Durante le vicende della guerra in Costa d’Avorio
Sotto il manto di Maria
di Charles landreau e Gerhard Stigler
Durante la recente guerra civile in Costa D’Avorio, la cittadella “Victoria” dei Focolari nella parte Ovest del Paese è diventata, per la coerenza della vita evangelica e il coraggio dei suoi abitanti, un luogo di rifugio e di conforto per centinaia di persone. Ne parla questa testimonianza dei due sacerdoti, l’uno francese e l’altro tedesco, che compongono da anni, in seno alla cittadella, il focolare sacerdotale che irradia, fra sacerdoti e seminaristi anche delle nazioni circostanti, uno stile di vita radicato nell’essenziale e fortemente comunitario.
Novembre 2002, città di Man, Costa
d’Avorio, Parrocchia Santa Maria, adiacente alla Mariapoli permanente
“Victoria”. Due sacerdoti focolarini spaventati,
rannicchiati in cucina, carponi sotto il bancone rivestito di piastrelle che a
loro sembra il posto più sicuro della casa fatta di fini lamiere e soffitto di
legno. Fuori frastuono di armi da fuoco di
vario calibro, esplosioni di bombe incendiarie, mentre elicotteri sorvolano la
zona e in alto nel cielo è posizionato un aereo d’osservazione. È mezzogiorno e
siamo in attesa forse della fine.
Eppure non ci pentiamo di essere
rimasti. Qualche giorno prima, quando le linee
telefoniche funzionavano ancora, avevamo ricevuto una chiamata: «Preparatevi,
padri – ci veniva detto – passiamo a prendervi fra due ore, stiamo rimpatriando tutti gli stranieri».
Allora tutti noi abitanti della Mariapoli ci eravamo subito consultati e avevamo deciso di rimanere
sul posto qualsiasi cosa fosse successa. Non ci sembrava il momento di
abbandonare i fratelli quando arrivano le difficoltà:
Maria era ai piedi della croce quando per Gesù le cose si erano messe male… E
noi che sempre parliamo di amore pronto a dare la vita per i fratelli non
dobbiamo forse ora dimostrare che le nostre non sono solo parole? Qualche tempo
fa, in un primo episodio di guerra, avevamo accolto e
confortato 190 persone in fuga, che poi scortate dai ribelli erano state
portate in un luogo sicuro. Ora non possiamo ripensarci anche
se c’è la preoccupazione di quanto potrà succederci al ritorno della
calma.
Sotto il potere dei ribelli
Ci sono tutti gli elementi per capire che la città è stata
presa d’assalto: i combattimenti infuriano e la nostra ultima ora potrebbe
essere vicina. Quando dalle montagne che circondano la città non arriva più
l’eco di qualche sparo sporadico ci rialziamo, pronti
ad affrontare la nuova situazione, e ci rendiamo conto che “loro sono arrivati”
e che per la seconda volta le forze regolari sono state sconfitte e respinte. Siamo sotto il potere dei ribelli, le così dette Forze
Nuove.
Constatiamo subito che i 18 membri del Movimento dei
focolari, che vivono nella Mariapoli Victoria, sono tutti illesi come pure i
molti rifugiati che non sono ancora potuti partire per il sud del Paese. Poi
vediamo arrivare una ressa di persone con oggetti di ogni
tipo, borse, pentole, materassi… Sono famiglie intere, sani e ammalati, i più
gravi portati su carretti o a spalle, un bozzetto di società in fuga dagli
eccessi dei vincitori e dai prevedibili saccheggi. Persone di
ogni età e condizione sociale, musulmani, pastori, capi tradizionali e
cittadini di tutti i tipi, ognuno in cerca di rifugio sia nella Mariapoli sia
nella chiesa adiacente, a cui Chiara nel ’77 aveva dato il nome di “Santa Maria
Regina dell’Africa”.
Una folla impaurita di rifugiati
Questo stesso scenario – racconta Charles – si era già presentato due settimane prima, ma una
tregua aveva permesso a quei primi rifugiati di ripartire. Ho ancora il ricordo di alcuni episodi, come quando un ufficiale
dell’esercito regolare ivoriano arriva nel cortile della parrocchia, smonta da
una macchina militare stracolma di soldati, si precipita verso di me per dirmi:
«Vengo a prendere la chiave di casa, mia moglie l’ha nascosta in un sacco di riso». Il problema però è che moglie e figli sono stati evacuati mentre il sacco di riso chissà in che mani è
finito. Un’altra volta, una giovane donna senza gambe, trascinandosi nella
polvere viene a dirmi che la sua carrozzella è rimasta chiusa in casa perché i
suoi sono fuggiti portandosi via la chiave. È stata subito soccorsa e accolta
da una famiglia della parrocchia.
Tutti gli ambienti della Mariapoli Victoria, case,
dormitori, uffici, i capannoni della falegnameria e della tipografia e poi
tutti quelli della parrocchia compresa la chiesa, sono stati occupati da questa
folla impaurita e sconsolata. Noi passiamo fra tutti per rincuorarli,
rassicurarli, dar coraggio mentre fuori le armi si
fanno ancora sentire. Vedo ancora Gisela con un’altra focolarina passare in
mezzo a questa miseria umana per portare ogni giorno un po’ di serenità… e ci riuscivano: la paura poco a poco spariva da quei volti
provati.
Un giorno – racconta ancora Charles – spingo la porta di quella che era stata un’aula di
catechismo e vedo una decina di donne sedute intorno ad una più giovane dalla
quale fuorusciva e colava al suolo un liquido
rossastro. Mi accolgono con giubilo e mi presentano il neonato al grido
tradizionale di Kuoyaume ma!
