PAROLA DI VITA

"lo vi do la mia pace" Gv. 14. 27

 

Per l'A. T. la pace non è assenza di guerra, bensì un concetto del tutto positivo. E' lo stato di benessere che può sperimentare l'uomo che vive in rapporto armonico con gli altri uomini, con se stesso, con la natura e con Dio. E' il poter fare uso pieno dei beni della creazione; pienezza di gaudio che si attua perché Dio ha fissato la sua dimora in mezzo a noi. Così vista, la pace non è soltanto il frutto dello sforzo umano, ma, allo stesso tempo, dono di Dio e risposta amorosa dell'uomo.

Il N.T., portando alla pienezza i temi dell'Antico, ci mostra una personalizzazione della pace. Non più doni creati: Cristo stesso è la nostra pace (Ef 2/14). Perciò lui non può dare la pace «come la dà il mondo ». Gesù, che anche in questo è modello per noi, non ci dà con la pace un dono in più: ci dà sé stesso. E' questo ciò che lui annuncia ai suoi discepoli quando « arrivata la sua ora » deve «passare da questo mondo al Padre» (Gv. 13/1).

Essi non comprendono le sue parole e incominciano ad inquietarsi. Si. Gesù li lascia, e la possibilità di rimanere soli li riempie di tristezza. Pietro, in uno slancio di generosità, si dichiara pronto a dare la vita perché il Maestro possa restare tra loro.

Ma Gesù non cede né cerca di nascondere la verità. Conforta i suoi. Non li lascerà soli: « lo lascio a voi la pace, io vi dò la mia pace ».

Questa pace — che Cristo chiama sua — è la sua presenza spiri­tuale che riempie il vuoto creatosi dapprima con la morte e poi con l'Ascensione. In questa nuova presenza di Cristo possiamo considerare due aspetti.

In primo luogo, la pace che lui ci lascia è lo Spirito Santo, il Conso­latorc, il frutto della sua morte redentrice. Questa presenza, già pro­messa dal profeta Gioele (3/1-5), si realizza nel giorno della Pentecoste (Act 2/1-36) portando alla loro pienezza il tempo e l'umanità. Lo Spi­rito, effondendosi sopra tutti quelli che hanno creduto, senza distinzione di razza o di lingua, genera in loro una nuova realtà antica che li trasforma da nemici in fratelli, e superando dinamicamente la dialet­tica dell' « io-gli altri », crea un « noi », che riflette la vita trinitaria sulla terra.

L'altra caratteristica della pace di Cristo è la presenza attiva e continua di Dio. I primi seguaci di Gesù — come testimonia la Scrit­tura — sperimentarono che il Cristo morto e risorto non li aveva abbandonati. Essi infatti lo riconoscevano in quella presenza vivificante che si attuava nelle loro anime e le rendeva una nuova realtà: la Chiesa.

Grazie allora alla presenza viva di Dio e all'azione continua delio Spirito Santo, vincolo d'unione nella nuova umanità formata da uomini «provenienti da tutte le nazioni del mondo » (Act 2/5) la pace di Cristo ci si presenta come il dono più pregiato a cui possa aspirare l'uomo. E' la pienezza escatologica preannunciata dai profeti dell'antico testamento e di cui la Chiesa è adesso segno e fonte per tutti gli uomini.

Perciò ogni volta che noi cristiani ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che agisce nelle nostre anime come in mezzo alla comunità, diventiamo creatori della pace di Cristo, lo generiamo, per così dire, in mezzo agli uomini, lo rendiamo presente nella storia dell'umanità affinché come «principe di pace » possa continuare anche oggi a procla­mare il « vangelo della pace » a tutti gli uomini della terra.

Atilio Gimeno