silenzio interiore
Non deludere le aspettative dell'umanità è uno dei compiti della Chiesa e di ogni cristiano. Ma che cosa si aspetta l'umanità, oggi che si sente adulta e autonoma, oggi che sembra scrollarsi di dosso ogni residuo di religiosità, ogni adesione a realtà che non siano scientificamente provate o possibili?
Eppure molti cristiani non stanno inerti, e corrono dietro l'evoluzione del tempo; ma sembra che non riescano mai a eguagliarla. Abbiamo l'impressione di essere sempre in ritardo. Per questo anche i buoni entrano in crisi, e soprattutto i sacerdoti si sentono anacronìstici, delusi dalla vanità e dall'insuccesso delle molte imprese che mettono in atto perché vedono che esse non raggiungono quasi mai le esigenze del momento attuale.
Amare l'umanità, in queste condizioni è difficile. E tuttavia l'umanità si aspetta qualcosa anche oggi, come se l'aspettava al tempo del boom culturale, economico e politico greco-romano. A quel tempo venne Gesù, e fu la Parola che tutti attendevano. Fu la Parola che apparentemente mise in crisi il sistema, mentre invece si rivelò poco dopo come il fondamento su cui quella civiltà che si stava in realtà disgregando potè ristrutturarsi e crescere a vita nuova.
Fu la Parola che dava la risposta a ricchi e poveri, a liberi e schiavi, a filosofi e letterati, a scribi e scienziati. Era una Parola quanto mai attuale.
Venti secoli dopo, l'umanità denuncia le stesse esigenze. Forse s'è fatta più problematica, proprio perché ha scoperto altri orizzonti: è scesa nel profondo dell'uomo con l'analisi psicologica, ha dato la scalata al cielo con mezzi tecnologici che sembrano inarrestabili. Ed è davvero difficile per il cristiano dire oggi una parola nuova — una parola di salvezza — a sociologi e psicologi, a filosofi e letterati, a politici e tecnici, perfino ai poveri e agli affamati. Si ha la tentazione di dire: « c'era una volta Gesù che a suo tempo fu la risposta... », e ci si sforza magari di ammodernare la sua Parola pronunciandola con un vestito alla moda; ma la delusione è grande, perché non suscita interesse quasi che nessuno ne abbia bisogno.
Come si può oggi parlare da « cristiano »? C'è ancora possibilità per una pastorale? Esiste un modo cristiano di servire l'umanità, un servizio che sia una risposta alle domande, alle difficoltà, ai drammatici problemi « umani » sempre più laceranti a dispetto del trionfalismo umanistico e tecnologico?
Il vero problema di noi cristiani, dì noi sacerdoti, sta nel « come » pronunciare la Parola per gli uomini di oggi, per i loro problemi reali, per i loro bisogni concreti; nel « come » poterla pronunciare noi in modo però che sia Dio stesso a dirla attraverso di noi.
Qui Maria è maestra, e forse abbiamo sbagliato per non averla seguita. Al pari di lei bisognerebbe essere capaci a tacere: a far tacere i nostri pensieri e i nostri desideri, a farci vuoti nei confronti degli altri vivendo il suo silenzio d'amore davanti a Dio e ad ogni prossimo, in modo da formare assieme il grembo accogliente "di • Maria nel quale soltanto può essere concepita e nascere la Parola di Dio.
Silenzio intcriore, vissuto insieme, non per evadere dai problemi degli uomini ma proprio per amarli di più, creando la condizione indispensabile perché Dio possa esprimere intelligibilmente la sua Parola che « illumina » i problemi di ogni uomo.
Silvano Cola