Un contributo alla chiarificazione dei rapporti trinitari dei movimenti carismatici fra loro, con la chiesa e con il mondo

 

I Movimenti ecclesiali,

dono dello Spirito al nostro tempo

Di Piero Coda

 

La descrizione dei movimenti ecclesiali come "dono dello Spirito al nostro tempo" è di Giovanni Paolo II. Egli sottolinea così, tra l’altro, che essi sono in singolare sintonia con l’evento del Concilio Vaticano II, il cui insegnamento – sono sue parole – "è essenzialmente pneumatologico" e "contiene ciò ‘che lo Spirito dice alle chiese’ (cf Ap 2, 29) in ordine alla presente fase della storia della salvezza" (DV 26; cf Tma 23). Approfondire, dunque, la realtà dei movimenti ecclesiali come "dono dello Spirito" significa collocarli, da un lato, nella prospettiva della missione dello Spirito nella storia della salvezza; e, dall’altro, in quella dell’autocoscienza e dell’autoconfigurazione della chiesa oggi. La presente riflessione si articola in questi due momenti.

I movimenti ecclesiali nell’orizzonte della storia della salvezza

Nella Dominum et Vivificantem, Giovanni Paolo II illustra la descrizione conciliare della chiesa in questi termini: "come sacramento (e cioè segno e strumento, in Cristo, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano), la chiesa si sviluppa dal mistero pasquale della "dipartita" di Cristo, vivendo della sua sempre nuova "venuta" per opera dello Spirito Santo, all’interno della missione stessa del Paraclito-Spirito di verità" (DV 63).

La chiesa, nata ai piedi della croce e manifestata a pentecoste1, è l’evento della permanente e sempre nuova venuta di Gesù crocifisso e risorto nel cuore dei discepoli e in mezzo a loro uniti nel suo nome (cf Mt 18, 20), operata dallo Spirito Santo.

Se, perciò, "è un fatto storico che la chiesa è uscita dal cenacolo il giorno di Pentecoste, in un certo senso si può dire – nota Giovanni Paolo II – che non lo ha mai lasciato. (...) l’evento della Pentecoste non appartiene solo al passato: la chiesa è sempre nel cenacolo, che porta nel cuore" (DV 66).

La missione dello Spirito
nella vita della chiesa

Il n. 4 della Lumen gentium, descrivendo la missione pentecostale dello Spirito Santo, sottolinea che il dono essenziale che Egli comunica ai credenti è la figliolanza di Dio in Cristo: "E che voi siete figli – insegna con vibrante certezza S. Paolo – ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà! Padre!" (Gal 4, 6, cf anche Rom 8, 15-16. 26). A tale dono sono finalizzati tutti gli altri.

In quest’ottica, la Lumen gentium continua dicendo che lo Spirito Santo "introduce la chiesa nella verità tutta intera (cf Gv 16,13) e la unifica nella comunione e nel ministero, la edifica e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici e la arricchisce dei suoi frutti (cf Ef 4, 11-12; 1 Cor 12, 4; Gal 5, 22). Con la forza del Vangelo mantiene la chiesa continuamente giovane, costantemente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo2. (...) Così la chiesa universale si presenta come "un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"3" (LG 4).

Si tratta di un testo pregnante4. Innanzi tutto, si mette in rilievo la scaturigine pneumatologica, in Cristo risorto, dell’essere e dell’agire della chiesa. Si richiama allo stesso tempo – con un uso linguistico che ha un chiaro sfondo scritturistico – la pluralità e diversità dei doni gerarchici e carismatici, sottolineando che essi hanno una stessa origine e uno stesso fine. Si insinua inoltre che la vita e la prassi ecclesiale, fondate ed espresse dai diversi doni dello Spirito, da un lato, presuppongono l’unità da cui scaturiscono e, dall’altro, sono chiamate a fruttificare nell’unità, attraverso la carità (cf Ef 4, 15). Il tutto nel contesto storico e dinamico di un continuo ringiovanimento e rinnovamento, attraverso il quale la chiesa cresce e matura anelando all’unione perfetta con lo Sposo. Infine, la citazione trinitaria di S. Cipriano non costituisce soltanto uno sguardo retrospettivo che riassume il disegno della salvezza, ma evidenzia che – per il dono e l’azione dello Spirito Santo – l’amore trinitario si oggettiva e si concretizza nelle relazioni di complementarietà e reciprocità tra i diversi doni che edificano la chiesa.

