Sintesi e breve commento alla “Nota pastorale” dei vescovi italiani

Un volto missionario alle parrocchie

di Mario Marangoni

 

Offriamo una breve sintesi della Nota pastorale dal titolo: «Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia», pubblicata nella Pentecoste di quest’anno dalla Conferenza episcopale italiana. Nell’introduzione i vescovi sintetizzano il documento in sette punti, «nella forma di obiettivi, tenendo presente che vanno ripensati e concretizzati, nelle forme e nei tempi, a seconda delle situazioni diocesane». L’autore del presente articolo, che è parroco nella diocesi di Milano e assieme ad altri parroci promuove un “laboratorio di pastorale”, dopo aver presentato ciascun obiettivo della Nota pastorale, lo fa seguire prima da appunti di commento tratti dal testo del documento stesso e quindi da una sua breve riflessione.

Una coraggiosa testimonianza
per un annuncio credibile

1. «Non si può più dare per scontato che tra noi e attorno a noi, in un crescente pluralismo culturale e religioso, sia conosciuto il Vangelo di Gesù; le parrocchie devono essere dimore che sanno accogliere e ascoltare paure e speranze della gente, domande e attese, anche inespresse, e che sanno offrire una coraggiosa testimonianza e un annuncio credibile della verità che è Cristo».

I vescovi nel corso del loro documento precisano: «Prendere coscienza dei cambiamenti in atto, per non rischiare di subirli passivamente» (n. 2). « ... è necessario disegnare con più cura il suo volto missionario, rivedendone l’agire pastorale, per concentrarsi sulla scelta fondamentale dell’evangelizzazione» (n. 5). «I consueti percorsi di trasmissione della fede risultano in non pochi casi impraticabili ... C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede ... Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali» (n. 6).

I nostri pastori ci invitano a mettere solide fondamenta all’evangelizzazione per costruire una casa piantata sulla roccia. Come fare? Dall’esperienza abbiamo appreso che bisogna annunziare il Vangelo con la nostra vita in modo che gli ascoltatori siano spronati a metterlo in pratica. La nuova evangelizzazione non richiede solo studio ed esegesi, ma  traduzione del Vangelo in vita, entrando nel concreto dei problemi di tutti i giorni.

Il primo passo da fare non è di portare chi è in ricerca subito ai sacramenti, alla pratica religiosa, quasi fossero dei toccasana miracolistici per creare buone abitudini morali, e neanche di introdurli immediatamente alla frequentazione della parrocchia quasi si trattasse di farli partecipi di un club religioso. Dobbiamo fare in modo che queste persone abbiano un incontro vivo con Gesù risorto e sperimentino la gioia di poter appartenere  ad una Chiesa dove si vive la comunione.

Nuova attenzione
all’iniziazione cristiana

2. «L’iniziazione cristiana, che ha il suo insostituibile grembo nella parrocchia, deve ritrovare unità attorno all’Eucaristia; bisogna rinnovare l’iniziazione dei fanciulli coinvolgendo maggiormente le famiglie; per i giovani e gli adulti vanno proposti nuovi e praticabili itinerari per l’iniziazione o la ripresa della vita cristiana».

I vescovi commentano: «Ci sono poi i battezzati il cui battesimo è restato senza risposta: possono anche aver ricevuto tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma vivono di fatto lontani dalla Chiesa, su una soglia mai oltrepassata. Per loro la fede non va ripresa, ma rifondata» (n. 2). «C’è chi parla di crisi dell’iniziazione cristiana dei fanciulli ... Un ripensamento si impone ... Occorre promuovere la maturazione di fede e soprattutto bisogna integrare tra loro le varie dimensioni della vita cristiana: conoscere, celebrare e vivere la fede...» (n. 7). «La parrocchia missionaria ... considera la famiglia non solo destinataria della sua attenzione, ma una vera e propria risorsa dei cammini e delle proposte pastorali ... È bene valorizzare esperienze che si vanno diffondendo di “catechesi familiare”, con varie forme di coinvolgimento, tra cui percorsi integrati tra il cammino dei fanciulli e quello degli adulti» (n. 9).

Segnaliamo alcune attenzioni da avere: alla luce dell’esperienza, prima del catechismo e della dottrina ci deve essere il Vangelo; prima del rito e dei sacramenti ci deve essere la vita, l’allenamento a vivere la Parola, specialmente quella annunciata nella liturgia domenicale; prima dei bambini ci devono essere gli adulti che vivono il Vangelo e lo vivono insieme ai bambini. Ci sono parrocchie che hanno organizzato gruppi di famiglie con genitori e bambini che rileggono insieme il Vangelo della domenica, cercando di applicarlo alla loro vita, e si comunicano poi le esperienze riuscite ed anche le difficoltà.

