Flash di vita

«Dimenticati da Dio
e dagli uomini»

Un nostro lettore, parroco sulle montagne del Perù in un’area più vasta di tante diocesi europee, ci comunica una sua interessante esperienza.

Dal 21 giugno al 2 luglio di quest’anno ho fatto una visita pastorale (senza essere vescovo!) nel sud della provincia di Bolivar: a Bambarnarca e a Condormarca. Per raggiungere queste due comunità ai confini della mia parrocchia molto estesa, ho viaggiato 15 ore a cavallo e a piedi. È stata un’esperienza meravigliosa.

Fino al 2003 questa zona è stata assistita sporadicamente dai francescani che venivano da Huamachuco o Sartimbamba, quando era loro possibile.

Durante questo viaggio nel mio cuore si alternavano due sentimenti molto forti: dolore e gioia.

Si ripercuoteva in me il dolore dei fratelli che vivono in questa terra, isolati da tutto e affondati in una povertà inimmaginabile: senza strada pubblica, senza mezzi di comunicazione, senza luce elettrica, senza la nostra “povera e cattiva Tv”, senza movimento economico, dimenticati dallo Stato e, perché non dirlo, anche dalla Chiesa.

Ho trovato delle comunità che non ricevevano la visita del sacerdote da quattro anni, altre da sei, altre da otto e altre ancora da ben nove anni. In certi villaggi non ci sono chiese ed in altri sono molto deteriorate o diroccate. Ma, nonostante l’abbandono in cui vivono, questi fratelli mi hanno edificato per il loro coraggio e per la forza della loro fede, perché lasciano subito intravedere la sete di Dio che hanno nel cuore.

In Condormarca – il villaggio a cui fanno riferimento ben 12 comunità e dove il sacerdote non era andato da otto anni – ho vissuto due esperienze speciali.

Arrivato nella piccola piazza, pensavo di andare, come faccio sempre, prima di tutto in chiesa per ringraziare Dio. Ma la chiesa aveva solo le pareti laterali, mentre il tetto era a terra. Un brivido ha attraversato la mia anima. Volevo piangere, ma non mi riusciva: sono rimasto senza parole, come un muto, e in quel silenzio nella mia mente risuonava questo lamento: «Non può essere, mio Dio!».

Mi si avvicinò una signora e mi disse: «Qui noi siamo dimenticati anche da Dio». Queste parole attraversarono la mia anima come una spada. Mi sembrava di ascoltare un’eco del grido di Gesù in croce: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?».

Ho fatto mio quel dolore cercando di dare tutto di me per far nascere il Risorto, per essere la sua presenza viva attraverso un sorriso, le poche o molte parole che potevo dire, nell’accogliere le persone, nell’ascoltare le confessioni, nel celebrare la messa... Potevo allora dire loro: «Dio non vi ha abbandonati. Egli è qui, in mezzo a noi che ci amiamo, perché il suo Figlio Gesù ha detto: “Dove sono due o più riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”».

Ma in questo viaggio ho sperimentato anche una gioia nuova ed immensa. La visita del sacerdote era sempre una festa per tutti. La maggior parte delle volte ho celebrato la messa in chiesa di sera alla luce di una sola candela, nella quasi oscurità, perché la gente non solo non ha la luce elettrica, ma non ha neanche i soldi per comprare le candele!

C’era però luce nei cuori. Abbiamo cantato, abbiamo pregato e a lungo. C’era un tale clima di paradiso che nessuno voleva tornarsene a casa.

Durante questa visita Dio mi ha fatto rivivere i primi passi della mia vocazione, quando 25 anni fa viaggiavo molte ore insieme ai catechisti, visitando le comunità. Ho ripensato a quel primo amore, quando Dio toccandomi il cuore, mi aveva fatto sentire la vocazione al sacerdozio: non per conquistare uno status sociale, ma per servire i fratelli.

Ora il sogno di quei giorni lontani era divenuto realtà, e allora il freddo delle alte montagne, il dolore di stare montato tante ore a cavallo nei lunghi viaggi, il dormire in un letto duro e con molte pulci che non ti lasciano chiudere occhio, e tanti altri piccoli e meno piccoli disagi non mi impedivano di essere felice. Ero felice, non come quel ragazzo di tanti anni fa, ma per una nuova coscienza: Gesù voleva che io fossi il suo “Cristoforo”, portatore del messaggio che Egli è Amore anche nelle situazioni più disperate.

Questo viaggio ha marcato così profondamente la mia anima che vorrei ripeterlo al più presto possibile.

Emeterio Castañeda

 

 

Cristiani cinesi
in Canada

Siamo a Toronto nel Canada in una parrocchia personale di immigrati cinesi impegnati ad incarnare il Vangelo nella loro terra di elezione.

