Uomini di Dio pieni di vita

 

Un giorno un seminarista sedicenne mi viene incontro nel corridoio, ci salutiamo e si instaura un breve colloquio. “Padre – mi dice –, lei certamente ha una donna!”. “Come mai ti sei fatta questa idea?”, gli chiedo. Ed egli: “Perché la vedo sempre così felice, e questo già di buon mattino quando viene nel refettorio”. “Non credi che Dio mi possa fare così felice?” gli rispondo. Il giovane per un momento rimane in silenzio, abbastanza pensoso. Poi ci salutiamo». A raccontarci quest’episodio è stato il padre spirituale di un seminario minore dell’Austria.

Da un altro Paese, un sacerdote ci riferisce le impressioni di un giovane che sente la chiamata al sacerdozio e che ha fatto con lui un tirocinio di vari mesi: «Finora – ha affermato questo giovane – ero certamente molto credente, pregavo, andavo a messa. Ma vivere da cristiano? Pensavo che significa “essere gentili”. Ora so che è una cosa ben precisa: donarsi, donare la vita ad ogni persona. Sono molto grato per questa scoperta».

Due esempi di sacerdoti “riusciti”. E due incontri provvidenziali, perché troppo facilmente succede che la testa di chi si prepara al sacerdozio si riempie di concetti, ma sotto sotto rimane o si crea un vuoto esistenziale. E non perché non ci fosse una vera chiamata, ma perché solo una vita di donazione può dare il senso di vivere a pieni polmoni.

È questa la sempre rinnovata scoperta che fanno seminaristi del mondo intero. Ed è una scoperta che irradia. Scrive Christian, seminarista di Caracas in Venezuela: «L’altro giorno, nella Settimana internazionale della poesia, è stato presentato il mio libro dedicato a Gesù crocifisso e abbandonato. Ne ha parlato con molto rispetto e con ammirazione lo stesso presidente della Casa nazionale della letteratura, una persona che finora non si era mostrata molto vicina al cristianesimo. “Quando mi sono accostato a queste poesie – egli ha detto – ho trovato qualcosa di antico, di grande saggezza. Per me è stata una sorpresa conoscere poi l’autore: un giovane! Ma dopo mi sono reso conto che dietro la sua voce vi era l’esperienza di un Dio molto concreto, anzi di un Dio che grida l’abbandono”.

Per la presentazione – racconta ancora Christian – ho scelto le pagine che mi sembravano meglio esprimere la luce del Cristo crocifisso. Era mio desiderio portare luce a tanti ciechi e dare voce a tanti muti. Alla fine si sono avvicinati molti e qualcuno mi diceva che aveva comprato subito il libro “per mettersi un po’ in quel mistero” di cui aveva sentito parlare».

 

Dio nella mia vita

Un seminarista argentino racconta la crisi e la rinascita della sua vocazione al sacerdozio.

L’anno scorso ho fatto un’esperienza
pastorale. Lavoravo come insegnante in tre collegi, studiavo al mattino in seminario e alla sera in un altro istituto. A metà anno, preso dalla stanchezza, ho cominciato ad avvertire una crisi vocazionale. Partecipavo alla messa con svogliatezza e la mia
preghiera si era ridotta notevolmente.
Inoltre, una alla volta, tre ragazze mi hanno proposto di uscire con loro. Una mi ha detto apertamente di voler fidanzarsi con me. Tutto questo mi ha messo in discussione
e ho vissuto un periodo di molta oscurità.

Ad un certo momento ho notato in
parrocchia una giovane che veniva tutti i giorni a messa. Mi ha colpito l’intensità con cui pregava. L’ho invitata a un ritiro
vocazionale. Durante il viaggio mi ha detto che era una gen1 e mi ha raccontato come cercava di “amare per prima” all’università, in famiglia, con gli amici. Al ritorno, ho avuto modo di conoscere anche la sua
famiglia e con sorpresa ho constatato che tutti insieme cercavano di vivere il Vangelo radicalmente.

Questa loro testimonianza mi chiamava ad alta voce a una conversione. Avrei potuto forse insegnare loro molte cose, ma mi
rendevo conto di aver ben poca esperienza nell’amare concretamente. Ho conosciuto in seguito la “Parola di vita” ed ho cominciato ad attuare il Vangelo nel quotidiano e a
mettere in comune con altri le esperienze.

Assieme ad alcuni gen ci siamo messi a
preparare fettine di soia alla milanese per una mensa di bambini. Innanzi tutto, ci siamo proposti di “amare per primi”. Anche se non conoscevo nessuno, ho cercato di scoprire in che modo potevo servire.
Preparavo le fettine, le portavo in tavola, lavavo i piatti, pulivo. Solo alla fine gli altri hanno scoperto che ero seminarista. Per la prima volta in mezzo ai giovani non ero stato a capo, ma al servizio. Ero felice.

