Perché tutti siano uno

Notiziario dal mondo dei seminari – n. 48

a cura della segreteria internazionale del movimento gens

 

Una famiglia di veri fratelli

Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli». Parola di Martin Luther King che a quasi 40 anni dalla sua morte violenta non ha perso nulla della sua attualità. E questo non solo al cospetto di una globalizzazione ambigua che fa sì che molti, moltissimi nostri contemporanei siano sempre più poveri e che noi tutti, se non sappiamo reagire con decisione, ogni giorno ci troviamo più soli e interiormente più frantumati. Ma anche davanti a quel microcosmo che sono i seminari.

Ha scritto recentemente una persona che si occupa a livello mondiale delle vocazioni: «Vedendo ogni mattina tanti sacerdoti e seminaristi sull’autobus, mi domando: ma chi fa loro assaggiare l’amore di Dio? Quando vado nelle loro case, mi imbatto spesso in un quadro scoraggiante: corridoi lunghi e vuoti dove ognuno che passa ti dà l'impressione di vivere una vita solitaria. Ma basta voler bene a chi incontri, basta saper creare le occasioni, e si fa strada con queste stesse persone l’avventura di un’amicizia soprannaturale. E mentre mi interesso degli altri e mi dono a loro, mi sento io stesso arricchito e soprattutto sento crescere il Regno di Dio».

Molte sono le vie per suscitare un’autentica fraternità, a cominciare da gesti apparentemente piccoli e insignificanti. Racconta un seminarista del Brasile. «L’educatore ha proposto alla nostra équipe di vita di concretizzare l’invito formulato dal Papa nella Novo millennio ineunte di “fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione”. Ogni settimana abbiamo fra noi un momento di comunione di vita. Ho notato che sistemare in anticipo la sala e mettere una musica di sottofondo è qualcosa che aiuta tutti a sentirsi accolti. Attraverso questi momenti di comunione abbiamo visto crescere fra noi il perdono, la gioia e la pace».

Dove il seminario diventa casa e dove ci si riconosce innanzi tutto fratelli, appare in nuova luce la scelta del celibato. «Ho cercato di presentarlo come via per essere dono di sé nell’amore, vivendo l’arte d’amare e la spiritualità di comunione», racconta un sacerdote dell’Irlanda reduce da una giornata di ritiro con gli studenti del primo e secondo anno in seminario. E constata: «È stato di luce per tutti. Mi hanno ringraziato per aver affrontato questo argomento in chiave positiva e non come una regola imposta dalla Chiesa. Parlare con semplicità anche delle difficoltà, ha dato pace, libertà e respiro. “È un altro modo di vedere il celibato”, hanno commentato».

 

Creare un ambiente di Casa

 

Compleanno di tutti

Italia. «C’era il compleanno di un seminarista e avevo pensato di scrivergli una biglietto d’augurio. Riflettendoci, mi sono reso conto che poteva essere una cartolina un po’ speciale se coinvolgeva anche gli altri seminaristi. Ho chiesto a qualcuno se in seminario c’era una tradizione del genere. Mi hanno risposto che non si era mai fatta una cosa simile e che era una proposta interessante. Insieme a un compagno abbiamo quindi preparato la cartolina, facendola firmare da tutti, compresi i formatori e il personale di servizio. Inaspettatamente tutti hanno fatto a gara e hanno scritto gli auguri in diverse lingue, tra cui pure il cinese. La cosa è talmente piaciuta che adesso per ogni compleanno, compreso quelli del personale, con un gruppetto di seminaristi prepariamo una biglietto d’augurio, e ogni volta è un momento bello perché il compleanno di uno diventa il compleanno di tutti». (J.E.M.)

 

Una discussione accesa

Brasile. «Con l’arte d’amare cerco di rendere l’ambiente del seminario gradevole e edificante. L’altro giorno era sorta una discussione accesa su chi avrebbe pulito il forno. Non si è giunti a nessuna decisione perché l’équipe incaricata non si era presa la responsabilità di indicare qualcuno per questo servizio. Proprio in quel giorno mi ero proposto di amare per primo. L’effetto: sentendo quel diverbio, ho deciso di mangiare rapidamente e mi sono messo a  pulire il forno. Ho provato dentro di me una grande gioia». (E.L.D.)

