il Vat. II (P. O. 2).
Vorrei far risaltare soltanto alcune dimensioni di questo ministero.
Il sacerdozio ministeriale è un servizio nella comunità; esso tuttavia, pur restando il ministro un fratello tra i fratelli, è un servizio particolare.
Il presbitero è cooperatore del vescovo nella sua missione apostolica, universale; partecipa perciò alla consacrazione e missione di Gesù stesso, che egli rende presente nella sua persona: ogni forma di campanilismo o colonialismo dovrebbe quindi crollare.
Vescovi e presbiteri sono intimamente vincolati in una « fraternità sacerdotale » in quanto partecipano tutti e due dell'autorità di Gesù Cristo stesso, che fa crescere, santifica e governa il suo Corpo.
In virtù dell'unzione dello Spirito Santo sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da agire in nome di Cristo, capo della Chiesa. Dice il Vat. II (P. O. 2) che sono configurati a Cristo sacerdote — a Gesù Abbandonato: il povero, il casto e l'obbediente per eccellenza. Dal fatto di partecipare sacramentalmente al sacerdozio di Cristo proviene l'imperativo di vivere esistenzialmente il mistero di Gesù Abbandonato.
Nel rendere presente nella Chiesa la funzione di Cristo-capo sta la grande tentazione del ministero gerarchico; la tentazione cioè di pervertire questo « potere di servizio » in un mezzo per dominare la comunità e la coscienza dei singoli fedeli. Da questo « potere spirituale » ha origine ogni forma di clericalismo che porta all'alienazione e alla separazione dalla comunità cristiana. Non possiamo mai abbastanza meditare l'inno a Cristo nella Chiesa primitiva: « Non fate niente per spirito di parte e per vana gloria ma con tutta umiltà ciascuna consideri gli altri come superiori a sé stesso, e ciascuno non guardi solo ai propri interessi ma piuttosto a quelli degli altri... Abbiate in voi gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gestì. Egli, pur possedendo la natura divina, non pensò di valersi della sua eguaglianza con Dio, ma preferì annientare sé stesso, prendendo la natura di schiavo, e diventato simile agli uomini e dopo che ebbe rivestito la natura umana, umiliò sé stesso ancor di più, facendosi obbediente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce». (FU. 2, 3-4; 6-8).
Come conclusione possiamo allora rispondere alla domanda: quale è il principio di identità e di unità del sacerdozio ministeriale?
E' il mistero pasquale o più precisamente il mistero di Gesù Abbandonato. La vocazione sacerdotale esige di rendere visibile e concreto questo mistero: infatti soltanto « incarnandolo » nella propria vita si costruisce la Chiesa-comunione. Chi vive in questa profondità e in questa totalitarietà il suo sacerdozio ministeriale scoprirà sempre di più la profondità del sacerdozio di Cristo al quale sta partecipando, e sperimenterà che può realizzare sé stesso soltanto nella misura in cui il suo servizio diventa amore assoluto, testimonianza di Dio che è Carità.