CONGIUNTURA STORICA E RISPOSTA CRISTIANA
In una società ossessionata dal sesso e dal confort, il cristiano deve ritrovare il cristianesimo più vero, se vuole non solo «sopravvivere» in mezzo ad essa ma trasformarla.
Nella società cosiddetta pre-tecnica la religione aveva una profonda rilevanza sia sul piano strutturale che culturale. C'era cioè da una parte uno stretto rapporto tra istituzione ecclesiale e società globale (nel senso che la religione era un fattore d'ordine e di stabilità sociale), ed allo stesso tempo per un lungo periodo la religione aveva forbito alla società i modelli di condotta, gli ideali di vita.
Nella misura in cui si andava producendo la scissione, tra stato e chiesa prima, tra vita sociale e religione più tardi, si verificò un fenomeno normale che sociologicamente si esprimerebbe così: è rimasto nella società un quadro di valori e riferimenti non più interiorizzati dalla maggior parte degli individui a livelli profondi di personalità.
Cosi le persone si trovano di fronte ad una serie di atteggiamenti e norme di condotta, della cui validità non sono convinte nel loro profondo. Questa situazione non può durare a lungo; se da principio si va avanti quasi « senza pensare », presto o tardi se ne diventa coscienti e di conseguenza saltano per aria le dighe di contenzione.
In altre parole si passa, a grandi linee, da una morale fondata su presupposti religiosi, a una morale di forme solo esterne («si può fare tutto basta che non ti vedano »), per arrivare infine a quella che si crede una « liberazione » totale.
Ad esempio l'attuale società italiana (e non solo quella) attraversa in buona parte il secondo stadio. Soprattutto nella generazione matura. Ed è specialmente la gioventù a ribellarsi, perché è tipico di essa la autenticità, la ripugnanza verso le forme ipocrite e farisaiche: non si vuole più vivere secondo certe forme esterne che in realtà si cerca di trasgredire perché non si hanno praticamente più motivazioni per osservarle.
Tuttavia anche nella gioventù una buona parte resta ancorata a certe forme esterne senza motivazioni profonde; di li poi certe tensioni, certi stati nevrotici, certe manifestazioni d'infantilismo, d'immaturità, ad esempio nel piano sessuale (cosi si spiegano il dilagare nella cronaca quotidiana di violenze ed anormalità sessuali, o di altre deviazioni comportamentali).
Altri invece cercano la « liberazione ». A volte in « comportamenti devianti » come la droga, la delinquenza, atteggiamenti di autosegregazione. Ma il più delle volte in una condotta « spregiudicata », soprattutto a livello sessuale. La sorpresa attende però anche dietro quella svolta. Perché di fatto in quel comportamento non si trova né la liberazione né la pienezza che sarebbe dato di pensare. Stanno a mostrarlo quei paesi nei quali questo tipo di « liberazione » raggiunge indici più alti, che a sua volta coincidono colle percentuali più alte di suicidi, specie tra i giovani (oltre a non essere ancora comprovato che in quei paesi sia sceso, ad esempio, il numero di delitti di natura sessuale).
Come giudicare tutta questa situazione? Secondo noi, non è apocalittica o necessariamente negativa. E' proprio questo travaglio uno degli aspetti che rivelano una umanità che avanza verso una maggiore maturità, verso una maggiore interiorizzazione e coscientizzazione dei valori.
E' vero, non bastano più i surrogati: la gioventù — l'uomo oggi — vuole cose che sazino veramente. Ma questo è positivo. Tutto sta nel trovarle, quelle cose. E saperle testimoniare.
Certo, le cose si fanno difficili per cristiani che vogliano essere coerenti con quello che professano. Bisogna andare contro corrente. E poi non bastano più le apparenze esterne, né gli argomenti di autorità, né i convenzionalismi, per dire la Parola al mondo. Ci vogliono delle persone che abbiano incarnato nella loro vita quello che porgono (non che impongono) agli altri. Bisogna che i cristiani mostrino colla loro vita che i loro principi non sono una « sorpassata visione della vita che affonda radici nel giudaismo », ma la pienezza della vita.
Ora, affrontare il mondo cosi com'è oggi può portare con sé, per i cristiani, un influsso positivo e nello stesso tempo una tentazione.
Il positivo è di farci ripensare tanti aspetti della nostra vita e della nostra riflessione. Cadono tanti tabù; tante cose che credevano essenziali nella dottrina e nella prassi morale si rivelano a volte relative o fondate su concetti superati, e vanno pertanto riviste.
E non è che, di fronte al mondo che cambia, la Chiesa vada « accomodando » le sue dottrine per non scomparire o per non perdere le persone (ironicamente qualcuno parla del « Dio che cambia i suoi decreti eterni ed immutabili secondo i bisogni di ogni tempo »). Si tratta invece dell'umanità che matura storicamente ed obbliga i cristiani a ripensare, crescere e purificarsi. I cristiani non sono « fuori » ma parte dell'umanità. Di li quel mutuo influsso: il cristianesimo ha informato di sé l'umanità, ed è la stessa umanità che maturando pone l'istanza ai cristiani di un cristianesimo sempre più autentico e adulto. Quando i cristiani dimenticano di vivere certe verità, queste debbono per forza « spuntare » da qualche altro pezzo d'umanità. Perché non ci sono due disegni diversi (uno sui cristiani ed altro su quelli che non lo sono), ma un'unica storia che porta l'umanità tutta all'Uno che è Cristo. Non si tratta d'interpretazione hegeliana della realtà, ma di dialettica trinitaria.
La tentazione invece per i cristiani può essere questa: al postò di purificare la propria vita alla luce del Vangelo, cercare inconsciamente di « anacquare » le esigenze del cristianesimo per farle « più accettabili » al mondo. Ma questo, alla lunga, raccoglie quel che semina. L'unica soluzione vera non può essere che un ritorno alla genuinità, alla potenza, al coraggio di un cristianesimo evangelico vissuto fino alle ultime conseguenze.
A questo proposito K. Rahner ha affermato che, o il cristiano di domani avrà esperimentato la realtà di Dio, o altrimenti non avrà più la forza di vivere come cristiano in mezzo al mondo. Soltanto — bisognerebbe aggiungere — che dovrà essere un'esperienza comunitaria. Come direbbe M. Buber: Noi attendiamo una teofania. E non sappiamo niente altro di questa teofania che il luogo. E questo luogo si chiama la comunità.
Le cose si sono messe in maniera tale, in quest'epoca nostra, che ci costringono all'autenticità ed alla verità. Che la pienezza della vita cristiana stia nella comunità è una verità da quando è nato il cristianesimo. Ma oggi quella verità non si può non vivere, se non vogliamo rischiare non solo di fare impossibile la trasformazione cristiana del mondo, ma di essere travolti da lui. Non si può dare ciò che non si possiede. E possiede Dio — è in Dio — solo chi ama. Questo vale per il singolo, ed a maggior ragione per la comunità.
Quanto abbiamo detto in linea generale non può non essere applicato anche ai sacerdoti, che prima di tutto sono uomini e cristiani del proprio tempo. Ma di questo discorreremo successivamente.
Enrique Cambón