VITA GEN'S: da 15 nazioni al Centro Mariapoli
- a cura di Joào e Luigi -
Non è la prima volta che realizziamo un'esperienza come questa del raduno gen's di maggio e ci è difficile esprimere a parole la profonda ricchezza di un incontro di 100 studenti orientati al sacerdozio che si sono confrontati « come corpo » davanti al Vangelo.
Chi si fosse trovato in mezzo a loro durante questi tre giorni, come lo siamo stati noi, avrebbe respirato un clima di famiglia e non avrebbe avuto bisogno di argomenti ben congetturati per concludere che anche oggi è possibile, nel rispetto della libertà e della personalità, costruire una comunità strettamente legata da un'unica realtà: la carità.
Sembrano parole: chi però, sulla parola di Gestì, già vive la dinamica della propria vita non come possesso egoista, ma come dono gratuito, anche negli atti più banali, può credere che le diversità individuali, per accentuate che siano, hanno un punto d'incontro.
Tedeschi, svizzeri, italiani, austriaci, francesi, studenti di teologia dei collegi romani provenienti da alcuni paesi dell'Asia, Africa, e America Latina, tutti ci siamo guardati con « occhi nuovi ». Non c'era più posto per differenze di razza, di classe, di mentalità, di scuole teologiche, perché al di là di tutto ci siamo ritrovati come figli dello stesso Padre, legati gli uni agli altri dall'amore.
Sotto questa luce ogni incontro con l'altro era una scoperta; tra di noi nasceva una grande semplicità, sperimentando i frutti dello spirito di cui parla san Paolo: la gioia e la pace.
Se questa è la vita che troviamo nella Trinità, dove la relazione del
Padre col Figlio nello Spirito Santo li costituisce persona, questa è anche la nostra vita, perché creati ad immagine di Dio. Nella misura in cui siamo capaci di perdere i nostri beni (tempo, programmi, idee, problemi, sofferenze) per essere con l'altro, ritroviamo la nostra vera personalità.
L'abbiamo sperimentato: il fratello non è un oggetto da evitare o uno col quale cercare ad ogni costo una «convivenza pacifica»: è essenziale soprattutto perché io sia io. Gesù ha chiamato suo il comandamento dell'amore scambievole e si è identificato con il più piccolo dei fratelli: noi abbiamo cercato di continuare l'attuazione di queste parole e la speranza di una rinnovazione ha cominciato ad essere vera.
Per. questo abbiamo sperimentato come un'esigenza la comunione dei beni. Ne veniva che la solitudine e la divisione interiore, provocate dalla molteplicità dei valori sovrapposti e relativizzanti, erano armonizzate dal passo verso il fratello. Alle critiche negative spesso proposte da una posizione disimpegnata abbiamo opposto l'esigenza di incominciare da noi stessi.
La vocazione al sacerdozio per alcuni è stata riportata alla sua giusta dimensione: essa è un dono di Dio al servizio dei fratelli; se Dio però non viene scelto come unico tutto, anche prima del sacerdozio (cioè pronti a perderlo se fosse questa la sua volontà) non acquistiamo la vera libertà di chi non è condizionato da niente, nemmeno dalle cose più sante.
In piccolo abbiamo intravisto il cammino verso la maturità umana e cristiana immersi nelle esigenze storiche dei segni dei tempi.
Il contatto con i fratelli Riformati svizzeri, che svolgevano un raduno parallelo al nostro, al Centro Mariapoli, ci ha riconfermato l'esperienza che l'amore fa nuove tutte le cose. A loro abbiamo manifestato la nostra sete di comunione. Siamo stati alcuni momenti insieme e abbiamo sentito come l'accorciamento delle distanze dipenda soprattutto dalla nostra capacità di amare. Era spontaneo per noi dire con tutto il nostro essere: perché non costruiamo i ponti al di là di tutte le barriere per incontrarci?
I seminari nuovi verranno fuori, e già lo vediamo in germe in alcuni dove questa vita di unità si fa avanti. Vogliamo però pagare di persona perché Gesù ha pagato con la propria vita la Chiesa. Il dolore non può essere scartato in noi; alzato in croce Gesù lo ha assunto, totalmente, rendendolo moneta di salvezza. Vissuto in lui il nostro dolore matura la Chiesa.
Alcuni ci hanno detto alla fine dell'incontro:
« E' stato un incontro meno impressionante di altri cui avevo partecipato, ma più profondo: ho visto l'ambiguità del mio cristianesimo e mi son sentito chiamato a un impegno totale.
Tante cose già le sapevo; quel che manca a volte è la vita, e se non vivo rimango vuoto, incapace di rinnovarmi e di essere con ciò attuale ed autentico per il mondo e la Chiesa di oggi; divento vecchio senza alcun senso né per me né per gli altri ».
Michele – Tailandia
« Non sono stato colpito dai discorsi, quanto dall'ambiente in cui ho vissuto, dalla semplicità e nello stesso tempo dalla profondità in cui nascevano i rapporti: nelle conferenze, negli incontri di gruppo, nei momenti di relax; sempre era la stessa vita ».
Franco – Italia
« Mi ha colpito la fraternità che c'era tra noi, pur diversissimi di mentalità e idee.
Nell'esperienza di comunione che abbiamo cercato di approfondire e vivere sentivo come accanto all'unità fra dì noi sia necessaria l'unità in noi stessi: trovare in Dio messo al primo posto l'equilibrio di noi stessi. Allora tutti i nostri problemi potranno trovare una via di soluzione... ».
Leon – Francia
Questi giovani mi hanno impressionato per la libertà che dimostravano di possedere: liberi dalle idee, pur dovendo fare i conti con le idee; liberi dalle strutture anche se calati nelle strutture; liberi dagli altri e da sé stessi, pur dovendo costruire ogni giorno la loro libertà. E solo uomini liberi possono dare la libertà alle altre persone.
Wolfgang – Germania
« E' un fatto da sottolineare come nel nostro incontro fosse praticamente rappresentato tutto il mondo: questo è il segno di una Chiesa che vive le dimensioni genuine del nostro tempo e che vuole andare all'essenziale.
Anche perché oggi una difficoltà comune che si avverte nei seminari è quella di sentirsi soli, ciascuno stretto nei propri problemi individuali, magari quello di crescere cristianamente, ma sempre in forma privata: qui abbiamo cercato di maturare assieme e questa per tanti è stata la testimonianza più forte, ritrovandosi ognuno come attore nella comunione che costruiva ».
Aldo – Italia
« Fin'ora avevo l'impressione che i seminaristi fossero un po’ della gente addormentata che sta preparandosi, ma che non porta qualcosa di vivo e di costruttivo, capace di assorbire ma non di dare qualcosa di suo. Qui ci siamo sentiti un corpo vivo, e quella carica di gioventù, quella ventata di aria fresca che esso rappresenta, devono essere portate fuori, per tutta la Chiesa.
Roberto - Italia