«Evviva il farsi uno»

Roma. «Qualche giorno fa il responsabile per lo sport ha indetto per tutti una partita di calcio, per poter scegliere i membri della squadra del Collegio. Siccome a tanti non piace il calcio, si sono presentati quasi solo i giocatori abituali. Facendomi uno con loro, ho pensato di mettermi a giocare anch’io, benché fosse appena la seconda volta nei quattro anni da quando sono in Collegio e non conosco neppure bene le regole. Facevo quindi tanti errori, toccando tra l’altro per tre volte la palla con le mani, cosa che mi ha procurato tante domande da parte del vicerettore che faceva parte della mia stessa squadra. L’unica cosa che ho potuto fare era portare pazienza. Terminata la partita, sono tornato in camera col dolore per i miei sbagli e per le incomprensioni che erano sorte, ma ero gioioso. A cena, quel vicerettore davanti a tutti ha detto: “Oggi diamo il primo premio... e ha fatto il mio nome. In quel momento una sola parola è sgorgata dal mio cuore: evviva il farsi uno!».

 

Il barbiere del seminario

Burundi. «Assicuro in seminario il servizio di barbiere. Un giorno si erano presentati molti seminaristi per il taglio dei capelli, tanto che, verso la fine dell’orario stabilito, erano rimasti ancora tre in attesa. Ho deciso allora di tagliare i capelli soltanto a uno di loro. Gli altri due si sono messi d’accordo perché io sistemassi i capelli provvisoriamente almeno a uno di loro, in attesa di poterlo fare per bene in seguito. Alla fine, quello che non ho potuto più servire, è partito triste, qualificandomi “segregazionista” attraverso un messaggio. Mosso dall’amore e senza mostrargli che ero al corrente delle sue lamentele, ho deciso di tagliargli i capelli quella stessa sera. Egli ne era molto contento. Ma ero contento anch’io che ci eravamo riconciliati». (P.R.)

 

Pulizia dell’aquedotto

Colombia. «Dovevamo pulire i bagni, ma mi sono accorto che non avevamo acqua in seminario e che i serbatoi di approvvigionamento erano vuoti. Ho quindi avvertito un formatore e mi sono messo alla ricerca degli operai per i vari servizi, ma essendo domenica, nessuno lavorava. Nel frattempo ho dovuto recarmi a un appuntamento. Sono rientrato verso la fine del pomeriggio. Ho incontrato un altro seminarista che segue anch’egli l’Ideale dell’unità, e gli ho raccontato quanto era successo. È nata immediatamente l’idea di amare per primi. Abbiamo perciò messo al corrente il rettore e, d’accordo con lui, siamo usciti per revisionare l’acquedotto del seminario che si trova a circa 20 minuti dalla nostra casa. Abbiamo pulito le griglie e siamo tornati a casa. Abbiamo constatato però che l’acqua arrivava solo alla piscina e a una parte della casa. Dopo cena, vedendo che i serbatoi erano tuttora vuoti, siamo usciti nuovamente per revisionare in particolare il filtro, affrontando il freddo e le scomodità della notte. La mattina dopo c’era acqua per tutti». (G.G.)

Un diacono permanente

Brasile. «Si era ammalato gravemente un diacono permanente, tanto da dover stare per due mesi in ospedale, con continua assistenza. Durante il giorno sono stati con lui i suoi familiari; durante la notte i due seminaristi della sua diocesi. Accorgendoci di questa situazione, assieme agli altri seminaristi con cui vivo l’Ideale dell’unità, abbiamo stabilito fra noi dei turni per ogni giorno, in modo che i due avessero un adeguato riposo. In seguito anche altri seminaristi hanno cominciato ad assistere quel diacono e così pure i suoi familiari hanno potuto tirare il fiato». (A.M.)

Spirito di famiglia

di Chiara Lubich

 

La famiglia: ecco una parola che contiene un immenso significato, ricco, profondo, sublime e semplice, soprattutto reale.

La famiglia o c’è o non c’è.

