Un fisico ci parla della pròpria esperienza spirituale: come arrivare a

costruire cristo

Attraverso l'esperienza di vita che sto facendo da anni mi si è an­dato chiarendo a poco a poco. chi è, che cosa è Gesù. E' proprio cercando di vivere quello che noi chiamiamo Gesù in mezzo che man mano mi si è chiarito; E' una parola che sembra non dica nien­te, e forse, molti di voi non ne sentono parlare molto frequente­mente. Quel Gesù, che noi creiamo in mezzo a noi attraverso l'amore reciproco e l'unità, capivo sempre di più che aveva una dimensione molto più grande, molto più uni­versale, e di fronte ad essa si cen­trava sempre meglio il significato della mia esistenza.

In un primo tempo, infatti, sem­brava che fosse come una regola ascetica: per far contento Dio, per far contento Gesù, per obbedire al suo comandamento, noi dovevamo amarci reciprocamente: avremmo avuto Cristo in mezzo a noi e avremmo creato questa realtà che è la Chiesa. Poi quasi ci sembrava che dovessimo far questo per sal­varci, alla fin dei conti, l'anima. Salvarci l'anima! E' anche vero, perché se non ci salviamo, non so cosa si salva dell'universo. In se­guito questa legge dell'amore pian piano l'ho capita in modo nuovo, ed è servita a darmi un'idea dei mondo, una visione del mondo; non solo la visione del mio particolare nella Chiesa, del mio rapporto con gli altri, ma una vera e propria Weltanschauung, come dicono i te­deschi, cioè una visione del mondo totale, anche se, a dire il vero, non abbiamo fatto altro che sco­prire cose notissime, già contenute nel Vangelo, in S. Paolo, nei Padri e in alcuni altri « grandi », e vis­sute da piccoli gruppi; solo che la massa è andata avanti ad un li­vello infinitamente più basso di quelle idee.

Ad un certo momento, insomma, abbiam capito che lo scopo di tut­to, lo scopo per cui Dio sta fa­cendo quello che fa o ha fatto, non è nessuno di noi; che lo scopo per cui esistiamo, per cui noi ci siamo, non finisce in noi, ma fini­sce in un'altra realtà unica che noi chiamiamo Gesù. Questo è il fatto.

io in quanto cristo

Mi ricordo una frase che ap­punto ci diceva Chiara Lubich: Dio fuori di sé non vede altro che Ge­sù, cioè non vede né me né nes­suno di voi, vede solo Gesù; e che quando ci vede — scusate il linguaggio antropomorfico — vede solo quella parte di Gesù, quel Gesù che è realizzato. E in realtà — come anche Teilhard de Char­din ha affermato — in tutto l'uni­verso, in tutta la realtà creata, quello che Dio ha voluto è Cristo, che si potrebbe chiamare il Dio creato. Che poi Cristo, questo Dio creato, venga formato in questo modo come noi lo sperimentiamo, e che noi stiamo proprio nel pro­cesso di creazione di questa real­tà, questo è un fatto che è quello che è e quindi noi non stiamo a perderci la testa, perché se è così è segno che deve essere così.

Insomma, l'aver capito questo, l'aver capito che Dio non ha vo­luto me in quanto me, ma ha vo­luto me in quanto Cristo, m'ha portato a capire profondamente co­sa vuol dire Gesù in mezzo. E m'ha fatto anche capire perché Ge­sù nella sua manifestazione stori­ca, nella sua manifestazione per­sonale come uomo non ha fatto altro che dire, non ha lasciato altra legge che: « Amatevi a vicen­da come io vi ho amati ». Cioè ha dato il comandamento dell'amo­re, che però non è l'amore che si intende comunemente, bensì un amore che è Amore, poiché il tim­bro vero dell'amore esiste solo se questa unione, questo rapporto re­ciproco, si apre su qualcosa che non è nessuno di noi, che non è nessuno dei termini fra i quali esso si stabilisce. Che se per caso suc­cede che si stabilisce un rapporto chiuso tra i termini dell'amore, praticamente non solo non si può parlare di Gesù in mezzo, ma nean­che di amore.