Dall’Eucaristia e dalla Parola
una comunità che accoglie tutti

3. «La domenica, giorno del Signore, della Chiesa e dell’uomo, sta alla sorgente, al cuore e al vertice della vita parrocchiale; il valore che la domenica ha per l’uomo e lo slancio missionario che da essa si genera prendono forma solo in una celebrazione dell’Eucarestia curata secondo verità e bellezza».

I vescovi commentano: «Non a caso si è parlato di fine della “civiltà parrocchiale”, del venire meno della parrocchia come centro della vita sociale e religiosa. Noi riteniamo che la parrocchia non è avviata al tramonto; ma è evidente l’esigenza di ridefinirla in rapporto ai mutamenti, se si vuole che non resti ai margini della vita della gente» (n. 2). «Occorre incrementare la dimensione dell’accoglienza ... L’accoglienza, cordiale e gratuita, è la condizione prima di ogni evangelizzazione» (n. 6). «Gesù pensa alla comunità in funzione della missione, non viceversa» (n. 7). «L’Eucaristia domenicale deve far crescere nei fedeli un animo apostolico, aperto alla condivisione della fede, generoso nel servizio della carità, pronto a rendere ragione della speranza ... La Parola, nella proclamazione e nell’omelia, va presentata rispettando il significato dei testi e tenendo conto delle condizioni dei fedeli, perché ne alimenti la vita nella settimana» (n. 8).

Affinché nelle messe domenicali si senta la presenza del Risorto nella comunità, occorre che le persone siano lì non per sé ma aperte agli altri, che creino il “clima” dell’accoglienza: muoversi come a casa propria, guardare tutti con simpatia e sorriso, dare il saluto, cedere il posto o mettersi vicino a chi è solo, dare lo scambio della pace soprattutto ai nuovi e sconosciuti, invitare a leggere o a portare le offerte, alla fine chiedere come si chiamano... Poi sentire il Vangelo della domenica quale Parola di Dio che Gesù ci affida come compito e impegno da vivere in quella settimana; ascoltarlo con il desiderio di metterlo in pratica: lo riprendiamo nei vari incontri, a casa lo mettiamo in vista per ricordarlo, lo rileggiamo e lo usiamo come preghiera nella settimana, come esame di coscienza serale, come preparazione alla confessione, cerchiamo le occasioni per sperimentarlo.

Comunità del Risorto
che risponda alle domande di oggi

4. «Una parrocchia missionaria è al servizio della fede delle persone, soprattutto degli adulti, da raggiungere nelle dimensioni degli affetti, del lavoro e del riposo; occorre in particolare riconoscere il ruolo germinale che per la società e per la comunità cristiana hanno le famiglie, sostenendole nella preparazione al matrimonio, nell’attesa dei figli, nella responsabilità educativa, nei momenti di sofferenza».

I vescovi commentano: «Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo ... La pastorale missionaria è anche pastorale della santità, da proporre a tutti come ordinaria e alta missione della vita» (n. 1). «Abbiamo così una prima indicazione per il volto della parrocchia missionaria: il mutamento esige il discernimento, quel dono che Paolo fa discendere dalla carità e quindi dalla comunione. Si tratta di dar corpo al discernimento comunitario di cui parlammo al Convegno ecclesiale di Palermo» (n. 2). «Per l’evangelizzazione è essenziale la comunicazione della fede da credente a credente, da persona a persona. Ricordare a ogni cristiano questo compito e prepararlo ad esso è oggi un dovere primario della parrocchia ... » (n. 6). «L’adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione e in un cambiamento di vita soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo» (n. 9).

Se in parrocchia si formano “Gruppi della Parola”, che si ritrovano insieme a confrontarsi con essa, ci si aiuta a vicenda a trovare risposte, soluzioni, incoraggiamento, voglia di fare di più. Quando ci si ascolta con interesse, si comunicano con semplicità e come dono le proprie esperienze di Vangelo vissuto, ci si guarda come fratelli e sorelle perché seguiamo lo stesso Gesù. Allora egli si rende presente, ci fa capire sempre meglio la sua Parola e ci fa sentire che è bello seguirla. E si sperimenta che la Chiesa, la parrocchia, è il “grembo materno” (card. Ruini), dove nasce la vita, dove Gesù risorto converte e attira.

Avendo creato un simile ambiente vi possiamo accogliere chi è lontano dalla fede, chi chiede il matrimonio cristiano, i genitori che chiedono il battesimo, la prima comunione e la cresima per i figli, chi è in crisi nel matrimonio, chi è colpito da un lutto, i giovani... Qui non incontrano gli specialisti (preti, catechisti, esperti) che fanno discorsi, ma una comunità viva, gente con i loro stessi problemi che ha trovato la chiave di volta per la loro vita: e il Vangelo si fa sentire vivo e attraente, perché non è una teoria o una dottrina, ma vita.