Dio cominciava a mostrarmi che mi amava immensamente. E’ iniziata un’avventura
esigente che mi faceva stare continuamente alla presenza di Gesù. Non si trattava di fare qualcosa di diverso, ma di vivere ogni cosa con intensità: la messa, la preghiera, lo
studio, le lezioni. In una parola: di vivere il Vangelo.

Ed intanto ho continuato a insegnare. Ho cercato di scoprire e amare Gesù in
ciascuno, e ogni volta ho ricevuto più di quello che avevo dato. Ed era sempre più profonda la relazione con gli altri professori. La gen, in mezzo a tutti i suoi impegni, spesso mi ha procurato del materiale che poteva essere utile per le lezioni. Era
difficile comprendere tanto amore
disinteressato.

Un giorno qualcuno mi ha proposto di
dedicare una parte delle vacanze estive per fare un’esperienza nella Mariapoli di
O’Higgins
2 . Ho accettato e ci sono andato. Che luogo speciale! Al mio arrivo, un
giovane mi ha offerto il pranzo. Ho poi avuto un colloquio con uno dei responsabili della cittadella. Mi ha spiegato che la
Mariapoli aveva una sola legge: amare per primi. Ogni sua parola penetrava nel mio cuore ed era un invito a vivere il momento presente con intensità. Il lavoro, la messa, la meditazione, la convivenza con gli altri gen in casa, sono state continue occasioni per
imparare ad amare.

Di ritorno alla mia città, ho ripreso la vita di seminario. Ho cercato di vivere ogni momento in profondità e di amare Gesù negli altri.

Coi miei compagni di corso abbiamo ogni mese un momento di preghiera, ma nessuno ne era gran che entusiasta. Nell’imminenza di uno di questi appuntamenti, sono andato da un fornaio, ho comprato biscotti, ho
preparato del caffè ed ho predisposto tutto nella sala. Quando gli altri sono arrivati, sono rimasti molto sorpresi. Si è creato un clima di grande apertura e abbiamo avuto un dialogo profondo. E’ seguita la preghiera prevista. Così per tre mesi. Ora un
compagno mi ha offerto soldi per le spese del prossimo incontro.

Un altro fatto. In seminario abbiamo una sola lavatrice, di cui ciascuno si serve per fare il bucato. Quando andiamo in
lavanderia, spesso troviamo la lavatrice ancora carica. Si usa allora tirar fuori la biancheria già lavata e metterla in una
bacinella. E’ solito pure lasciare la roba sporca vicino alla lavatrice, perché non la occupi nessun altro. Senza dir nulla a
nessuno, ho cominciato a stendere e a stirare la biancheria che trovavo nella lavatrice o nella bacinella. E se trovavo vestiti sporchi, li ho lavati col mio sapone. Nel frattempo alcuni hanno cominciato a fare altrettanto e ciò ci ha fatto sentire più famiglia.

Ormai è un anno da quando Dio è entrato in modo nuovo nella mia vita. Sono felice
perché ogni momento è speciale,
un’occasione per amarlo. Ho sperimentato quanto un giorno ha scritto Igino Giordani: «Nell’inverno dell'uomo, è cominciata la
primavera di Dio». (J.G.)

 

 

1)         I gen sono i giovani aderenti al Movimento dei focolari.

2)               Si tratta di una delle cittadelle del Movimento dei focolari, nelle vicinanze di Buenos Aires.

 

 

 

Il mio SI’

 

«Ad un mese esatto dalla mia ordinazione diaconale, giocando a calcio mi sono
infortunato. Mentre ero disteso per terra in attesa dell’autoambulanza, mi è passato
dentro tutto ciò che avrei dovuto fare nei giorni successivi, ma per grazia di Dio ero sereno. Era chiaro che si trattava di Gesù crocifisso che veniva a visitarmi. Egli mi spingeva ad amare i forti dolori al ginocchio e anche le persone che mi stavano attorno.

In ospedale, si è capito ben presto che
l’incidente era abbastanza serio e che
occorreva un’operazione. Il pensiero è
andato subito all’ordinazione che rischiava di saltare, ma guardando il crocifisso appeso sulla parete ho sentito che, al di là di tutto, quello che contava era solo lui e basta. Naturalmente, questa scelta andava poi
rinnovata in ogni istante, soprattutto nelle prove più piccole e quotidiane.

