Nell’unità con il successore di Pietro e con i successori degli apostoli i movimenti ecclesiali hanno la certezza della loro fedeltà alla fede apostolica

 

Una prospettiva storica

 

A cura di Alberto Savorana

 

Dietro richiesta dei nostri lettori e non essendo ancora disponibile il testo integrale, proponiamo un’ampia sintesi della conferenza del cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, tenuta all’apertura del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali. Roma, 27 maggio 1998.

Il cardinal Ratzinger apre la sua relazione con cenni alla sua esperienza personale del contatto con alcuni movimenti:

"(…) Per me personalmente fu evento meraviglioso la prima volta che venni più strettamente a contatto – agli inizi degli anni Settanta – con movimenti quali i Neocatecumenali, Comunione e Liberazione, i Focolarini, sperimentando lo slancio e l’entusiasmo con cui essi vivevano la fede e dalla gioia di questa fede si sentivano necessitati a partecipare ad altri ciò che avevano ricevuto in dono. A quei tempi, Karl Rahner ed altri usavano parlare di "inverno" della chiesa; in realtà parve che, dopo la grande fioritura del Concilio, fossero subentrati gelo in luogo di primavera, affaticamento in luogo di nuovo dinamismo. Allora sembrava essere in tutt’altra parte il dinamismo; là dove – con le proprie forze e senza scomodare Dio – ci si dava da fare per mettere insieme il migliore dei mondi futuri. Che un mondo senza Dio non possa poi essere buono, men che meno il migliore, era evidente per chiunque non fosse cieco. Ma Dio dov’era? E la chiesa, dopo tante discussioni e fatiche nella ricerca di nuove strutture, non era di fatto stremata e appiattita? L’espressione rahneriana era pienamente comprensibile; rendeva un’esperienza che facevamo tutti. Ma ecco, all’improvviso, qualcosa che nessuno aveva progettato. Ecco che lo Spirito Santo, per così dire, aveva chiesto di nuovo la parola. E in giovani uomini e in giovani donne risbocciava la fede, senza sema, senza sotterfugi né scappatoie, vissuta nella sua integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere. Non mancarono certo di quelli che si sentirono infastiditi nei loro dibattiti puramente intellettuali, nei loro modelli costruiti a tavolino secondo un criterio del tutto diverso e personale. E come poteva essere altrimenti? Dove irrompe, lo Spirito Santo scombina sempre i progetti degli uomini. (…)".

Di qui la necessità di riflettere "sul come la nuova fioritura ecclesiale e le preesistenti strutture della vita ecclesiale, cioè parrocchia e diocesi, potessero porsi nel giusto rapporto. Un fenomeno che si ripresenta periodicamente, in forme disparate nella storia della chiesa. Si hanno sempre nuove irruzioni dello Spirito Santo, che rendono sempre viva e nuova la struttura della chiesa. Ma quasi mai questo rinnovamento è del tutto immune da sofferenze e frizioni".

Non ci si può quindi esimere dalla questione di principio sulla "collocazione teologica dei detti "movimenti" nella continuità degli ordinamenti ecclesiali".

Tentativi di chiarificazione
tramite una dialettica dei principi

Istituzione e carisma

Il porporato prospetta "qualcosa di inatteso" rispetto allo schema fondamentale che si offre in genere per la soluzione del problema suscitato dai movimenti: la duplicità di istituzione e evento, istituzione e carisma.

"Il concetto di istituzione si sbriciola fra le mani di chi provi a definirlo con rigore teologico. (…) Solo secondariamente l’istituzione si realizza per una chiamata della chiesa; primariamente, invece, si attua per una chiamata di Dio rivolta a quei dati uomini, vale a dire in modo carismatico-pneumatologico. Ne consegue che può essere accolta e vissuta, incessantemente, solo in forza della novità della vocazione-convocazione, della impadroneggiabilità del Pneuma (…)".

Con ciò riconosce che accanto a questo ordinamento fondamentale, esistono nella chiesa anche istituzioni di diritto umano, molteplici forme di amministrazione, organizzazione, coordinamento ed a questo proposito aggiunge che "la chiesa deve tenere sotto incessante controllo la sua propria compagine istituzionale, perché non si appesantisca d’indebita importanza, non si irrigidisca di un’armatura che soffochi quella vita spirituale che le è propria e peculiare".