Comunità in dialogo con tutti

5. «Le parrocchie devono continuare ad assicurare la dimensione popolare della Chiesa, rinnovandone il legame con il territorio nelle sue concrete e molteplici dimensioni sociali e culturali; c’è bisogno di parrocchie che siano case aperte a tutti, si prendano cura dei poveri, collaborino con altri soggetti sociali e con le istituzioni, promuovano cultura in questo tempo della comunicazione».

I vescovi commentano: «La parrocchia è figura di Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? La parrocchia è figura di Chiesa di popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo di ridursi a gestire il folklore religioso e il bisogno di sacro?» (n. 4). «Si tratta di continuare a intessere il dialogo tra fede e cultura e a incidere sulla cultura complessiva della nostra società ... Questa presenza e quest’azione culturale rappresentano un terreno importante perché il primo annuncio non cada in un’atmosfera estranea o anche ostile ... La predicazione, come pure il servizio della carità, uniscono la fermezza sulla verità evangelica da proporre a tutti con il rispetto delle altre religioni e con la valorizzazione dei “semi di verità” che portano in sé ... La “sfida missionaria” chiede di proporre con coraggio la fede cristiana e di mostrare che proprio l’evento di Cristo apre lo spazio alla libertà religiosa, al dialogo tra le religioni, alla loro cooperazione per il bene di ogni uomo e per la pace» (n. 6). «Presenza è anche capacità di interloquire con gli altri soggetti sociali nel territorio. La cultura del territorio è composizione di voci diverse; non deve mancare quella del popolo cristiano, con quanto decisivo sa dire, nel nome del Vangelo, per il bene di tutti … Il vissuto non solo va interpretato, ma anche creato, a partire da una cultura cristianamente ispirata. Vogliamo sottolineare in particolare l’attenzione che la parrocchia deve riservare alla comunicazione sociale come risorsa per l’annuncio del Vangelo» (n. 10).

Dobbiamo imparare lo stile del dialogo: nella piena fedeltà alla verità che viviamo e portiamo, l’amore ci spinge a metterci alla pari di chi crede e chi non crede, di chi ha la pratica religiosa e chi no, di chi ha una famiglia regolare e chi ha un matrimonio irregolare o fallito, di chi ha fatto tanti studi e chi no, di chi è ricco e chi è povero, di chi segue un partito e chi un altro. Dobbiamo ascoltare chi parla con noi con interesse, in particolare i nuovi e i “lontani”, senza giudicare, cercando di capire le loro ragioni, convinti che possiamo sempre imparare da tutti: a volte le loro ragioni e le loro domande ci aiutano a trovare risposte anche per noi stessi, a scoprire potenzialità inedite o assopite della fede cristiana.

E poi diciamo la nostra esperienza di fede con semplicità, con garbo e senza voler imporre le nostre idee e proposte, senza nascondere le nostre convinzioni. Dobbiamo inoltre sfruttare meglio i nostri bollettini parrocchiali: devono aiutare la gente a pensare, a farsi domande, a conoscere problemi, a rimettere in discussione le abitudini, a capire le conseguenze della novità portata dal Vangelo. Abbiamo bisogno soprattutto di rendere visibili e far conoscere gruppi ed esperienze che con il Vangelo vissuto rendono “nuove” le varie attività umane in politica, arte, imprenditoria, giornalismo, sport, medicina, famiglia, scuola, ecc.

Tutti attivi e corresponsabili
in una pastorale integrata

6. «Le parrocchie non possono agire da sole: ci vuole una “pastorale integrata” in cui, nell’unità della diocesi, abbandonando ogni pretesa di autosufficienza, le parrocchie si collegano tra loro, con forme diverse a seconda delle situazioni – dalle unità pastorali alle vicarie o zone –, valorizzando la vita consacrata e i nuovi Movimenti».

