Un nuovo «io»

di Klaus Hemmerle

 

Il sacerdote può essere sacerdote soltanto quando dimora nel Cuore di Gesù, quando è unito strettamente con la sua vita e il suo amore, quando esce da quell’unità con Cristo come uno che si è spogliato di se stesso, ed è divenuto piccolo, povero e semplice. Quando il sacerdote pronuncia la parola “io”, deve dire “tu” a Gesù, perché è Gesù stesso in lui che vuole dire “io”.

Se consideriamo il sacerdote da questo punto di vista, dal mistero di Cristo come centro della vita sacerdotale, allora comprendiamo questo: il ministero sacerdotale non è soltanto una funzione. Non ha la sua giustificazione nei vari ministeri e compiti esistenti in una comunità, non riempie un vuoto che si scopre tra tutti gli altri servizi e testimonianze nella vita della comunità. Esso è ancorato alla missione e – attraverso il carattere sacramentale – ha le sue origini direttamente in Gesù stesso. (…)

Se il sacerdote è l’autoannichilimento vivente di Gesù diventato storia, allora non esiste una frase nella Scrittura che descrive altrettanto bene questa esistenza sacerdotale come questa dell’apostolo Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).

Questa frase vale certamente per (…) la vita cristiana in generale. Nel battesimo è già avvenuto il fatto più importante riguardo al nostro io personale. Non è più quell’io che si afferma contro Dio e che deve morire. È un altro io, quello che è morto in Dio con Gesù Cristo e che lascia così dentro di sé uno spazio per Dio, per Gesù Cristo. Il mio io appartiene a Gesù Cristo. Morire ogni istante di nuovo in lui in modo che lui possa vivere in me: questo significa trovare la propria identità e realizzare la propria vita. Ogniqualvolta dico “io”, dire anche “tu” a Gesù – questa è la strada della santità fondata sul battesimo. (…) Non c’è modello più valido per questa vita di Maria, che bada solo a Dio e alla sua volontà, che fa completamente sua – e così facendo, lo dà contemporaneamente, lo dona agli altri. La Gratia plena, la piena di grazia è al tempo stesso la Theotokos, la genitrice di Dio.

Se il sacerdote è dunque chiamato per missione e mandato divino ad agere in persona Christi, ad agire nella persona di Cristo, allora questa missione e questo mandato non devono limitarsi a quegli atti sacramentali per i quali sono direttamente concessi. Questi, realizzazione del mandato sacerdotale, diventano testimonianza nella misura in cui il sacerdote conforma tutta la sua vita a quello che compie in essi. Allora vale: più profondamente il sacerdote vive il suo cristianesimo e il suo battesimo, più è “mariano” nel senso sopraindicato, più è capace di far risplendere nella sua persona Gesù, il “sacerdote per eccellenza”. Sii totalmente sacerdote, essendo totalmente cristiano! Vivi completamente Gesù, il sacerdote per eccellenza, vivendo completamente Maria, la sua donazione, il suo servizio!

Da quest’approccio risulta evidente l’alto significato del celibato sacerdotale che si estende ad una vita secondo lo spirito dei consigli evangelici, anche della povertà e dell’obbedienza. (…) Un’unità più profonda con Cristo solo e, da questo, una maggiore libertà per essere vicino a tutti e per portare Gesù accanto a tutti: questa è l’essenza della vita sacerdotale. In una parola: il sacerdote, un cristiano autentico, perché e nella misura in cui Maria risplende in lui.

Klaus Hemmerle

 

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Da: Il sacerdote oggi (discorso a 7000 sacerdoti e religiosi nell’Aula Paolo VI il 30 aprile 1982), in: Klaus Hemmerle, Vie per l’unità. Tracce di un cammino teologico e spirituale, Città Nuova, Roma 1985, pp. 128-131.