Atmosfera di famiglia è atmosfera di comprensione, di distensione serena; atmosfera di sicurezza, di unità, di amore reciproco, di pace che prende i suoi membri in tutto il loro essere. (…)

Vi sono fra essi coloro che soffrono per prove spirituali? Occorre comprenderli come e più di una madre. Illuminarli con la parola o con l’esempio. Non lasciar mancare, anzi accrescere attorno a loro il calore della famiglia.

Vi sono tra essi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. Bisogna patire con loro. Cercare di comprendere fino in fondo i loro dolori.

Vi sono coloro che muoiono? Immaginate di essere al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all’ultimo istante.

C’è qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo? Godere con lui, perché la sua consolazione non sia contristata e l’animo non si chiuda, ma la gioia sia di tutti.

C’è qualcuno che parte? Non lasciarlo andare senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti con sé.

Non anteporre mai un’attività di qualsiasi genere, né spirituale né apostolica, allo spirito di famiglia.

E dove si va per portare l’Ideale di Cristo, nulla si potrà fare di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma con decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia… è la carità vera, completa.

Da: E torna Natale…, Roma 1997, pp. 45-49

 

Due flash sulle vocazioni

 

Dal Brasile. Ci scrive il rettore del seminario filosofico di Ponta Grossa: «Da tempo scendeva di anno in anno il numero dei nuovi ingressi in seminario. Erano 12, poi 10, e nel 2005 solo 8. Davanti a questa situazione, mi sono ricordato della testimonianza di uno studente austriaco al Congresso internazionale di seminaristi nel dicembre 1994: in un momento di forte calo delle vocazioni al sacerdozio, avevano chiesto ogni giorno con fede che per l’anno successivo si presentassero 10 giovani, e così era avvenuto (cf Quaderno di gen’s / 9, luglio 1995, p. 30). Ne ho parlato all’incontro con i formatori e così in ognuno dei nostri quattro seminari, dal propedeutico alla teologia, abbiamo cominciato a chiedere a Dio di inviarci più operai. Nella mia comunità di filosofia fin dall’anno scorso abbiamo tenuto ogni venerdì una veglia per tutta la notte, durante la quale ci avvicendavamo nella preghiera. E Dio ha aperto le mani: per il 2006 i nuovi ingressi al propedeutico sono stati 12 e per il 2007 ormai si sono iscritti 19».

Dal Belgio. L’incaricato per le vocazioni nelle Fiandre ci ha riferito di un’interessante iniziativa realizzatasi nel maggio scorso: «Si è concluso a Anversa un giorno d’incontro della pastorale vocazionale. La giornata intendeva sensibilizzare il corpo ecclesiale al tema della chiamata e sembra che abbia raggiunto il suo scopo. Eravamo oltre 110 persone di quasi tutte le chiamate. Tra i presenti sono stati anche cinque dei sette vescovi delle Fiandre e molte persone che hanno compiti di responsabilità nelle diocesi.

Chiave di lettura di tutto l’incontro è diventata la stimolante conferenza del vescovo ausiliare di Bruxelles Jozef De Kesel che ha rilevato come nella Chiesa si punti oggi prevalentemente sulla missione apostolica ovvero sul lavoro, le diverse funzioni, ecc., mentre c’è il rischio che si perda di vista la vita apostolica. Da qui la sua tesi che ha suscitato un vivo dialogo: l’attuale crisi della Chiesa è crisi dell’imitazione di Cristo. Si trovano persone per svolgere l’uno o l’altro compito, ma sono pochi che si impegnano nella sequela di Cristo. Viene da qui pure la crisi del celibato.

La giornata è proseguita con una preghiera nella cappella del centro pastorale di Anversa e con un momento di festa. Nel pomeriggio si sono offerte tre testimonianze: una coppia di sposati che ha parlato in maniera bella e forte della propria vocazione, creando fra tutti un clima di famiglia e gioia, poi una suora e infine un sacerdote che, assieme a un’assistente parrocchiale, ha fondato una casa per giovani in ricerca della propria strada. Sono seguiti incontri di gruppo. È la prima volta che si è prodotto nel nostro campo un’iniziativa di simile impatto, come frutto dell’intensa vita di comunione all’interno dell’équipe della pastorale vocazionale».