In realtà può darsi benissimo che io mi doni, che io mi sacri­fichi, che io faccia tutto quello che posso per un altro, e che in fondo a questo mio donarmi non ci sia affatto la visione soprannaturale, la visione trascendente, e il rap­pòrto con l'altro si chiuda in sé stesso; infatti san Paolo pare che l'accenni quando fa l'inno alla ca­rità: dice che se anche si parlasse la lingua degli angeli e si desse tutti i propri averi ai poveri e il corpo alle fiamme, se non c'è la carità non si è fatto niente. E credo che sia proprio un trattato filosofia) sull'amore quell'inno alla carità, perché realmente se l'amore non è Dio, non è niente. Come dicevo prima, infatti, lo scopo per cui Dio ha fatto tutto quello che ha fatto è effettivamente solo sé stesso, cioè è creare sé stesso, è creare Cristo; e quindi se la no­stra unità, il nostro amore, il no­stro rapporto non conduce a Cri­sto, non conduce a niente, anche se ci sacrificassimo totalmente gli uni per gli altri.

Questo concetto di Gesù in mez­zo mi è sembrato un approfondi­mento molto grande di quello che era l'ideale fondamentale della mia vita. Cioè ho capito finalmente co­sa vuol dire Gesù in mezzo: per­ché io mi devo relazionare con gli altri? perché devo stringere un rapporto con gli altri? Non tanto per creare una società nella quale possa trovarmi bene, non tanto per creare qualcosa di bello, qualcosa di perfetto, non tanto per far fun­zionare meglio la società e l'uma­nità intera, per riuscire ad attua­re la giustizia sociale ecc.; ci sarà dentro anche questo naturalmente, è logico; ma io devo farlo unica­mente perché so che lo scopo per cui io esisto è per inserirmi in questo insieme di relazioni al fine di costruire Cristo, lo scopo della creazione.

Ricordo che mi colpi moltissimo ad un certo momento quella fra­se che vi ho detto prima, che in realtà Dio vede solo Gesù e non altro; che per Dio esiste solo Ge­sù. Esiste solo Gesù non soltanto come termine finale della creazio­ne, ma anche nelle fasi interme­die, nelle fasi evolutive, nel pro­cesso di cristificazione dell'uni­verso.

Quindi praticamente se noi non ci inseriamo in questo ciclo, se non ci inseriamo in questa realtà, possiamo scivolare lateralmente, ca­dere lateralmente come della za­vorra, come dello scarto, come qualcosa che non è entrato nel ciclo della trasformazione della realtà in Cristo.

cibernetica e vangelo

Come studioso e come scrittore ho dovuto interessarmi anche di cibernetica, e dovendo appunto sforzare il cervello per capire cos'era e per spiegarla poi agli altri, mi sono accorto praticamente che la cibernetica è un concetto uni­versale, una di quelle idee univer­sali che valgono per tutte le cose. L'umanità e la scienza l'hanno sco­perta una ventina, una trentina d'anni fa, però in realtà è una cosa che è il principio di tutta la dinamica dell'essere. Ho capito che i principi fondamentali della cibernetica non sono altro che i principi che spiegano come mai le cose si costruiscono, come mai esiste l'evoluzione, perché si va avanti, perché l'essere cresce: es­sa è il principio per cui le cose si mettono insieme per fare altre cose, per fare cose superiori a sé stesse. Cioè in tutta la vita del­l'universo, in tutto quello che ci sta dietro e che possiamo proiet­tare anche davanti con una certa estrapolazione, praticamente c'è qualche cosa che spinge tutti gli esseri in qualche modo a unirsi secondo determinati significati, se­condo un ben preciso significato: diventare altre cose più grandi, più ricche di essere. Praticamente il principio cibernetico è la base di questa evoluzione, di questa crescita, di questa salita; e mi è sembrato di aver scoperto vera­mente il segreto delle cose, cioè che esiste un principio dinamico vitale che serve a mettere insieme le cose tra di loro non per sé stes­se, ma per diventare un'altra cosa, cioè in vista di una terza cosa: e mi è sembrata una cosa meravi­gliosa perché combaciava perfetta­mente col vangelo, combaciava per­fettamente con quella visione delle cose che noi, al nostro livello, ave­vamo scoperto.