Grazie al dolore amato, ma anche grazie a tante persone che mi sono state vicine, in quei giorni sono cadute numerose grazie non solo su di me ma pure su di un parente.
Sentendosi amato, ha scoperto di poter
credere e sperare anche nelle situazioni
difficili ed è nato in lui il desiderio di
accostarsi dopo tanti anni nuovamente ai sacramenti.

Quando il 17 aprile sono stato ordinato, anche se ingessato alla gamba, è stato un momento speciale. Quella sera il Signore è passato nei cuori di tanti. Dentro di me risuonava forte una sola idea: «Mi sono donato a Dio, posso aspettarmi di tutto».

Quel Dio per me era Gesù crocifisso ed egli ben presto si è presentato in grande stile. Quest’estate, infatti, è stata segnata da un tragico evento: la partenza per il Cielo di Nicole, mia nipote di due anni e mezzo, a causa di un incidente in casa. I suoi genitori  sono un po’ lontani dalla fede e per loro questa sciagura era un fulmine a ciel sereno.

L’ordinazione diaconale era stata per la mia famiglia un momento di tante grazie. Come era possibile che quel Dio che avevo scelto di seguire avesse permesso che capitasse un incidente del genere? Era la domanda che mi sono sentito rivolgere da persone alle quali sembrava a questo punto che Dio non esistesse.

Come poter testimoniare il suo amore,
l’amore di un Padre, in questa situazione? Ho riscelto ancora una volta il Cristo
crocifisso e abbandonato come il tutto della mia vita. Ho quindi chiesto per la mia
famiglia la forza per superare questo momento così difficile. Poi mi sono detto di non dover parlare ma solo amare nel
silenzio e offrire a Dio tutto quello che
potevo per lenire un po’ le loro sofferenze.

Il giorno del funerale non ho potuto non dare la mia testimonianza. Ho detto con tutta la forza di credere che Dio è amore e che proprio in momenti come questi non ci lascia soli ma ci sorregge e ci aiuta ad
andare avanti. Ed ho raccontato l’esperienza della morte di mia madre. In molti queste mie parole hanno lasciato un segno.

Chiedo ora la grazia che anche i genitori della piccola Nicole possano scoprire che Dio non è lontano da loro”. (M.F. - Italia)

 

 

Dal Centrafrica

 

Come di consueto, noi seminaristi, che cerchiamo di vivere l’Ideale dell’unità, scegliamo per la quaresima un impegno speciale per vivere meglio questo tempo di conversione che la Chiesa ci propone. Quest’anno la scelta non era facile. Alla fine, abbiamo optato di aiutare una donna che abita accanto al seminario e la cui casa era pressoché diroccata.

Abbiamo deciso di rinunciare al pane, a pranzo e a cena, e ci siamo accordati coi responsabili che ci avrebbero dato la somma corrispondente. I soldi raccolti sarebbero stati usati in seguito a ristrutturare la casa di quella signora.

All’inizio eravamo solo noi a portare avanti questo progetto. Ma quando ne abbiamo messo al corrente tutta la comunità, con nostra sorpresa altri 40 seminaristi hanno voluto unirsi a noi. I soldi risparmiati erano largamente sufficienti per poter ricostruire la casa di questa donna bisognosa che era per di più considerata una strega dalla gente.

Al momento di prendere le necessarie informazioni per il rifacimento, ci siamo resi conto che il terreno non era di proprietà della signora e che c’era anzi in corso un procedimento per mandarla via. Il nostro compito si è fatto più impegnativo. Sentivamo però che questo era un motivo in più per non stare con le mani in mano e far tutto il possibile per poter assicurare a questa donna una casa.

Abbiamo chiesto al capo del quartiere di delimitare un terreno dove avremmo potuto costruire la casa, un’impresa tutt’altro che facile, visto che la donna era ritenuta una strega. Alla fine, una coppia cristiana ci è venuta in aiuto offrendoci una parte della loro proprietà. Per poter stare tranquilli, abbiamo chiesto loro di formalizzare anche legalmente questa donazione, in modo da mettere la donna al riparo da eventuali rivendicazioni future dei figli o di altri parenti prossimi, qualora essi venissero a mancare.

Al termine della quaresima, grazie anche al sostegno del nostro economo, avevamo raccolto la somma necessaria per poter realizzare la costruzione. Abbiamo incaricato due di noi per seguire i lavori durante il periodo delle vacanze. Alcuni nostri compagni che non avevano aderito all’iniziativa, in seguito ne sono rimasti dispiaciuti e hanno cominciato a condividere il loro pane con noi. Altri ci hanno ringraziato per aver proposto una tale idea.

Ormai la costruzione è quasi completata e la nostra gioia è immensa, perché Dio ancora una volta ci ha dato l’opportunità di testimoniare il suo amore nei confronti del prossimo. «Ogni volta che avete fate queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».