Questo, tra l’altro, è il significato del bel testo di Ireneo di Lione cui si rinvia in nota: "la chiesa per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso contenuto in un vaso di valore, ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che lo contiene. Alla chiesa, infatti, è stato affidato il Dono di Dio (cf Gv 4, 10) (...) affinché tutte le membra, partecipandone, siano vivificate; e in lei è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo (...). Infatti, nella chiesa Dio pose apostoli, profeti e dottori e tutta la rinnovante operazione dello Spirito (cf 1 Cor 12, 12-31). (...) Perché dove è la chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la chiesa e ogni grazia"5.

Seguendo l’insegnamento conciliare, si può affermare che lo Spirito Santo è donato e si dona "come forza efficace di rinnovamento e di unità: dove Egli è presente, là sorge la comunione, là l’umanità è adunata nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito, là è presente la chiesa: ubi Spiritus Dei, illic Ecclesia. D’altra parte, Egli è presente nella chiesa anche come frutto. Dove la prassi ecclesiale è operata en agápe, là egli diventa (in certo modo) qualcosa che prima non era: in-mezzo-persona della comunione ecclesiale, spazio d’azione condiviso e perciò unificante. (...). Dove i credenti vivono in comunione, (...) là egli viene trasmesso dalla stessa comunione ecclesiale: ubi Ecclesia, ibi et Spiritus Dei"6.

Focalizzando l’attenzione sui "doni carismatici", Lumen gentium 12 – come noto – precisa ulteriormente questo pensiero.

In più di un’occasione, Giovanni Paolo II riferisce ai movimenti ecclesiali le espressioni conciliari di LG 4 e 127.

E von Balthasar commenta, dato che il ministero ordinato nasce e si nutre pure esso di un dono dello Spirito, che la chiesa tutta, per opera dello Spirito Santo, è fondata "sul carisma oggettivo e soggettivo"8.

Se, infatti, i doni ministeriali e sacramentali comunicano al Popolo di Dio l’oggettività del mistero di Cristo, quelli carismatici in senso più specifico e ristretto sono indirizzati a dischiudere e a maturare in forma sempre nuova l’accoglienza del mistero di Cristo nella soggettività dei singoli credenti e della chiesa. Accoglienza che s’esprime in tre atteggiamenti che definiscono la relazione della chiesa al suo Signore: l’apertura verginale al dono che le viene da Dio in Cristo; la comunione sponsale con Lui e, in Lui, tra le sue membra; la fecondità materna nel generare nuovi discepoli e nel far crescere i credenti sino alla piena maturità di Cristo (cf Ef 4, 13).

Il significato storico ed ecclesiale
della novità dei "doni carismatici"

Resta da dire una cosa a proposito di questo primo profilo. Più volte, nei testi di Giovanni Paolo II, ritorna la connotazione di "novità" in riferimento ai doni carismatici. Il fatto è che essi "possono assumere le forme più diverse, sia come espressione dell’assoluta libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle esigenze molteplici della storia della chiesa" (ChL 24). Pur essendo imprevedibile e assolutamente gratuita, l’azione dello Spirito nella storia punta infatti alla realizzazione progressiva del mistero di salvezza: "Cristo in voi, speranza della gloria" (cf Col 1, 27).

C’è infatti una storia dei carismi che s’intreccia indissolubilmente con la storia stessa della chiesa.

Ciascuno di essi – scrive von Balthasar – è come un "lampo dal cielo", destinato a illuminare un punto unico e originale della volontà di Dio per la chiesa in un dato tempo, manifestando "un nuovo tipo di conformità a Cristo ispirato dallo Spirito Santo, e pertanto una nuova illustrazione di come dev’essere vissuto il Vangelo (...) una nuova interpretazione della rivelazione"9.