I vescovi commentano: «Più che di “parrocchia” dovremmo parlare di “parrocchie”: la parrocchia infatti non è mai una realtà a sé, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare ... Alla base di tutto sta ... il sentirsi responsabili con il vescovo di tutta la Chiesa particolare, rifuggendo da autonomie e protagonismi» (n. 3). «Occorrerà anche intessere collaborazioni con Istituti di vita consacrata che nella predicazione evangelica hanno uno specifico carisma, come pure con Associazioni laicali e Movimenti ecclesiali ... È un annuncio che dobbiamo circondare di segni di credibilità, a cominciare da quello dell’unità che, ci ha detto Gesù, è condizione “perché il mondo creda”» (n. 6). «È finito il tempo della parrocchia autosufficiente. Per rispondere a queste esigenze la riforma dell’organizzazione parrocchiale in molte diocesi segue una logica prevalentemente “integrativa” e non “aggregativa” ... A questo mirano pure i progetti attuati e in via di attuazione che vanno sotto il nome di “unità pastorali” ... Un ulteriore livello di integrazione riguarda i Movimenti e le nuove realtà ecclesiali, che hanno un ruolo particolare nella sfida ai fenomeni di scristianizzazione e nella risposta alle domande di religiosità, incontrando quindi, nell’ottica della missione, la parrocchia ... Sta al vescovo sollecitare la loro convergenza nel cammino pastorale diocesano e al parroco favorirne la presenza nel tessuto comunitario, della cui comunione è responsabile ... La diocesi e la parrocchia favoriranno da parte loro l’ospitalità verso le varie aggregazioni, assicurando la formazione cristiana di tutti e garantendo a ciascuna aggregazione un adeguato cammino formativo rispettoso del suo carisma ... La proposta di una “pastorale integrata” mette in luce che la parrocchia di oggi e di domani dovrà concepirsi come un tessuto di relazioni stabili» (n. 11).

Dobbiamo imparare a sentirci corresponsabili di tutta la Chiesa: i fallimenti delle altre comunità cristiane, sono i miei fallimenti; i loro progressi sono i miei progressi; amo la parrocchia altrui come la mia. Dobbiamo coltivare rapporti con le altre parrocchie e scambiarci ogni tanto le persone per coltivare questo “cointeresse”, per lavorare insieme e conoscersi a vicenda.

È necessario poi accogliere in parrocchia i Movimenti e i vari gruppi ecclesiali, non solo per un aiuto alla parrocchia, ma perché possano sviluppare e mettere a frutto per l’insieme della Chiesa le loro caratteristiche. È più importante avere l’anima aperta sul tutto (Chiesa universale, diocesi, altre parrocchie e gruppi) che non fissata su interessi particolari per quanto possano sembrare importanti.

Spazi di reale partecipazione

7. «Una parrocchia missionaria ha bisogno di “nuovi” protagonisti; una comunità che si sente tutta responsabile del Vangelo, preti più pronti alla collaborazione nell’unico presbiterio e più attenti a promuovere carismi e ministeri, sostenendo la formazione dei laici, con le loro associazioni, anche per la pastorale d’ambiente, e creando spazi di reale partecipazione».

I vescovi commentano: «Singolarmente e insieme, ciascuno è lì responsabile del Vangelo e della sua comunicazione ... Il rinnovamento della parrocchia in prospettiva missionaria non sminuisce affatto il ruolo di presidenza del presbitero, ma chiede che lo eserciti nel senso evangelico del servizio a tutti, nel riconoscimento e nella valorizzazione di tutti i doni che il Signore ha diffuso nella comunità, facendo crescere la corresponsabilità ... Occorre offrire occasioni di vita di comunione e di fraternità presbiterale ... È richiesto un ripensamento dell’esercizio del ministero presbiterale e di quello di parroco. Se è finita l’epoca della parrocchia autonoma, è finito anche il tempo del parroco che pensa il suo ministero in modo isolato; se è superata la parrocchia che si limita alla cura pastorale dei credenti, anche il parroco dovrà aprirsi alle attese di non credenti e di cristiani “della soglia” ... Il parroco sarà meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo della comunione. La sua passione sarà far passare i carismi dalla collaborazione alla corresponsabilità, da figure che danno una mano a presenze che pensano insieme e camminano dentro un comune progetto pastorale ... La cura e la formazione del laicato ... richiede una formazione ampia e disinteressata, non indirizzata subito a un incarico pastorale e/o missionario ma alla crescita della qualità testimoniale della fede cristiana» (n. 12).

Noi preti abbiamo bisogno di fare esperienze in “laboratori di fraternità” per lavorare insieme con frutto. Stando tra noi preti, confrontando le nostre idee e scelte pastorali, accettando che altri la pensino diversamente, impariamo a sentirci alla pari anche con i laici (cf LG 32). Lavorando invece solo con i laici, più facilmente noi ci sentiamo maestri e loro ci vedono come tali.

Dobbiamo poi applicare il principio della “corresponsabilità” anche alla parrocchia: dare vere responsabilità ai laici e chiedere loro di assumerle. Non dobbiamo fare noi ciò che essi sanno e possono fare meglio di noi. E poi coinvolgere i collaboratori nel pensare e decidere insieme. È più importante agire in unità con loro che non da soli, per quanto capaci ci riteniamo; è più importante la comunione che non l’attività e le iniziative.

Mario Marangoni