I riflessi della vita di comunione di tre sacerdoti “fidei donum” dell’Italia

in una parrocchia brasiliana

Pastorale missionaria e vita della Parola

di Mariano Riba

 

L’impegno di mettere in pratica il Vangelo, vissuto da tre sacerdoti che lavorano in una grande parrocchia nella periferia di Cuiabà (Mato Grosso, Brasile), suscita  una novità di vita nella popolazione. Se da una parte la convivenza quotidiana nella casa parrocchiale sembra non abbia nulla di straordinario, dall’altra lo sforzo continuo di vivere tra loro la comunione comincia ad essere una testimonianza imitata da molti. Un segno che oggi l’evangelizzazione e la pastorale devono affondare le radici nella comunione presbiterale.

Recentemente ho passato un periodo di riposo a Cuneo, mia diocesi di origine, nel Piemonte, Italia. Le conversazioni con sacerdoti amici vertevano spesso su come vivere la fede nel contesto di un mondo profondamente secolarizzato come quello europeo.

Alcune affermazioni mi hanno fatto riflettere. «Il cristianesimo nel contesto europeo – dicevano – è riconosciuto unicamente come fattore culturale». Ed altri: «Abbiamo razionalizzato troppo il cristianesimo, cercando di dare risposte intellettuali; abbiamo fatto della fede un oggetto di ricerca speculativa e ci siamo allontanati dalla vita concreta della gente, dai suoi problemi vitali e dalle sue domande impellenti».

Credo che queste considerazioni, anche se possono sembrare un po’ radicali, descrivono una situazione che a poco a poco si sta diffondendo a livello mondiale. Di fronte ad esse ho riflettuto sulla mia recente e, finora, ancora piccola esperienza pastorale in Brasile. Ho cercato di fare una revisione su come viviamo il nostro ministero e sui passi compiuti insieme agli altri due sacerdoti e ad alcuni laici della comunità, con i quali condividiamo il carisma dell’unità del Movimento dei focolari.

La Parola di Dio a base della vita

Sono sette anni che ho risposto con gioia alla chiamata di collaborare nel progetto di aiuto tra le diocesi di Cuneo e di Cuiabà. Da allora lavoro nella periferia della capitale del Mato Grosso nella parrocchia di san Sebastiano che conta 90.000 abitanti. Fin dall’inizio, prevedendo le sfide che avrei incontrato nel ritmo intenso dell’attività pastorale, ho chiesto ai due rispettivi vescovi di non abitare da solo. Essi sono stati d’accordo ed abbiamo formato una comunità di tre sacerdoti.

Credevo che il mio inserimento nel cammino della Chiesa brasiliana non sarebbe stato facile, invece mi resi subito conto con mia sorpresa che il popolo poneva la Parola di Dio come base della vita in comunità. Anche per me il vivere la Parola era diventato il principio fondamentale e unificante nell’esercizio del ministero.

Il mio incontro col Movimento dei focolari mi aveva portato, infatti, a sperimentare il senso, l’efficacia e la forza della Parola.

Attraverso la “Parola di vita” mensile, che cerco di attuare in tutte le circostanze della giornata, mi sento incoraggiato a dare il mio contributo affinché le persone della comunità possano sperimentare sempre più un cristianesimo centrato nella vita del Vangelo. Credo che solo così si evita la tentazione di razionalizzare e trasformare il cristianesimo in un fatto meramente culturale.

Anche gli altri due miei colleghi sacerdoti cercano di vivere la Parola di vita e questo rende sempre più dinamico il nostro rapporto. Conseguentemente, nelle celebrazioni, cerchiamo di annunciare la Parola a partire dal fatto che anche noi cerchiamo di viverla.

La Parola è divenuta il cuore della catechesi. Noi sacerdoti non ci lasciamo sfuggire nessuna opportunità per incontrare gli adolescenti che si preparano alla prima Eucaristia. Commentiamo con loro qualche passo della Scrittura, ma soprattutto comunichiamo come il Vangelo è diventato vita in noi, nella nostra convivenza e nella vita delle diverse comunità che compongono la parrocchia.

La pastorale per coloro che dopo la prima comunione si preparano alla cresima, continua nella dinamica del vivere la Parola: gli adolescenti riflettono su di essa in gruppi e si scambiano le esperienze da loro vissute.

Ogni anno preparano con creatività il Festival dell’adolescente e prendono parte coscientemente alla vita della comunità. Uno di loro ha detto: «Ora capisco che la vita cristiana non è solo andare all’incontro della catechesi e alla messa domenicale…».

Nei diversi rioni in cui è divisa la parrocchia sono sorti i Gruppi della Parola. La fonte della loro vitalità è proprio la Parola vissuta insieme. In questo modo il Vangelo ha preparato noi sacerdoti e tanti nostri parrocchiani ad andare incontro al mondo degli emarginati particolarmente numerosi nella periferia della nostra città.

La comunione vissuta in casa

Sperimentiamo continuamente che la vita di comunione che si manifesta nella parrocchia affonda le sue radici nell’esperienza evangelica che cerchiamo di vivere in casa. Vivere insieme la Parola durante lo svolgersi della giornata dà l’opportunità di non sentirci semplici collaboratori nell’esercizio del ministero, ma fratelli accomunati tra noi e col popolo in una divina avventura. Del resto, pur essendo differenti per età e temperamento, il nostro desiderio è stato sempre quello di vivere in comunione.