È qui che si fonda la novità tipica dei doni carismatici. Non si tratta di una novità assoluta: perché Dio Padre donandoci il Figlio suo fatto carne ci ha detto e donato in Lui ogni cosa. La novità sta nel fatto che lo Spirito Santo di tempo in tempo mette in rilievo, illumina, rende operante un aspetto particolare dell’inesauribile mistero di Cristo. Quell’aspetto che, nella logica del disegno provvidenziale che guida la storia, è risposta sovrabbondante alla domanda di una determinata epoca, e attua un nuovo kairós della venuta di Dio tra noi. Tutto ciò è conforme alla promessa di Gesù: "quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera (...) perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà" (Gv 16, 13-15).

Proprio perché è essenzialmente relativa alla pienezza di verità e di grazia che è già tutta data in Cristo Gesù (cf Gv 1,17), la novità del dono e dell’annuncio di Cristo che viene alla chiesa dai carismi, dispensata lungo il corso della storia dallo Spirito, non può non rappresentare un incremento inedito nell’autocoscienza ed anche nell’autoconfigurazione della chiesa stessa10, nella continuità sostanziale del "deposito della fede".

I movimenti ecclesiali
nell’orizzonte dell’autocoscienza
e della missione della chiesa oggi

Veniamo così al secondo profilo: qual è la parola, quale il dono che lo Spirito Santo, anche attraverso i movimenti, intende dire e partecipare alla chiesa oggi?

Per cercare di delineare un tracciato di risposta, mi pare occorra tener conto di tre elementi.

Novità del tempo, originalità
dei carismi e recezione del Vaticano II

Innanzitutto, della "qualità" del nostro tempo, con le sue istanze, i suoi interrogativi, i suoi problemi, le sue derive, le sue speranze. In secondo luogo, dell’originalità dei doni carismatici che stanno all’origine dei movimenti e delle forme e dei frutti di vita evangelica che li esprimono: la forma in cui un carisma si configura – nonostante le condizionatezze storiche e i limiti umani – non è estranea e neppure accidentale rispetto al contenuto del carisma stesso.

Mettendo in rapporto il primo elemento con il secondo, bisogna ricordare che essi s’illuminano vicendevolmente, anche se in misura diversa: per cui, ad esempio, può essere che proprio un carisma donato da Dio aiuti la chiesa a discernere il più profondo significato della domanda del proprio tempo; mentre può essere che un carisma donato da Dio prenda progressivamente consapevolezza della sua missione a contatto con le urgenze che gli vengono dalla situazione del tempo.

Ma c’è un terzo, essenziale, elemento che va considerato. Esso è rappresentato dall’autocoscienza ecclesiale autorevolmente espressa dal magistero autentico della chiesa. Quest’ultimo, da un lato, manifesta la continuità apostolica e l’unità cattolica del mistero e dell’istituzione ecclesiale; dall’altro, esprime il discernimento non solo dell’evangelicità del carisma, ma della sua contemporaneità alle esigenze della chiesa e del mondo e la garanzia delle modalità attraverso cui essa può realizzarsi e diventare feconda.

Nel nostro caso, si tratta dell’insegnamento del Vaticano II. Un parallelo storico: il Concilio di Trento non sarebbe passato nel vissuto della chiesa cattolica, senza che, accanto a figure di eccezionali pastori come san Carlo Borromeo, vi fossero anche dei carismi – come quello ignaziano, per non portare che un esempio – in grado di assumere in modo esemplare e propulsivo le spinte riformatrici emerse dall’assise conciliare. Anche oggi il popolo di Dio è chiamato alla recezione fedele e creativa a un tempo dell’insegnamento del Vaticano II. E non mancano, accanto a figure esimie di pastori che passeranno alla storia, iniziative d’ogni genere che hanno permesso un pervasivo impatto della lettera e dello spirito del Concilio nella realtà delle chiese particolari. Niente vieta però che, anche oggi, lo Spirito voglia dare il suo contributo non solo attraverso carismi più diffusi, ma anche attraverso carismi speciali11.

