Del teologo Klaus Hemmerle una conversazione tenuta alla scuola sacerdotale di Grottaferrata

il ‘luogo’ della teologia

Poter parlare qui è per me un avvenimento unico. Poiché mai ho avuto l'occasione di avere davanti a me un uditorio denso di unità co­me questo. Per questo non intendo svolgere una lezione, ma piuttosto cominciare con una esperienza per­sonale.

Una delle più intime esperienze fatte durante l'incontro dei sacerdoti del Movimento è la seguente: ho scoperto che fino ad oggi l'Ideale (uso questa parola per esprimere la sintesi teologica della spiritualità fo­colarina) lo vedevo in questo modo: l'amavo come teologo. Questo amore teologico conteneva però un gran­de errore: quando guardavo l'Ideale come teologo, allora avevo in mente ciò che dicono i teologi più eruditi e migliori, ed ero fiero che esso vi corrispondesse anche teologicamente. E cosi cercavo di vederlo nella luce teologica più moderna ed elegante.

atteggiamento mariano del teologo

Ho però costatato una cosa che vo­glio esprimere in una immagine. Ve­devo che Maria faceva da sfondo, che era quel silenzio nel quale ve­niva pronunciata la parola di Dio. Come teologo, tuttavia, me ne stavo davanti a questo sfondo con un ba­stone in mano per spiegarlo altri al­tri. Io stesso però, non facevo da sfondo, ma ero come uno che con­templa questo sfondo, dicendo agli altri che dobbiamo formare questo sfondo. Ora mi pare di aver capito che Maria stessa è questo sfondo, lei che è la « sedes sapientiae », e di conseguenza che il vero teologo non è colui che soltanto riflette, ma piut­tosto colui che col suo pensiero fa da sfondo, e nel quale la parola di Dio può essere pronunciata. La luce della conoscenza, quindi, che ci deve essere nella teologia, non deve for­mare come un rivestimento della vi­ta, bensi sprigionarsi da essa. E ciò avviene in questo modo: Dio stesso che è l'Amore emana da se stesso la luce, e questa luce è la Parola di Dio. Noi siamo come Maria, cioè amati, e siamo tali se noi stessi amia­mo. Amare, questo è il nostro com­pito, e da questo amore deve na­scere la parola. Eckart disse una volta che l'anima deve, come una madre, fare ciò che fa Dio Padre: partorire la parola.

nell'unità viene concepito il verbo

Questa posizione nella teologia è da una parte la più conservatrice, poiché non può essere detta altra parola che quella del Padre stesso; dall'altra forma la teologia più mo­derna, poiché questa parola deve na­scere sempre nuovamente. Vi posso dire che per me questa non era cosa teoretica, ma bensì una realtà molto viva. Fu necessario dimenticare ogni teologia in nome della teologia, per gettarmi, per cosi dire, nell'agire di Dio, che ci dona il suo Figlio.

La teologia vista in questa luce è quindi un atto di conversione, in quanto mi converto dal mio modo di pensate per pensare alla maniera di Dio. Penso che questo atteggia­mento in teologia, deve essere quel­lo di ogni teologo, anche se non è ancora teologia. Il grembo di Maria, dal quale Cristo come luce vuole nascere, è sempre l'unità.

l'origine delle formule teologiche

Da questo venni arricchito di una nuova conoscenza che acquistai in questi ultimi tempi da un teologo tedesco, Heirich Schlier.

Studiando il Nuovo Testamento dal punto di vista degli inizi della dogma­tica su Cristo, egli trovò soprattutto in Paolo, ma anche nelle altre let­tere, le proto-formule anteriori a Pao­lo. Le si può riconoscere bene, dif­ferenziandosi esse dallo stile della lettera, e anzi furono per Paolo il pre­testo per poter scrivere ad un'altra comunità che Paolo non conosce an

Queste formule, e qui non vorrei esaminarle ulteriormente, sono ac­clamazioni, brevi professioni di fede, oppure una omologia. Se ci si chiede come sono sorte queste formule, si può rispondere soltanto: la comunità era radunata nel nome di Gesù, e sperimentando la presenza del Signo­re glorioso, lo acclamava. E da que­ste acclamazioni, scaturite dall'unità della comunità, hanno pure avuto origine gli articoli del credo, che so­no l'origine della teologia.

Il congresso di studiosi di teologia dogmatica svoltosi nel gennaio del '68, si è posto la domanda: « Come possiamo noi, oggi, giungere a quel­la unità nella quale possiamo accla­mare Gesù? ». In realtà dobbiamo trovare la stessa acclamazione di al­lora, ma è necessario trovarla nuo­vamente in altro modo. Dovranno essere le stesse acclamazioni a Cristo, ma acclamazioni corrispondenti alla nostra situazione.

Questo è il compito della teologia oggi. Venne riconosciuto da tutti che non sono soltanto importanti bei di­scorsi teoretici intorno alle formule di fede, ma più importante è pre­parare il terreno per una testimonian­za presente. In caso contrario il cri­stianesimo e la dogmatica diventano un museo. In fondo si vede come questo compito della teologia esige semplicemente l'unità; con essa si può giungere a questa conoscenza che fondamentalmente è la stessa di Ma­ria come sede della sapienza. Maria è il silenzio che ci dona la parola. La nostra unità deve essere nuovamen­te quello sfondo che dona la parola. Dopo questa considerazione possia­mo ora parlare di alcuni punti della esegesi moderna.