Tante persone che passano nella nostra casa o vi trascorrono un breve periodo, ci ringraziano per il clima di fraternità che vi trovano. Abbiamo la certezza che questo non è semplicemente il risultato del nostro sforzo, ma è soprattutto uno dei frutti della Parola vissuta. Attraverso il contatto con la spiritualità dell’unità abbiamo capito che, se ci amiamo mutuamente, sperimentiamo la presenza del Risorto tra noi. Per assicurarci questa presenza siamo disposti a sacrificare anche le preferenze personali – senza coartare la libertà propria dei figli di Dio – per “perdere tempo” a stare insieme, a vedere insieme le cose da fare, a divertirci insieme…

C’è sempre il gioco dell’amore mutuo. Io, per esempio, non so cucinare bene, ma quando è necessario metto tutta l’attenzione nel preparare al meglio quei pochi piatti che so fare. Ci troviamo poi spesso per organizzare la programmazione parrocchiale e cerchiamo di non mancare ai momenti così importanti della preghiera in comune.

Costatiamo così ogni giorno che la proposta di Giovanni Paolo II di fare della Chiesa “la casa e la scuola della comunione” deve cominciare dalla nostra abitazione. Altrimenti come potrebbe la comunione diventare il cammino della Chiesa? Dove impareremmo a portare avanti in questa linea  i rapporti con gli altri agenti di pastorale e i leaders dei Movimenti ecclesiali, con il vescovo e col presbiterio, e ancora con ogni parrocchiano con cui veniamo a contatto?

Mi hanno richiamato l’attenzione le parole di un teologo brasiliano pubblicate in una rivista italiana: «Perdendo il suo carattere di testimonianza comune il ministero perde il suo senso. È un’illusione pensare che la testimonianza individuale di un prete, isolata, dissociata dal presbiterio e dalla comunità, abbia effettivo valore di testimonianza del Vangelo e della Chiesa. Finirà con l’essere un prodotto in più in offerta sul mercato dei beni culturali e spirituali. Ricostruire il ministero costruendo la comunità, nonostante tutte le difficoltà attuali, è la vera sfida, l’appello del momento»1.

Al primo posto il fratello

Immaginate cosa significhi vivere nella periferia di una capitale latinoamericana. È trovarsi costantemente davanti alle più svariate forme di esclusione, di sofferenze al limite della crudeltà.

Gli abitanti di Cuiabà godono la fama di cittadini pacifici. Spesso soffrono rassegnati, credendo di sottostare ad un destino inevitabile. Sono uomini e donne che da un lato tendono la mano in cerca di aiuto e dall’altro si chiudono in un’accettazione passiva e senza speranza. Ma tra questi incontriamo anche veri eroi ed eroine che di fronte alla sofferenza si aprono ad un amore più grande, avendo scoperto nel Vangelo il valore redentivo del dolore.

Marileide è stata abbandonata dal marito e vive in una sedia a rotelle per una paralisi alle gambe. Questo non le impedisce di portare avanti una piccola attività commerciale e di trovare tempo per coordinare la comunità cristiana di cui è responsabile. È il punto di riferimento per molti che hanno bisogno di una parola di incoraggiamento.

Vera è un’altra madre di famiglia che lavora nella pastorale dei fanciulli con una generosità e disponibilità straordinarie: dove c’è una famiglia in difficoltà, lei è lì pronta per aiutare.

Questo spirito di comunione sta penetrando la vita di molti nella comunità ed ha una radice: il rapporto continuo e profondo con Gesù crocifisso e abbandonato che ha posto la sua tenda in mezzo a questo popolo. La sofferenza, infatti, è una Parola di Dio per noi. Anch’io ripeto molte volte: «Ciò che mi fa male è mio», e cerco di lasciarmi possedere dalla sofferenza di ogni fratello.

Con questa convinzione nel cuore ho visitato varie volte la mamma di Jailson, un giovane, vittima di un assalto. E non riesco a dimenticare il dolore di un altro giovane che ha sparato mentre stava facendo un assalto per trovare denaro e aiutare la sua famiglia.

Nell’incrociare queste sfide possiamo avere un rapporto con il Dio della Vita che ci spinge a cercare le risposte alle problematiche del popolo. Come ad esempio il “Centro popolare a servizio della vita e della speranza”, nato da un dialogo tra noi sacerdoti e persone della comunità.

In questo Centro si fanno incontri di formazione e brevi corsi per incentivare lavori alternativi e venire incontro alla precaria situazione economica di tante famiglie.

Non abbiamo paura del futuro, per quanto incerto esso possa sembrare. Assistiamo continuamente a piccoli miracoli dell’amore. Come chi destina una parte del primo salario per il Centro perché, grazie ad esso, ha potuto trovare un lavoro.

Noi sacerdoti chiediamo spesso a Dio di essere “meno maestri” e “più testimoni”, perché nella Chiesa-comunione sia presente ed operante l’unico Maestro.

A volte ci dicono ben inculturati nella realtà in cui viviamo. È un’inculturazione che nasce dal cuore, si traduce in rapporti fraterni e si trasforma in ricchezza di vita. Igino Giordani direbbe che non solo Maria, ma anche il fratello è “porta del cielo”.

Mariano Riba

 

1)     A. Antoniazzi, Chiesa in Brasile. Indagini e riflessioni sul prete. Felice ma non troppo, in “Il Regno-Attualità” 49 (2004) p. 489.