Per quanto riguarda il discernimento del tempo presente mi limito a richiamare due dati. Il primo – che riguarda particolarmente il mondo occidentale, ma ha in realtà una ripercussione universale – concerne quella che possiamo chiamare la fine della modernità, vale a dire, nel bene e nel male, la conclusione di un’epoca storica in cui s’è sperimentato un modello d’umanesimo centrato sull’affermazione del soggetto-uomo in una contrapposizione programmatica all’alterità, fosse essa quella di Dio o dell’altro uomo: sia a livello individuale che collettivo. Dissolti, anche tragicamente, i grandi "racconti ideologici", ci troviamo in un grande spazio aperto che attende il nuovo.

Un secondo dato riguarda il cammino irreversibile verso l’acquisizione di una coscienza planetaria della famiglia umana, che richiede la comprensione e la gestione delle differenze (di cultura, di tradizione, di religione, ecc.) in un contesto d’apertura all’altro e di relazionalità reciproca, a tutti i livelli (politico, economico, culturale e spirituale). Anche in questo caso, l’umanità è sollecitata a varcare una soglia di novità impegnativa e rischiosa.

Sullo sfondo di questo quadro, diventa sorprendentemente attuale l’autocoscienza espressa dal Concilio Vaticano II sin dal primo numero della Lumen gentium: "la chiesa, in Cristo, sacramento d’unione con Dio e d’unità di tutto il genere umano". Il che significa che Dio e l’essere umano, l’io e l’altro non sono concorrenti dialettici secondo la logica duale del servo/padrone, ma in Cristo sono accolti, rivelati e redenti nello spazio della reciprocità trinitaria: quella che sussiste tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo12. Una reciprocità che si realizza – come insegna Gaudium et spes 24 – "attraverso il dono sincero di sé" (cf Lc 17, 33), che Cristo Gesù ha rivelato e realizzato in pienezza nella kenosi dell’abbandono e della morte in croce.

È in questo contesto che si collocano l’identità e la missione di questi doni dello Spirito. Per illustrarle in breve, possiamo seguire la lettura ecclesiologica del Vaticano II che Giovanni Paolo II ci offre attraverso il ritmo di mistero, comunione e missione.

I movimenti e il mistero della chiesa

Innanzi tutto, la riscoperta della chiesa mistero.

Riscoprire (e vivere) la chiesa come mistero significa metterne in luce la realtà di sacramento del Cristo: la chiesa come presenza di Cristo, anzi "il Cristo presente" (secondo l’espressione di D. Bonhoeffer). Non solo nel senso che è generata, nutrita e guidata dalla Parola, dai sacramenti e dal ministero ordinato, ma – di conseguenza – nel senso che è come comunità dei discepoli il segno e lo strumento dell’incontro con Cristo risorto. E proprio questa – mi sembra – è la peculiarità dei movimenti ecclesiali: rendere evento la presenza di Cristo, l’Emmanuele, attraverso la comunione dei discepoli.

Un secondo aspetto della riscoperta della chiesa mistero, riguarda la sua comprensione sponsale. Essa non è soltanto (nel già/ma non ancora dell’escatologia cristiana) una cosa sola col Cristo, ma è anche di fronte a Lui come la Sposa che è chiamata a rivestirsi nello Spirito della veste nuziale della santità. Ora, i movimenti ecclesiali tracciano una via di santità non elitaria, ma aperta a tutti. Come nota von Balthasar, proprio ad essi sembra che la Provvidenza abbia affidato concretamente, anche se evidentemente in modo non esclusivo, l’animazione e la messa in pratica del programma conciliare della chiamata universale alla santità (LG, 5), e della presenza decisiva del laicato nella chiesa e nel suo apostolato nel mondo (LG, 4 e AA,)13.

I movimenti e la chiesa comunione

Occorre poi notare, in secondo luogo, la contemporaneità del fenomeno dei movimenti con l’insegnamento dell’ecclesiologia del popolo di Dio e della comunione. In essa, non solo si riconosce di fatto uno spazio ai carismi, come sempre è avvenuto nel corso della storia della chiesa, ma lo si riconosce in modo strutturale come necessaria condizione dell’autoesplicazione della figura della chiesa comunione nell’oggi14; e al tempo stesso si sottolinea – più che non in passato, e certamente con una maggiore consapevolezza – la condivisibilità del carisma da parte di un gruppo di cristiani come qualificante la stessa edificazione del corpo ecclesiale e la sua missione evangelizzatrice (cf ChL 24. 29).