creare insieme

E questo mi ha illuminato su quello che devo fare io; cioè io mi devo relazionare con gli altri, mi devo unire agli altri poiché ogni rapporto con l'altro crea qual­cosa al di là di me, al di là di noi due, al di là di noi tre, al di là di noi mille; deve creare un'al­tra realtà che non sono né io né gli altri, e che noi chiamiamo Ge­sù in mezzo.

Allora, se io mi unisco agli al­tri, se gli altri li amo per Gesù, per realizzarmi nella « sua » real­tà, realmente entro nel piano crea­tivo di Dio, e creo anch'io con gli altri.

E' una cosa bellissima, perché si vede come Dio realmente crea per amore, e crea per amore non solo perché ci ama, non solo perché ama il suo Cristo che è il termine finale della creazione, ma perché Dio crea Cristo attraverso fi mio amore per gli altri, cioè fa sì che sia io a creare col mio amore Cristo.

E' questa la grande cosa che abbiamo scoperto nell'Ideale; per cui diciamo: guarda, Cristo è pre­sente in mezzo a noi, non perché ci viene come per un atto crea­tivo di Dio, ma perché siamo noi che lo creiamo; Cristo esiste per­ché lo voglio io, lo creo io, per­ché amo. Si vede, insomma, come veramente il fatto della creazione, il fatto divino, sia amore da tutte le parti: è pienezza d'amore per­ché c'è l'amore di Dio che scende e l'amore nostro che sale.

E questa è stata una scoperta che mi ha tanto illuminato, nel senso che mi ha dato l'idea, al­meno un barlume, di come sia la struttura dinamica della realtà.

Quindi quando noi parliamo di Gesù in mezzo, quando parliamo di comandamento nuovo, pratica­mente intendiamo parlare di stabi­lire un rapporto tra di noi, tra gli uomini, tra quelli che possono prendere coscienza di questo fat­to, un rapporto che ci porti a creare sempre di più questa realtà che si chiama Cristo.

il pericolo dell'entropia

Spesso tra noi si dice: alla fine della vita di noi rimarrà solo quel tanto che abbiamo amato. Sono quelle frasi che si dicono cosi, ma­gari avendone una vaga compren­sione, una vaga percezione, ma che centrano il meccanismo intimo del­l'essere: cioè noi esistiamo solo per quel tanto che abbiamo ama­to, ossia esistiamo solo per quel tanto che ci siamo creati, che ci siamo messi nell'esistenza; il resto è fuori di questo rapporto creati­vo, e praticamente non esiste. Per dirla in termini scientifici, il resto è entropia pura, è qualcosa che va indietro, che è destinato all'involu­zione, alla dispersione; non all'unio­ne, ma al frazionamento all'infi­nito, praticamente al nulla. Si ca­pisce allora come nella legge di Gesù, nella legge del vangelo, c'è proprio la legge del costruirsi del­la realtà per la quale esistiamo. Noi esistiamo solo per diventare Cristo, e tutto quello che non è finalizzato a questo, esplicitamente o almeno implicitamente, pratica­mente è nullo. E questa cosa la dico anche perché nella problema­tica di oggi che va sempre più accentuandosi nello sforzo, nella ri­cerca di essere di più, di costruire di più, di stabilire nuovi rapporti sul piano sociale e universale, si corre il rischio grandissimo di per­dere di vista il trascendente. Cioè si perde di vista il perché noi vo­gliamo questo rapporto. E questo rischio c'è poiché nel cercare una tecnica che migliori il rapporto umano, magari si trascura il fatto che tutte queste cose servono, han­no significato e valore unicamente se sono finalizzate nella creazione di Cristo, altrimenti non servono a niente.