Ritornando all’interrogativo riguardo al rapporto tra stabili ordinamenti ecclesiali e sempre nuove insorgenze carismatiche trae come conclusione che "lo schema istituzione-carisma non ci dà alcuna risposta, perché la contrapposizione dualistica configura insufficientemente la realtà della chiesa".

Anche se da questa dualità desume alcuni principi, tra cui:

a. "È importante che il ministero sacro, il sacerdozio, sia inteso e vissuto anch’esso carismaticamente. Il prete ha il dovere di essere un homo spiritualis, suscitato, stimolato, ispirato dallo Spirito Santo (...)".

Altrimenti il presbiterato "sarebbe un servizio mal compiuto che danneggia invece che giovare. Blocca la via al sacerdozio e alla fede".

b. "Là dove il ministero sacro sia vissuto così, carismaticamente, non si dà irrigidimento istituzionale: sussiste, invece, un’ulteriore apertura al carisma, una specie di fiuto per lo Spirito Santo e il suo agire (...)".

Cristologia e pneumatologia

Il cardinal Ratzinger affronta un’altra possibile soluzione al problema: la contrapposizione emergente nella teologia della contrapposizione tra l’aspetto cristologico e la pneumatologia della chiesa. Ma – risponde il cardinale Ratzinger – "non è possibile comprendere rettamente lo Spirito senza Cristo, ma nemmeno Cristo senza lo Spirito Santo".

Gerarchia e profezia

Viene affrontata quindi una terza proposta interpretativa: la contrapposizione tra "la linea cultural-sacerdotale e quella profetica nella storia della salvezza. Alla seconda sarebbero da iscrivere i movimenti".

La sua risposta è che nella chiesa vi sono funzioni diverse e che Dio suscita incessantemente uomini profetici sia tra laici che religiosi, vescovi e preti.

Dall’esame di quanto sopra ne viene tratta come conclusione che non si arriva ad una risposta al problema che si è posto "se come punto di partenza verso una soluzione si sceglie una dialettica dei principi". "La chiesa – aveva detto poco prima – è edificata non dialetticamente, ma organicamente".

Tenta dunque la via dell’impostazione storica, che "è coerente alla natura storica della fede e della chiesa".

Le prospettive della storia

Successione apostolica
e movimenti apostolici

Pone come prima questione: come appare l’esordio della chiesa?

(...) "Non sussiste alcun dubbio che gli immediati destinatari della missione di Cristo siano, dalla Pentecoste in poi, i Dodici, che ben presto troviamo denominati anche "apostoli". Ad essi è affidato il compito di recare il messaggio di Cristo "fino agli estremi confini della terra" (At 1, 8) L’area loro assegnata è il mondo. Senza delimitazioni locali essi servono alla creazione dell’unico popolo di Dio, dell’unica chiesa di Cristo. Gli apostoli non erano vescovi di determinate chiese locali, bensì, appunto, apostoli e, in quanto tali, destinati al mondo intero e all’intera chiesa da costruirvi: la chiesa universale precede le chiese locali, che sorgono come sue attuazioni concrete. (...)

Nella chiesa nascente, quindi, esistono con tutta evidenza, l’uno accanto all’altro, due ordinamenti che sono nettamente distinguibili: da una parte, i servizi delle chiese locali, che a poco a poco vanno assumendo forme stabili; dall’altra il ministero apostolico, che ben presto non è riservato unicamente ai Dodici. (...)

Mentre all’inizio abbiamo accennato al pericolo che il ministero presbiteriale possa finire con l’essere inteso in senso meramente istituzionale e burocratico e che se ne dimentichi la dimensione carismatica, ora si profila un secondo pericolo: il ministero della successione apostolica può intristirsi nell’espletare servizi al mero livello di chiesa locale, perdendo di vista e dal cuore l’universalità del mandato di Cristo; l’inquietudine, che ci spinge a portare agli altri il dono di Cristo, può estinguersi nella stasi d’una chiesa saldamente sistemata. Per dirla in termini più drastici: nel concetto di successione apostolica è insito qualcosa che trascende il ministero ecclesiastico puramente locale. (...) L’elemento universale resta una necessità imprescindibile".

E qui afferma che è proprio questa tesi che "ci conduce direttamente verso una collocazione ecclesiale dei movimenti".

