Parola di vita:

“Non c'è né greco né giudeo; non c'è né schiavo né libero;
non c'è né uomo né donna; tutti voi siete uno in Cristo Gesù.”
(Gal. 3,28)

Che in Dio non ci sia favoritismo di persone veniva già detto nell'Antico Testamento.

Significava che Dio non faceva distinzione fra i membri del suo popolo, ma rimaneva tuttavia la divisione fondamentale tra il popolo eletto da Dio e gli altri popoli pagani. Chi voleva salvarsi infatti doveva far parte d'Israele, ammettere la Legge e la circoncisione, segno del­l'appartenenza.

Questo modo di vedere le cose aveva portato confusione nella nascente chiesa della Galazia, come dice Paolo nella sua lettera.

La soluzione che dà è chiara: è in Cristo che si superano tutte le differenze; in Dio non c'è favoritismo di persone perché Egli in tutte vede Cristo, il quale, dei due popoli avendone fatto uno (Ef. 2, 14), fa sì che quanti sono battezzati nel suo nome, diventino uno in Lui, una sola persona in Lui.

Ciò che viene più in luce, quindi, nella frase di questo mese, vista nel suo contesto immediato, è l'essenzialità della nostra unità nel Cristo. L'unione nel Cristo infatti è vitale, efficiente e dinamica come quella del tralcio nella vite. Queste caratteristiche fanno sì che col battesimo si annullino sacramentalmente, e cioè in modo nascosto ma reale, le distinzioni che separano gli uomini, siano esse storiche o natu­rali. Cadono in tal caso le differenze etnico-religiose: « non esiste più né giudeo né greco »; sociali: « non esiste né schiavo né libero »; natu­rali: « non esiste uomo o donna ».

Certamente per capire questa nuova realtà ci vuole la fede. Ma non possiamo fermarci soltanto nella contemplazione o nella spiegazione. Questa nuova vita va attuata, vissuta, perché come ogni organismo vivente essa porta con sé il rischio dell'atrofia. Ed è nell'amore che l'attuiamo.

Questo non è altro che la formulazione positiva di ciò che afferma San Paolo in Ef. 5, 29: « Nessuno ha mai odiato la propria carne », perché siamo gli uni membra degli altri.

Venendo a mancare nella nostra vita l'attualizzazione di questa realtà che conosciamo attraverso la fede creeremmo un duplice dram­matico scompenso: non solo per il corpo che deve essere animato da questa vita, ma anche per tutti quelli a cui essa deve ancora arrivare.

Ecco allora che il cristianesimo è ancora novità nel mondo e noi cristiani dobbiamo ritornare all'essenziale: vedere in ognuno Gesù. Questo non è un eufemismo. Gesù si trova realmente nei nostri fratelli. E se siamo consci di vivere nell'unità di quest'unica persona che for­miamo in Lui, possiamo affrettare il tempo della sua vittoria definitiva. E la vittoria ci sarà perché Lui ha pregato affinché « tutti siano una cosa sola» (Gv. 17, 21).

Atilio Gimeno