Questa annotazione ci conduce a focalizzare una costitutiva caratteristica dei movimenti: l’ecclesialità. Essi sono costituzionalmente aperti a tutte le vocazioni e a tutti gli stati di vita presenti nel popolo di Dio.

Con la necessaria prudenza, tale configurazione ecclesiale suggerisce che il carisma che ne sta all’origine non è in contrasto, ad esempio, con la spiritualità e gli impegni ministeriali del presbiterato né con il carisma della vita consacrata suscitata e plasmata secondo le diverse spiritualità, ma può entrare in provvidenziale sinergia con essi.

J. Beyer ha sottolineato, in proposito, che "la nozione stessa di comunione (...) non riesce comprensibile se non si rende visibile nella chiesa viva. Proprio per far comprendere e sperimentare tale comunione sembrano nate queste nuove forme" di vita cristiana15. I movimenti ecclesiali, accanto ad altre forme ed esperienze, possono così venire incontro a quel bisogno di "scuole di ecclesiologia di comunione" necessarie per tradurre in atto gli insegnamenti del Concilio sulla base di una conversione a quella spiritualità comunionale, che è esigita appunto dalla figura della chiesa comunione.

Tale rapporto di reciprocità complementare o circolarità tra le diverse vocazioni ecclesiali deve trovare a sua volta riscontro nelle relazioni tra i movimenti e la chiesa (universale e particolare) e in quelle tra i movimenti nella chiesa.

San Bernardo di Chiaravalle, parlando del suo ordine e del rapporto con gli altri scriveva: "Io li ammiro tutti. Tengo ad uno di essi con l’osservanza, ma a tutti nella carità. Abbiamo bisogno tutti gli uni degli altri; il bene spirituale che io non ho e non possiedo, lo ricevo dagli altri... In questo esilio, la chiesa è ancora in cammino, e se posso dire così, plurale: è una pluralità unica e una unità plurale. E tutte le nostre diversità che manifestano la ricchezza dei doni di Dio, sussisteranno nell’unica casa del Padre, che comporta tante dimore. Adesso c’è divisione di grazie; allora ci sarà distinzione di glorie. L’unità, sia qui che là, consiste in una medesima carità"16.

I movimenti e la chiesa missione

Un discorso analogo si può fare sotto il profilo della missione. Balza agli occhi, infatti, non solo la sintonia che i movimenti ecclesiali naturalmente manifestano con l’appello alla "nuova evangelizzazione", ma anche la capacità che mostrano di farsi strumenti di apertura e trasmissione della fede in Gesù Cristo, non da ultimo perché hanno la possibilità di testimoniare l’evangelico: "Venite e vedrete" (cf Gv 1, 39).

Di fronte alla sfida della postmodernità e della planetarizzazione, diventa infatti urgente un ritorno all’esperienza originaria del Vangelo in grado di render presente il lievito del Regno di Dio nei luoghi umani dove si gioca il futuro del terzo millennio. Ma ciò è possibile solo là dove anche la forma dell’evangelizzazione è "nuova", in quanto capace di mostrare la novità di Gesù Cristo oggi, nella vita dei credenti e nella forma del loro relazionarsi agli altri, in un contesto epocale per molti versi inedito.

In quest’ottica, anche l’aspetto culturale dell’evangelizzazione e dell’impegno nel mondo acquista la sua importanza.

Occorre non trascurare la possibilità, che solo in futuro potrà essere fondatamente verificata, che nei carismi originari vi siano anche delle implicazioni concernenti la comprensione/attualizzazione della rivelazione a partire da un particolare punto prospettico, in accordo alla necessità di una "concentrazione della fede" per un suo più incisivo annuncio e una più profonda assimilazione esistenziale e fecondità socio-culturale.

Degno di approfondimento sarebbe, infine, il significato dei movimenti ecclesiali nel dialogo ecumenico e interreligioso. Ciò comporta il singolare fenomeno della partecipazione allo spirito e anche alla vita di alcuni tra essi di cristiani di altre chiese e, talvolta, anche di credenti di altre religioni o di persone di "buona volontà". Il fatto riveste una rilevanza anche ecclesiologica, come fa notare la Christifideles laici (n. 33).