"Nel secondo secolo i servizi ministeriali propri della chiesa universale scompaiono a poco a poco e il ministero episcopale li ingloba tutti. Per molti aspetti fu uno sviluppo non solo storicamente inevitabile, ma pure teologicamente indispensabile; grazie ad esso emersero l’unità del sacramento e l’intrinseca unità del servizio apostolico. Ma fu anche uno sviluppo che comportava dei pericoli. Fu perciò del tutto logico che già nel terzo secolo apparisse, nella vita della chiesa, un elemento nuovo che si può tranquillamente definire come un movimento: il monachesimo".

Di Antonio, agli esordi del monachesimo, e poi di san Francesco d’Assisi, il cardinal Ratzinger evidenzia "la volontà di perseguire la vita evangelica, la volontà di vivere radicalmente il Vangelo nella sua interezza".

"Insorge allora una nuova paternità spirituale, che non ha certo, alcun carattere direttamente missionario, ma che integra quella dei vescovi e dei presbiteri con la forza d’una vita vissuta in tutto e per tutto pneumaticamente".

Guardando poi alla storia della chiesa nel suo insieme il cardinale afferma:

"Vi appare evidente che per un verso il modello ecclesiale locale, decisamente improntato dal ministero episcopale, è la struttura portante e permanente attraverso i secoli. Ma esso è altresì percorso incessantemente dalle ondate di movimenti, che rivalorizzano di continuo l’aspetto universalistico della missione apostolica e la radicalità del Vangelo, e proprio per questo servono ad assicurare vitalità e verità spirituali. (...) Il papato non ha creato i movimenti, ma è stato il loro essenziale sostegno nella struttura della chiesa, il loro pilastro ecclesiale. (...) Movimenti, che travalicano l’ambito e la struttura della chiesa locale, e papato vanno sempre, e non per caso, fianco a fianco".

Fa quindi alcuni esempi storici: Cluny, san Francesco e san Domenico, i Gesuiti, i movimenti dell’Ottocento.

L’ampiezza del concetto
di successione apostolica

"In forza del sacramento, nel quale Cristo opera per mezzo dello Spirito Santo, la chiesa si distingue da tutte le altre istituzioni. Il sacramento significa che essa, provenendo dal Signore, vive e viene continuamente ricreata quale creatura dello Spirito Santo". (...)

"Il ministero dei successori di Pietro fa superare la struttura meramente localistica della chiesa. Il successore di Pietro non è solo vescovo locale di Roma, bensì vescovo per la chiesa intera e nella chiesa intera. Incarna perciò un aspetto essenziale del mandato apostolico, un aspetto che non può mai mancare nella chiesa. Ma nemmeno lo stesso ministero petrino sarebbe rettamente inteso e sarebbe travisato in una figura eccezionale mostruosa, qualora si addossasse soltanto al suo detentore il compito di realizzare la dimensione universale della successione apostolica. Nella chiesa devono sempre aversi anche servizi e missioni che non siano di natura puramente locale, ma siano funzionali al mandato che investe la realtà ecclesiale complessiva e alla propagazione del Vangelo".

Ed a proposito dei servizi il cardinal Ratzinger afferma:

"Il Papa ha bisogno di questi servizi e questi hanno bisogno di lui, e nella reciprocità delle due specie di missioni si compie la sinfonia della vita ecclesiale. L’era apostolica, che ha valore normativo, dà un risalto così vistoso a queste due componenti, da indurre chiunque a riconoscerle irrinunciabili per la vita della chiesa".

Distinzioni e misure

La relazione affronta quindi la questione dei criteri di discernimento.

"Ci si dovrebbe guardare dal proporre una definizione troppo rigorosa, poiché lo Spirito Santo tiene pronte in ogni momento delle sorprese, e solo retrospettivamente siamo in grado di riconoscere che le grandi diversità sono dominate da un essenziale fattore comune. (...)

Che cosa sia un movimento vero e proprio, probabilmente lo si può scorgere con la massima chiarezza nell’insorgenza e fioritura francescana del Duecento: i movimenti nascono per lo più da una personalità carismatica dominante, si configurano in comunità concrete, che in forza della loro origine rivivono il Vangelo nella sua interezza e senza tentennamenti riconoscono nella chiesa la loro ragione di vita, senza di cui non potrebbero sussistere. (...)