Cristo presente nella comunità pasquale

Spesso noi abbiamo paura e sia­mo delusi se scopriamo che queste o quelle parole o azioni di Gesù non possono essere dimostrate storica­mente. E allora pensiamo che vada perduto per noi qualche cosa. In fon­do, però, non è cosi. Se Dio agisce, se Dio ci è vicino in Gesù è chiaro che soltanto allora questo agire di­venta luce, diventa chiaro, qualora noi ci troviamo in quella luce nella quale la luce può sorgere.

E' chiaro quindi che la condizione per conoscere la verità di Gesù è l'unità della comunità pasquale, do po che il Signore si è sacrificato e ci ha donato il suo spirito. £ la verità di ciò che Gesù ha fatto prima di Pasqua non poteva essere capita dai discepoli prima di Pasqua, ma sol­tanto dopo la loro « conversio ad uni­tatem ». Cosicché la verità storica di Gesù non è quella che noi possia­mo assicurare con elementi, con pro­ve del Cristo prima di Pasqua, ma ciò che la presenza di Gesù glorioso ci dice in questa unità.

Soltanto nella luce di tutta la re­denzione riconosciamo la verità di Gesù, come quella di Maria, e so­prattutto ciò che viene rivelato. E una cosa sola è stata rivelata; essa si esprime nel versetto che le prime focolarine volevano aver scritto sul­la loro lapide sepolcrale: « credidi­mus caritati » (I Giov. 4, 16). Ma l'Amore si svela solo all'amore. Se la parola che nasce dall'amore del Padre viene umanamente reincarnata dall'amore della madre di Gesù, Ge­sù viene nuovamente alla luce per mezzo della Chiesa, cioè dall'essere uniti nel suo nome.

l'agire di Dio vero miracolo storico

In fondo nella teologia dobbiamo fare la stessa conversione di coloro che vogliono vivere l'Ideale. Chi vi­ve l'Ideale deve confidare nel prov­videnziale agire di Dio. Dobbiamo essere convinti che Gesù nel momen­to presente vuole qualche cosa da noi, che egli agisce con noi. Qualora volessimo nella nostra vita toccare con mano dei miracoli, non trove­remmo nulla. Se però noi liberamen­te ci abbandoniamo all'agire di Dio, allora facciamo continuamente l'espe­rienza che Lui agisce. La stessa cosa succede anche con la teologia.

Se noi, usando un metodo critico­storico, indaghiamo per poter prova­re l'agire di Dio in Gesù, non tro­viamo molto. Ma se la teologia con­sidera il « vero miracolo », li sco­prirebbe la verità dell'agire di Dio; e il vero miracolo mi sembra essere il seguente: e cioè che degli uomini sono passati a questa fede e a que­sta unità, come testimonia il nuovo testamento. Uno dei migliori esegeti del nuovo testamento mi diceva una volta: « Se leggo la S. Scrittura con gli occhi della fede e della nuova esegesi, scopro che in ogni versetto si nasconde una grandissima rifles­sione teologica ». Che questa rifles­sione fosse possibile nel periodo do­po la morte di Gesù, sta a dimostra­re che il tutto non è un racconto privo di contenuto storico. E' stato dimostrato, per esempio nella « Sto­ria della redazione », che il vangelo di Marco, che sulle prime sembra tanto semplice, è ordinato simmetri­camente per versi.

la Parola presente nella risposta della fede

Si vede quindi che dietro ai van­geli si nasconde un immenso lavo­ro spirituale, tanto è vero che i re­dattori sentivano che il segreto che volevano esprimere poteva essere espresso soltanto con le migliori for­ze del loro spirito e del loro cuore. E anche noi ci accorgiamo che la parola di Dio non può giungere a noi se non nella risposta. Essa è sol­tanto presente nella risposta che dà la fede.

Se vogliamo quindi riassumere la nuova esegesi in una formula breve, si può dire ciò che segue: « la scien­za cerca la parola di Dio; essa trova però soltanto la risposta alla parola di Dio; questa risposta è proprio il luogo nel quale è presente la pa­rola ».

Dio presente nel mondo non senza di noi

Riassumo brevemente il concetto esposto sopra.

Mai troveremo una bobina della parola di Dio, ma soltanto una te­stimonianza della parola di Dio, ac­cettata e messa in pratica da coloro che hanno dato una risposta. Ma sol­tanto in questo modo diventa chiaro il senso della incarnazione di Dio, e cioè che lui non vuole più stare nel mondo senza di noi, ma che egli vuole starci attraverso di noi. Per questo penso che dobbiamo affron­tare con coraggio la nuova esegesi e i suoi risultati; ma non guardare troppo al senso della esegesi moder­na nei risultati esterni, bensì nel si­gnificato, e cioè che l'unico luogo della teologia è l'unità della fede e della carità.

Per questo la teologia è pressoché priva di aiuti per portare gli uomini alla fede. E' necessario invece testi­moniare a questi uomini che essa conduce all'unità, affinchè l'uomo in questa unità comprenda di nuovo la parola di Dio. Corrisponde quindi esattamente a ciò che nel Movimen­to viene detto a proposito della pa­rola di vita. Mi ricordo di una focolarina, la quale diceva che il van­gelo è come una scritta al neon, che però non si può leggere qualora manchi la corrente, e che la sola cor­rente con la quale è possibile leg­gerlo è la nostra vita. La nostra vita dev'essere il Vangelo vissuto in unità.

Sono convinto che per conseguen­za i risultati della nuova esegesi e della nuova teologia ricevono un sen­so tutto nuovo.

Klaus Hemmerle