L’attrattiva della comunione

 

Sono passati 40 anni da quando la Costituzione conciliare Lumen gentium ci ha consegnato l’innovativo e suggestivo autoritratto della Chiesa come comunione. Questa nuova comprensione del Popolo di Dio è stata, in realtà, un ritorno ai primi secoli del cristianesimo, quando in Oriente e in Occidente, si concepiva la Chiesa come koinonia: un’onda di comunione che parte dalla vita delle tre divine Persone per raggiungere tutta l’umanità, anzi, il cosmo intero.

«Il fine ultimo si chiama “unità” o, meglio ancora, “trinitarizzazione” di tutta la realtà», ha scritto giustamente il teologo tedesco Gisbert Greshake. E in questa prospettiva, con ovvia assonanza al primo capoverso della Lumen gentium, egli presenta la Chiesa come “segno e strumento” della vita trinitaria verso la quale è incamminata tutta la creazione1.

Ma a che punto siamo nella realizzazione di questa autocomprensione della Chiesa per il nostro tempo?

Non c’è dubbio, di “comunione” si parla ormai ovunque, e molto è cambiato, in questi decenni, nella vita delle nostre comunità. Diocesi e parrocchie si sono dotate di Consigli pastorali. Via via i presbíteri prendono atto, pur fra contraccolpi, che il loro ministero ha una «radicale “forma comunitaria” e può essere assolto solo come “un’opera collettiva”»2. Penetra, nella coscienza ecclesiale, l’urgenza di una “spiritualità di comunione”.

Contemporaneamente ci sono stati impressionanti cambiamenti nella società. Persiste la crisi delle istituzioni, specie se si presentano in forme verticali. Ciò che determina l’agire delle persone sono soprattutto gli stimoli orizzontali, l’impercettibile ma persuasivo cambiamento del costume. Non è questo, poi, il tempo delle idee, ma piuttosto dei fatti. E la domanda generale non sembra essere quella dei valori, e tanto meno degli imperativi, quanto piuttosto della felicità in una esistenza pienamente realizzata.

Tutto questo scuote l’impostazione della vita e della missione ecclesiale così come era andata configurandosi da secoli. Senza illusioni, i vescovi italiani, nella Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia3, affermano: «Non a caso si è parlato della fine della “civiltà parrocchiale”, del venir meno della parrocchia come centro della vita sociale e religiosa» (n. 2). Da qui l’urgenza – così i vescovi – di “ridefinire” la parrocchia. In questa necessaria transizione va tenuto presente che: «L’adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione e in un cambiamento di vita soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo» (n. 9).

In sostanza, l’incidenza del cristianesimo nel mondo di oggi dipende in buona parte dalla nostra capacità di farne scoprire la rilevanza non soltanto per una sfera spirituale, che per molti è evanescente, o per una salvezza ultraterrena, ma per la vita ordinaria della persona umana in quanto tale. Occorre far vedere – come afferma la Gaudium et spes e come non si stanca di ripetere Giovanni Paolo II – che solo Cristo «svela pienamente l’uomo all’uomo» (cf n. 22).

Ma ciò oggi forse non va tanto predicato, bensì testimoniato. O meglio: testimoniato a fatti e poi predicato. Ed è proprio qui che la vita ecclesiale è chiamata in causa. In che misura le nostre comunità danno prova di essere a tutti gli effetti “icona della Trinità” – presenza efficace del Dio uni-trino – e, proprio per questo, risposta all’anelito di ogni persona umana di non essere sola e isolata ma con-gli-altri, senza che ciò annulli la sua identità ed unicità? E in quale misura riescono a far intravedere che l’indispensabile dimensione istituzionale della vita ecclesiale, e della stessa società, non è ostacolo ma anzi sostegno di una vera esperienza di fraternità?

Siamo chiamati a testimoniare con i fatti che è possibile una coincidenza degli opposti: unità e libertà, carisma e istituzione, struttura e comunione. Coincidenza che è di vitale importanza per il singolo e per la società, ma che la persona umana e la comunità, senza l’aiuto della grazia, non sono in grado di realizzare.

Per questo, oggi forse è più che mai attuale l’intuizione del grande Agostino che la Chiesa è spazio del ”mondo riconciliato”4. Come a dire: nulla è più missionario ed ha maggiore attrattiva di una Chiesa che mostra di essere a tutti gli effetti comunione, presenza della vita trinitaria che supera le dialettiche negative e concilia gli opposti.

Questo, per la verità, è il grande compito che ci prospetta il già citato documento dei vescovi italiani. Essi, con forte senso pratico, propongono una pastorale “integrata” che porti le comunità parrocchiali a concepirsi come «un tessuto di relazioni stabili», armoniosamente articolato con le altre parrocchie, gli Istituti di vita consacrata, i Movimenti (cf n. 11), invitando ogni parroco ad essere «meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo della comunione» (n. 12). Non una Chiesa monolitica e tanto meno piramidale, ma un popolo variegato e multiforme che  nell’unità dei sentimenti e nella concorde carità «canta Cristo»5.

H. B.

 

 

 

 

 

 

 

1)     Cf La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, Brescia 20002, pp. 65. 91.

2)     Cf Pastores dabo vobis 17.

3)     Cf articolo a p. 100 di questo numero.

4)     Sermones 96, 7, 9: PL 38, 588.

5)     Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 4, 1: PG 5, 648.