Io credo che è possibile miglio­rare la situazione del mondo dal punto di vista strutturale, però il mondo rischia di chiudersi in sé stesso, in un vicolo cieco, in un circolo chiuso, se non si relaziona al di là di se stesso; e pertanto rischia di non essere « visto » da Dio. Dio non lo vede perché non è Cristo questa cosa, oppure lo vede minimamente, perché in esso c'è solo un piccolissimo Cristo, un estratto piccolissimo della realtà di Cristo, e il resto va tutto perso nella disgregazione.

coscienza dei valori

Quando dunque noi lottiamo per il rinnovaménto delle cose, per il rinnovamento delle strutture, e an­che, diciamolo pure, per il rinno­vamento della mentalità — credo che soprattutto la lotta si svolga su questo piano — bisognerebbe che tenessimo sempre presente que­sto, perché potrebbe succedere che noi lottiamo, spendiamo un'enor­mità di energie per guadagnare 5, per portare ad esempio il rendi­mento da 30 a 35%, e magari per far questo distruggiamo valori enor­mi, forse anche il valore che è Cristo in mezzo a noi, come suc­cede spesso. Ossia dobbiamo avere in questa lotta la sensazione e la coscienza dei valori che stiamo ma­novrando, perché se per far questo diminuiamo il Cristo, diminuiamo l'amore, noi distruggiamo qualcosa che è Cristo, e di fatto operiamo al negativo: è una malattia, non è una evoluzione sana; è un'involuzione che poi magari potrà risanarsi in futuro, però nel momento che la attuiamo è un'operazione che costa troppo rispetto al risultato che può avere.

Quindi io credo che una vera co­scienza di Gesù in mezzo, dell'amore reciproco esteso cosmicamen­te, cioè esteso sul piano di una vi­sione generale delle cose, può fard avere una coscienza giusta nella nostra azione di rinnovamento che vogliamo attuare: un rinnovamento in noi stessi per una comprensione più profonda di questo fatto, un rinnovamento nel nostro rapporto con gli altri, che non deve termi­nare al nostro prossimo, ma deve terminare molto al di là di esso. Questo al di là si chiama Cristo.

Questa coscienza di Gesù in mez­zo, del comandamento nuovo visto su questa scala, potrebbe veramen­te darci la possibilità di fare qual­che cosa di effettivo e di efficace in questo rivolgimento, in questa trasformazione che stiamo vivendo oggi. Questa mi pare che sia una delle ultime conseguenze di Gesù in mezzo, visto nella sua totalità. Quindi il fatto è questo: che la leg­ge fondamentale delle cose è il comandamento nuovo di Gesù. Ge­sù ha dato l'unica legge cibernetica vera, cioè ha definito in che modo le cose possono mettersi insieme per costruire Lui: e questa legge l'hanno gli atomi come l'abbiamo noi.

E termino ricordando una frase che Chiara Lubich ci ripete spesso: è molto meglio fare cose imperfet­te in unità che fare cose perfette in disunità; perché una cosa im­perfetta fatta in unità può essere una cosa piccola, che non ha ancora raggiunto la sua maturità, ma che però è già Cristo; una cosa perfet­ta fatta non in unità, è una cosa che non serve a niente, una cosa che sarà scartata e bruciata, co­me diceva Gesù, nella Geenna; una cosa che sarà scartata e bruciata perché non serve alla costruzione di Cristo.

Piero Pasolini

* Conversazione tenuta nel maggio scor­so al convegno internazionale Gen's di Rocca di Papa.

Riduzione libera di Silvano Cola.