Toronto conta più di due milioni e mezzo di abitanti ed è la città con il maggior incremento di multiculturalità nel mondo. C’è una comunità cinese di ormai circa 450.000 persone sempre in crescita, una comunità italiana anch’essa di circa mezzo milione, seguono poi portoghesi, greci, filippini e altri.

Una parrocchia viva

Ho vissuto per una settimana ospite del parroco della più grande delle quattro parrocchie cattoliche per cinesi in quella città. La domenica partecipano alla messa circa 4.000 persone che affollano la bella e luminosa chiesa durante le sette celebrazioni eucaristiche. Oltre alle messe in cantonese, se ne celebrano una in mandarino e una in inglese.

Partecipando ad alcune messe feriali e ad una delle messe domenicali non ho potuto fare a meno di commuovermi vedendo l’intensità di partecipazione che si esprimeva nel profondo ascolto, nel canto corale di tutti, in atteggiamenti esterni che rivelavano una fede profonda e sincera nell’Eucaristia e nella presenza di Gesù nella Parola e nel ministro che presiede l’assemblea.

La maggior parte di loro sono cinesi venuti da Hong Kong in questo ultimo decennio, lasciando patria, lavoro a volte molto buono e sicuro, amici, ecc. Arrivando qui si sono uniti alla già numerosa comunità cinese e, non senza difficoltà, si sono ambientati in questa società canadese portando molte volte il loro contributo con una efficienza e professionalità notevoli. Qui hanno anche trovato il modo di continuare a vivere la loro fede cattolica inserendosi in queste quattro parrocchie dove, in genere, c’è già una bella vita di comunione fra tutti.

Ho partecipato pure al pellegrinaggio di queste parrocchie al Santuario dei Martiri Canadesi, distante circa due ore di auto da Toronto. Non potrò mai dimenticare quella messa all’aperto e quell’adorazione eucaristica pomeridiana nella quale erano visibili e palpabili la fede e l’amore di tutta una folla per Gesù sentito vivo e presente in mezzo a loro. C’era fra tutti un clima di vera gioia, una fraternità che non veniva solo dal fatto di essere tutti cinesi, ma da qualcosa di più grande che può venire solo dall’alto, dal Padre nostro che è nei cieli.

Nello spirito di comunione

Ma forse l’esperienza più bella l’ho vissuta l’ultimo giorno della mia permanenza a Toronto. Nella casa del parroco, spaziosa e funzionale anche per incontri di vario genere, ogni seconda domenica del mese si incontrano una cinquantina di persone per aiutarsi a vivere la Parola di vita secondo la spiritualità del Movimento dei focolari. La domenica nella quale ho potuto partecipare a questo incontro siamo stati seduti dalla 15.30 alle 18 e devo dire che ho guardato l’orologio una sola volta ed esattamente verso le 17.30, meravigliandomi che fossero passate già due ore.

C’erano dieci persone che venivano per la prima volta a questo incontro. Dopo le presentazioni fatte sotto la guida di una parrocchiana impegnata si è creato subito un clima di famiglia. Il parroco ha aiutato poi tutti a sentirsi coinvolti nell’impegno a vivere la Parola, raccontando qualcosa degli inizi del Movimento, della vocazione di Chiara Lubich alla vita di comunione nel focolare, delle prime Mariapoli. Anch’io ho dato la mia testimonianza raccontando qualche esperienza su come vivere l’amore e l’unità secondo il Vangelo. Poi alcuni di loro che avevano partecipato recentemente a una Mariapoli hanno raccontato la loro scoperta di un nuovo modo di vivere e le loro esperienze concrete secondo il Vangelo.

Particolarmente significative le testimonianze di persone che avevano conosciuto il Movimento dei focolari già a Hong Kong. Alcuni sono emigrati in Canada, lasciando una bella casa e un lavoro molto redditizio; altri vivono a Toronto mentre il marito, per ora, lavora ancora a Hong Kong.

La parola del Vangelo messa a fuoco attraverso la lettura del commento di Chiara Lubich, era: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9, 62). In alcune esperienze raccontate dopo la lettura venivano in luce scelte coraggiose fatte per seguire Gesù senza voltarsi indietro, fidandosi molte volte del suo aiuto, lasciando tutto e trovando poi il “centuplo” da Lui promesso nel Vangelo.

In sintesi mi sono trovato in mezzo a una comunità viva. Ma la mia meraviglia è stata che, terminato ufficialmente l’incontro,  abbiamo continuato a stare insieme fin verso le 20.30. Rimanendo nell’atmosfera di fraternità, siamo usciti nel bel prato adiacente alla casa parrocchiale e con una rapidità ed efficienza impressionanti è stata preparata una cena per tutti con i più diversi tipi di cibo fatti alla griglia. A questa gustosissima grigliata si sono aggiunti tanti giovani e bambini, figli delle varie famiglie che avevano partecipato all’incontro. Continuava la conversazione fra tutti, ci si serviva a vicenda attenti ai bisogni degli altri, i giovani giocavano nell’ampio prato.