Esco in fretta per lasciarle alle cure appropriate al caso.
Non ho più visto poi quella mamma e quel bambino. Ma
ancora lo stesso giorno, dopo la messa della domenica, un’altra mamma è venuta
a presentarmi il suo “Natale”, venuto alla luce il 25
dicembre nei locali della Mariapoli.
Occasione per formarsi
alla vita del Vangelo
Possiamo dire che
Presto, questo tempo di inattività
è diventato per i nostri rifugiati un’occasione per formarsi alla vita
evangelica; un grande gruppo si è messo a vivere come in un focolare: ogni
mattina la meditazione e lo scambio di esperienze e poi la distribuzione dei
vari compiti per assicurare ad una così grande collettività un minimo di
organizzazione giorno e notte. Di notte, la chiesa è piena di gente e così viene acceso un grande cero sull’altare per evitare troppa
oscurità e possibili abusi. Poi di mattina un gruppo fa la pulizia. Ogni giorno
si dice
«Veramente, un luogo di Dio»
Ed ecco il nostro primo incontro con le truppe di occupazione. Come responsabili della parrocchia volevamo essere presenti per affrontare la situazione e così
è stato.
Stavamo celebrando l’Eucaristia quando a
A questo punto le cose mutano. Scambiamo qualche parola con
quegli uomini armati e poi è la volta dei nostri parrocchiani con quelli della
loro etnia. In quel giorno non è successo altro.
Per noi due sacerdoti è stata una
vera meditazione. Potevamo essere uccisi, maltrattati in vari modi da uno
qualsiasi di quegli uomini che non ispiravano certo né fiducia né stima… Ma
Gesù ha forse scelto della brava gente per essere insultato, maltrattato e
messo a morte? Allora ci disponiamo subito ad amare il nemico.
Subiamo ogni giorno, e varie volte al giorno, incursioni di bande armate e… drogate; hanno portato via tutte le
nostre macchine e quelle messe “in salvo” nella missione. Ogni passaggio di
questa gente spaventa tutti. Dobbiamo trovare una soluzione. Così una nostra
delegazione si reca dal responsabile del nostro settore per fargli capire che
siamo un centro di spiritualità, di accoglienza e di
cura e che le visite continue di questi loro uomini disturbano molto il nostro
lavoro. Abbiamo quindi chiesto consiglio sul da farsi.
Allora il capo ci manda un drappello di 16 giovanotti a cui
dobbiamo assicurare alloggio e vitto e così per mesi siamo stati protetti da
incursioni sia di notte che di giorno… Le nostre case sono state ispezionate ma niente è stato rubato. Con i nostri guardiani
abbiamo vissuto l’amate il nemico e questo ha dato frutto. Uno di loro è
perfino venuto a far parte del nostro coro…
Un focolarino li ascoltava, comunicava le nostre
difficoltà, dava loro lezioni di come comportarsi in quei momenti difficili e
teneva il contatto con i capi dei guerriglieri che l’ascoltavano predicare il
perdono dei colpevoli… Fu così che un giorno questo focolarino ha salvato la
vita a uno di loro che i capi avevano condannato a
morte.
Fraternità effettiva tra sacerdoti
Senza averlo previsto,
La forza divina dell’unità
Quando abbiamo potuto ritornare in
Europa siamo rimasti stupiti dell’appellativo di “eroi” usato nei nostri
confronti. A questo proposito è importante un chiarimento: non era solo fortuna
se siamo stati tutti protetti, noi e quanti hanno trovato rifugio nella
Mariapoli Victoria e nella parrocchia, e se nonostante l’enorme quantità di
spari e pallottole che arrivavano da ogni parte, un solo vetro della chiesa è
stato rotto.
In verità eravamo immersi, più o meno consapevolmente, in
un miracolo continuo costruito poco a poco negli anni. Non invano avevamo
ricevuto le lezioni di vita e gli insegnamenti di un Toni Weber nella Scuola
sacerdotale di Frascati. Ora abbiamo cercato a nostra volta di metterli in
pratica in questo posto, dove Dio ci ha messi… Egli ha fatto sì che l’Opera di
Maria a Man si sviluppasse nell’unità fra sacerdoti, focolarini e focolarine.
Tutto è cresciuto nell’armonia: i muri e le anime. Le circostanze ci
obbligavano ad avere tanta unità sia fra noi nella vita quotidiana che con gli
altri. Mettere Dio al primo posto ci aiuta a metterci facilmente al servizio di
tutti, senza pretendere niente e senza aspettare ringraziamenti, a lasciarGli tutto il posto nelle celebrazioni liturgiche che
curiamo il meglio possibile… Come era bello il nostro Natale di guerra con la
veglia alle 4 del pomeriggio a causa del coprifuoco!
La nostra disponibilità verso tutti non è nata all’improvviso dettata da circostanze straordinarie
quali la guerra. Quante lotte interiori, quanti sforzi
durante gli anni precedenti, per vincere l’uomo vecchio nei nostri rapporti!
Ciò che ora, durante la guerra, è successo a Man è il frutto della presenza di
Gesù in mezzo a noi. Questa presenza misteriosa ha colpito e colpisce sempre chi visita questo luogo, anche se ha l’impressione che ad essere
speciali sono i fiori, il verde, le costruzioni… Sì, questo posto è molto
bello, ma la vera bellezza che attrae lo straniero di passaggio è l’azione di
Maria, l’unità che rende presente Gesù in mezzo a noi. Noi ne siamo testimoni.