Dal punto di vista ecumenico, tutto ciò non significa forse una realizzazione spirituale e pratica di quella comunione reale, anche se non perfetta, in cui – secondo il Concilio – sono costituiti tutti i battezzati in Cristo (cf UR 3)? Se ciò è vero – scriveva già nel 1933 il teologo ortodosso S. Bulgakov – allora "è dovere d’amore ecclesiale e insieme convenienza pratica, percepire e rendere manifesto il fondamento spirituale dell’ecumenismo cristiano, non solo come idea, ma anche come fatto esistente, dono della grazia. A noi è dato di sperimentarlo come soffio della grazia dello Spirito Santo, come manifestazione della Pentecoste, quando gli uomini cominciano a comprendersi vicendevolmente nella diversità delle loro lingue"17.

Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, non si tratta forse di segni provvidenziali della possibilità dischiusa oggi per la chiesa dallo Spirito Santo di entrare "in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario" (cf ChL 35), attraverso la quale – nella luce di quella Verità che illumina ogni uomo (cf Gv 19, 9; NA 2) – anche le grandi tradizioni culturali e religiose, senza rinnegare le loro autentiche ricchezze, potranno essere trasfigurate dall’incontro con Cristo crocifisso e risorto?

I movimenti ecclesiali
nell’orizzonte del principio mariano

Una parola per concludere. Vorrei riferirmi a quel "principio mariano" della chiesa in cui von Balthasar rammemora la grande lezione della tradizione attualizzandola, alla luce dei dogmi mariani degli ultimi due secoli e dell’insegnamento conciliare su "Maria nel mistero della chiesa" (LG, 8), nel kairós di Dio del nostro tempo, e insieme la rilancia verso il futuro18.

Se, infatti, il significato primo e ultimo dell’evento chiesa è la generazione di Cristo "tutto in tutti" (Col 3, 11), occorre penetrare nella profonda verità lapidariamente espressa da san Luigi Maria Grignion de Montfort: due soli sono atti a generare insieme, in sinergia, il Figlio di Dio nella carne – e, in lui, anche noi tutti come figli del Padre – lo Spirito Santo e Maria.

Poiché sono un dono dello Spirito, i movimenti ecclesiali non possono non aver a che fare con Maria.

Giovanni Paolo II, in una memorabile allocuzione alla Curia Romana, ha parlato del profilo mariano come altrettanto – se non più – fondamentale e caratterizzante per la chiesa di quello apostolico-petrino19.

Dal canto suo, von Balthasar indica come esigenza della chiesa di oggi l’attivare in tutto il popolo di Dio – gerarchia, laici, consacrati – la forma mariale del proprio essere chiesa. E riconosce nei movimenti uno stimolo e una chance provvidenziale in questa direzione.

La loro origine carismatica e il primato della spiritualità che li caratterizza, il prevalente profilo laicale e insieme l’indiscussa ecclesialità, l’accentuata dimensione comunionale e insieme evangelizzatrice, così come l’apertura autenticamente dialogica e conviviale ma non compromissoria verso i cristiani delle altre chiese e i seguaci delle altre religioni mettono in rilievo il carattere mariano della loro identità e della loro missione.

La vita di Maria plasmata e condotta dallo Spirito è un "lasciar che accada", nella storia dell’umanità, l’avvento del Dio Uno e Trino20: nei rapporti tra le persone e anche tra le forme sociali in cui esse s’organizzano.

Di qui – scrive von Balthasar, e con queste parole mi piace terminare – l’invito a guardare a Maria come "lo stampo su cui dovremmo essere modellati. Noi: vale a dire ogni singolo cristiano; ma forse ancor di più: la stessa immagine che abbiamo della chiesa. Siamo continuamente impegnati a riformare e ad adeguare questa chiesa alle necessità dei tempi, badando alle critiche degli avversari e secondo schemi nostri. Ma non perdiamo così di vista l’unico perfetto metro di misura, e precisamente il prototipo? Non dovremmo, nelle nostre riforme, tenere in permanenza lo sguardo fisso su Maria (...) semplicemente per imparare a capire che cos’è la chiesa, e a discernere l’autentico spirito ecclesiale?"21.

Piero Coda