Il criterio essenziale è già emerso del tutto spontaneamente: è il radicamento nella fede della chiesa. Chi non condivide la fede apostolica non può accampare la pretesa dell’attività apostolica. Alla fede apostolica è necessariamente vincolato il desiderio di unità: di stare con i successori degli apostoli e col successore di Pietro, cui incombe la responsabilità dell’affiatamento tra chiesa locale e chiesa universale, quali unico popolo di Dio.

Vita apostolica chiama azione apostolica: al primo posto – ancora con modalità diverse – sta l’annuncio del Vangelo: l’elemento missionario. Quindi l’annuncio del Vangelo ai poveri. E all’evangelizzazione è sempre legato il servizio sociale. Tutto questo –per lo più grazie al travolgente entusiasmo che promana dal carisma originario – presuppone un profondo incontro personale con Cristo".

Il cardinal Ratzinger affronta quindi tanto i pericoli che si fanno visibili quanto le vie di santificazione che si danno nei movimenti.

"V’è la minaccia di unilateralità che porta ad esagerare il mandato specifico che ha origine o in un dato periodo o in forza d’un carisma. Che l’insorgenza spirituale cui s’appartiene sia vissuta non come una delle plurime forme d’esistenza cristiana, bensì come l’essere investiti dalla pura e semplice integralità del messaggio evangelico, è un fatto che può indurre ad assolutizzare il proprio movimento, che viene a identificarsi con la chiesa stessa, a intendersi come la via per tutti, mentre di fatto quest’unica via può essere fatta conoscere in modi disparati. Del pari e quasi inevitabile che dalla fresca vivacità e dalla totalità dell’insorgenza movimentistica derivi ad ogni piè sospinto anche la minaccia di scontro con la realtà parrocchiale: uno scontro in cui può darsi colpa da entrambe le parti, onde entrambe le parti subiscono una spirituale sfida alla coerenza cristiana. (...)

I movimenti sono un dono fatto alla totalità della chiesa e sono nella totalità, e alle esigenze di questa totalità devono sottomettersi, per restare fedeli all’essenziale che è loro proprio.

Ma occorre pure che si dica alto e forte anche alle chiese locali, anche ai vescovi, che non è loro consentito indulgere ad alcuna pretesa d’uniformità assoluta nelle organizzazioni e programmazioni pastorali. Non possono far assurgere i loro progetti pastorali a pietra di paragone di quel che allo Spirito Santo è consentito operare: di fronte a mere progettazioni può accadere che le chiese si rendano impenetrabili allo Spirito di Dio, alla forza di cui esse vivono. Non è lecito pretendere che tutto debba intassellarsi in un’organizzazione unitaria; meglio meno organizzazione e più Spirito Santo! Soprattutto non può darsi un concetto di comunione in cui il valore pastorale supremo consista nell’evitare conflitti. La fede è sempre anche spada e può esigere proprio il conflitto per amor di verità e di carità (cf Mt 10,34). Un progetto di unità ecclesiale in cui i conflitti fossero liquidati a priori come polarizzazione e la pace interiore fosse ottenuta a prezzo della rinuncia alla totalità della testimonianza, ben presto si rivelerebbe illusorio.

Non è lecito, infine, che s’instauri un certo atteggiamento di superiorità intellettuale per cui si bolli come fondamentalismo lo zelo di persone possedute dallo Spirito Santo e la loro candida fede nella Parola di Dio, e non si consenta nient’altro che un modo di credere per il quale il se e il ma sono più importanti della sostanza di quanto si dice di credere.

Per finire, tutti devono lasciarsi misurare col metro dell’amore per l’unità dell’unica chiesa, che rimane unica in tutte le chiese locali e, in quanto tale, si palesa continuamente nei movimenti apostolici. (...)

In questo luogo e in quest’ora, ringraziamo il Papa Giovanni Paolo II. Egli ci precede tutti nella capacità d’entusiasmo, nella forza del ringiovanimento interiore in grazia della fede, nel discernimento degli spiriti, nell’umile e ansioso lottare perché siano sempre più copiosi i servizi che si rendono al Vangelo. Egli ci precede tutti nell’unità coi vescovi di tutto il pianeta, che instancabilmente ascolta e guida. Grazie al Papa Giovanni Paolo II, che è per tutti noi guida a Cristo. Cristo vive e dal Padre invia lo Spirito Santo: questa è la gioiosa e avvivante esperienza che ci viene concessa proprio nell’incontro coi movimenti ecclesiali del nostro tempo".

a cura di Alberto Savorana