Era toccante anche un piccolo miracolo delle lingue, dovuto nella prima parte del pomeriggio all’amore concreto di una focolarina che ha tradotto per me e per un’altra focolarina presente, e, nella seconda parte, all’amore reciproco fra un prete italiano e tanti cinesi che si sforzavano di parlare inglese per comunicare. Devo dire che, mentre mangiavo qualcosa ogni tanto, ho parlato inglese per due ore ed era tale la gioia di poter comunicare che non mi sembrava affatto di essermi stancato.

L’esser riusciti a lasciare tutto pulito e ordinato nel prato e nella cucina della casa, il modo di salutarci, la gioia sul volto di tutti erano ulteriori manifestazioni concrete di una comunità parrocchiale che vive quell’amore di cui parla Gesù nel Vangelo.

Enrico Molteni

 

Tutti abbiamo
qualcosa da dare

In un mondo che ha scambiato la felicità con l’avere, scoprire la bellezza del dare valorizza anche l’anziano che, non potendo più svolgere determinate attività economicamente redditizie, ha però tesori ben più preziosi da donare.

Siamo ad Osaka (Giappone) in una parrocchia cattolica, dove è riunito un gruppo di persone che cercano di vivere la Parola di vita proposta mensilmente dal Movimento dei focolari. All’inizio abbiamo distribuito a tutti la nostra rivista Uno, dove è stampata anche la Parola di vita. Questo mese in fondo alla rivista c’è una pagina, con una serie di fumetti di GiBi e DoppiaW, intitolata Dare.

Durante l’incontro un signore aveva sempre la testa bassa e non si capiva se seguiva o se era assente. Ma verso la fine ha alzato la mano per chiedere la parola. Si è levato in piedi ed ha detto: «Ho compiuto da poco 76 anni. Ormai in parrocchia non ci sono più attività che io possa fare. Allora noi della terza età abbiamo pensato di organizzare qualcosa adatta per la nostra situazione. Abbiamo chiamato una persona esperta nel campo dell’anzianità e abbiamo parlato insieme su questo argomento, sapendo che nessuno potrà evitare questa fase della vita e quindi la necessità di essere curato dagli altri con tanti nuovi problemi come il morbo di Alzheimer ecc.

«Alla fine dell’incontro ci siamo detti: “Certo, d’ora in poi dobbiamo affrontare più seriamente la nostra situazione...”. Ma sentivo dentro di me una certa pesantezza e mi sembrava che prima o poi avrei dovuto accettare di gravare sugli altri. Oggi, però, entrando qui, ho visto il fumetto che comincia così: “Non ci è rimasto più niente da dare?”. Questa domanda rifletteva in pieno il mio sentimento. Man mano che andavo avanti nel leggere, una luce mi ha riscaldato il cuore ed ho capito che noi anziani abbiamo ancora tanto da dare: il sorriso, il coraggio, il benvenuto. E con grande gioia ho ripetuto le parole del personaggio del fumetto: “Non sapevo di essere così ricco!”. Oggi ho trovato il programma per il resto della mia vita: posso “dare amore” fino all’ultimo momento!».

Masao Arakaki

 

Nella gioia di Dio

La morte è per tutti un mistero, ma per il cristiano non deve diventare un tabù.

Sono andato più volte a trovare Silvio, un signore anziano e malato, buono e grato di ogni mia visita. Ad un certo punto è iniziato un profondo dialogo di fede: «La vita ha senso solo in Gesù. La morte è Lui che viene a prenderci per portarci dove è Lui. E dove è Lui deve essere bello, stupendo».

Al momento opportuno gli ho proposto la confessione. Era felice al massimo e mi ha confidato: «Nessuno mai mi parla di Dio, del paradiso; tutti mi ingannano dicendomi che guarirò e sanno che non è vero; ed io li inganno, fingendo di crederci. Ci inganniamo a vicenda. Lei solo mi parla nella verità». Ha avuto modo così di ricevere gli ultimi sacramenti con immensa gioia.

L’ultima volta che l’ho avvicinato non parlava più ma capiva. Gli ho parlato ancora del Paradiso e per due volte mi ha preso la mano e con tutte le sue forze l’ha portata alle labbra per baciarla. Per la prima volta ho lasciato fare un gesto del genere.

Al funerale ho detto a Gesù: «Mi rimetto nelle tue mani per quando, come e dove vorrai chiamarmi, ma, se potessi esprimere un desiderio, sarebbe questo: fammi morire come Silvio, che è partito da questa vita nella gioia di Dio».

Tarcisio Piccolin